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Intervista al Laboratorio NOVAMUSICA. Conversazione con Giovanni Mancuso.
Dal 2001, l'Ensemble Laboratorio Novamusica è stato nominato ensemble in residence presso il nuovo teatro Teatro Groggia di Venezia, incaricato di organizzare una stagione di musica contemporanea. L'anno successivo l'Ensemble ha fondato Galatina Records l'etichetta ufficiale di registrazione e inciso quattro cd: Musica Compressa (musica di Giovanni Mancuso eseguita da Pietro Tonolo e il Laboratorio Novamusica), Alphabet Music (musica di Giovanni Mancuso eseguita da Raiz, Pietro Tonolo, Luca Mosca e il Laboratorio Novamusica vincitore della European Association for Jewish Culture di Grant Awards 2003), Compressione Dialettica Alla Mente (composizioni collettive del Laboratorio Novamusica Sperimentale), Black Film (musica di Giovanni Mancuso eseguita dal Laboratorio Novamusica prodotto da John Rottiers), Butch Morris: conduzioni 143/1, 143/2 (Ensemble Laboratorio Novamusica con Armand Angster, Wolfgang Fuchs, Peter van Bergen, Hans Koch)
All About Jazz: Cominciamo dalla domanda più banale: cos'è per voi un ensemble?
Laboratorio Novamusica: Correndo spesso sul confine tra oralità e scrittura, alternando esecuzioni di partiture e composizioni collettive, la nostra idea di ensemble necessariamente si basa sulla varietà dei background musicali dei componenti e soprattutto sulla condivisione, sull'empatia profonda e su una motivazione forte che va ben al di là del "mestiere".
AAJ: Hai voglia di raccontare ai lettori di All About Jazz come, quando e dove si è formato il vostro Ensemble?
L.N.M.: Sarà un caso - è un aspetto che mi segue o mi perseguitama il Laboratorio Novamusica nasce nel 1991 a seguito di un intervento censorio del direttore del Conservatorio di Venezia che, a fronte di una mia raccolta di circa 400 firme per istituire saggi e laboratori di musica contemporanea, si esibì in un ottimo canestro lanciando nel cestino le sudate firme. Fu così che, insieme ai miei compagni, decidemmo di continuare da soli e rigorosamente al di fuori di quella istituzione. Il nostro primo concerto fu nel giugno del 1991 presso la Fondazione Querini Stampalia e la sala era zeppa!
AAJ: Quali sono le ragioni del nome che avete scelto.
L.N.M.: Mi ricordo che ragionavo su un'idea di collaborazione, di fattività quasi manuale, di officina e così venne in mente il concetto di laboratorio: a metà fra mestiere e ricerca, fra esperimento e immaginazione.
AAJ: I presupposti che vi hanno portato a unirvi sono gli stessi sui quali ancora oggi basate il vostro legame?
L.N.M.: Anche se le cose dopo più di vent'anni sono molto diverse, direi di sì. Nel 1991 c'era la voglia di svecchiare il repertorio, di provarci direttamente come compositori (anche senza titoli accademici) e come esecutori delle nostre cose, di fare musica non solo suonata ma anche pensata, immaginata. Ora rimane la vitalità antiaccademica, la ricerca di uno sguardo laterale e una "scomodità" estetica, formale ma anche politica e sociale.
AAJ: Per quanto riguarda il repertorio, come scegliete i brani e come lavorate per l'esecuzione...magari potete raccontarlo a partire da un progetto che avete realizzato che vi sta particolarmente a cuore.
L.N.M.: Scegliere il repertorio è un lavoro lunghissimo e complesso perché non si tratta soltanto di compilare un programma ma di concepire e disegnare un percorso comunicativo, una precisa idea di creatività, una valorizzazione di aspetti dimenticati, un ribaltamento delle convenzioni di ascolto di fruizione. Lo scorso anno abbiamo inaugurato, grazie alla collaborazione della Fondazione Querini Stampalia di Venezia, un nostro piccolo festival - "Venti Nuovi" - che si propone proprio di costruire un'osservazione laterale della musica del nostro tempo al di fuori degli schematismi tipici sia della musica contemporanea che del jazz. E' un'occasione di incontro tra repertori e pratiche musicali diverse dove convivono Kurtag e Ornette Coleman, Lukas Ligeti e Paul Hindemith, Julius Hemphill e Niccolò Castiglioni, scrittura e improvvisazione, rigore e libertà con uno scambio di ruoli tra musica "colta" e jazz che non ti aspetteresti. Da un lato vogliamo smitizzare certe supposte difficoltà o impenetrabilità delle avanguardie europee e dall'altro ci avventuriamo nella ricerca della complessità all'interno del linguaggio jazzistico. Il dialogo con il pubblico e la "narrazione" smaliziata di questi percorsi è comunque il presupposto irrinunciabile per una comunicazione che scateni il senso critico allontanando tutte le posizioni "precotte" dell'ascolto.
AAJ: Che cosa vi interessa maggiormente mettere in luce della musica del Novecento? Quali sono gli aspetti sui quali voi come Ensemble ritenete di dover maggiormente lavorare?
L.N.M.: Il '900 è il secolo scorso e mi aspetto che, nella sua interità, diventi patrimonio del repertorio "classico," ma molti aspetti delle avanguardie storiche o del secondo dopoguerra possono essere ora osservati finalmente senza preclusioni o binari precostituiti. I nostri ultimi progetti hanno visto il recupero di alcune pagine del novecento storico dimenticate o scritte per organici improbabili (per esempio i pezzi di Hindemith per tre trautonium) o altre rilette sotto luce diversa (una trascrizione da Kurtag o una rilettura di Ornette Coleman) o incastonate in altri progetti precedenti (come il Concert for piano di John Cage inserito nel progetto Black Film).
Continueremo indagando negli angoli nascosti del novecentocon la nostra predilezione per gli sperimentatori, gli enfantes terribles, la visionarietà o gli organici e strumentari inusuali - ma lungi dall'essere nostalgica o di mero recupero, questa sarà l'operazione speculare nel passato rispetto all'altro grande campo di osservazione e ricerca: la contemporaneità ese possibileil futuro.
AAJ: L'improvvisazione è una pratica del vostro fare musica insieme? Nel caso, come avviene e quanto peso ha nel vostro lavoro?
L.N.M.: L'improvvisazione nel nostro lavoro è talmente radicata che non ci sentiamo nemmeno di chiamarla così. Dopo vent'anni si stabiliscono tra i musicisti delle connessioni e "connivenze" tali che ci siamo chiesti: non sarà questa in realtà una "scrittura" vera e propria? Qual è il confine tra scrittura e improvvisazione? Di sicuro c'è che molte partiture scritte che abbiamo eseguito nel corso degli anni prevedevano un'esecuzione più aleatoria e imprecisata di tante "improvvisazioni" che invece seguivano percorsi e codici comuni.....
Come compositore che scrive per il proprio ensemble non posso che ringraziare il patrimonio musicale di ognuno dei musicisti del Laboratorio Novamusica grazie al quale la mia scrittura ha potuto fare a meno delle classiche miriadi di indicazioni strumentaliche così spesso assomigliano a messaggi disperati di aiutoinglobando il "taglio" esecutivo e le sfumature imprendibili dei musicisti.
AAJ: Avete lavorato con Butch Morris indicendo le sue Conductions 143/1 e 143/2. Come avete lavorato con lui sulla conduction? Come è iniziatata la vostra collaborazione e come è proseguita nel corso degli anni?
L.N.M.: L'esperienza musicale e umana con Butch Morris è una delle nostre tappe fondamentali nel lavoro sulla composizione collettiva. Le due conductions sono state preparate nel 2004 durante una settimana di lavoro presso il Teatro Groggia di Venezia con il quale collaboravamo come ensemble in residence, e replicate a Berlino in occasione del Total Music Meeting.
Il lavoro di Butch Morris è una vera maieutica, una sorta di "estrazione minerale" di particolari che nemmeno potevi sospettare. D'altro canto il suo carisma musicale incarna di volta in volta le potenzialità del gruppo con cui collabora. In realtà - e questo è un altro tassello tolto ai luoghi comuni - il pensiero musicale di Butch è molto più classico di quel che si possa pensare: costruzione, sviluppo, il senso del "canto" e del fraseggio possono essere aspetti della tradizione europea che riemergono in veste del tutto nuova. Questo "pensiero" musicale ci riportava in un certo senso ai concetti fondamentali di una tradizione musicale che noi avevamo forse troppo violentemente negato.
Un altro punto sul quale si dovrebbe ragionare a proposito di Butch Morris è il concetto formale, l'esigenza di complessità al di là del superomismo performativo così duro a morire nel jazz. Uno di quei casi rari in cui prevale un pensiero di grande respiro. Il nostro lavoro con Butch avrà probabilmente un nuovo capitolo l'anno prossimo a Venezia, ma non anticipiamo la sorpresa!
AAJ: Essendo All About Jazz una rivista dedicata al jazz, quanto pensate il vostro lavoro abbia a che fare con questo genere? Che cosa vi interessa in particolare del jazz?
L.N.M.: Il Laboratorio Novamusica negli anni - e forse non casualmente - si è "sbilanciato" molto verso il linguaggio jazzistico sia per il background musicale di buona parte del gruppo sia per una naturale condivisione musicale. E comunque, a parte il discorso sull'improvvisazione, ci sono alcuni dati tecnici che sono carte preziose nel gioco compositivo: il colore strumentale personale, la "pronuncia," la capacità di gestire autonomamente e in modo non neutro lo spazio musicale e, non ultimo, la presenza comunicativa sul palco sono tutte risorse linguistiche straordinarie. Ce lo hanno dimostrato per esempio Pietro Tonolo e Piero Bittolo Bon con i quali collaboriamo da tempo.
AAJ: Portate avanti un lavoro teorico (letture, discussioni sulla metodologia, studi o ricerche, seminar) a livello di Ensemble oppure la formazione e la ricerca sono un percorso individuale da condividere solo in un secondo momento insieme?
L.N.M.: Fondare un "laboratorio" era per me un'occasione di mettere in pratica un'idea di collettività che non fosse esclusivamente rivolta ai concerti ma ad un confronto teorico e di ricerca. Durante i primi anni di vita del gruppo si svolgevano a casa dei miei genitori (che ringrazio per essere stati i primi sostenitori del gruppo), in un'atmosfera carbonara, riunioni affollatissime durante le quali compositori ed esecutori interni o esterni al gruppo presentavano i propri lavori o proponevano ascolti o analisi (e talvolta anche con qualche animata zuffa!).
L'esigenza di incontro e di divulgazione - ma sempre evitando come la morte le situazioni formali di "conferenze" e convegni - ci sembra sempre irrinunciabile; le ultime "Adunanze Serali" organizzate in collaborazione con la Fondazione Querini poco tempo fa, hanno portato, in un'atmosfera amichevole e informale, molti compositori a raccontare il loro lavoro e a cancellare tanti pregiudizi sull'accessibilità del linguaggio musicale contemporaneo.
AAJ: Nei vostri concerti eseguite autori contemporanei. Come costruite un concerto e attorno a quali aspetti puntate maggiormente?
L.N.M.: Progressivamente ci siamo allontanati dalle formule concertistiche "prima esecuzione assoluta": maratone a volte punitive e interminabili. Preferiamo costruire attorno ad un'idea: un solista e/o compositore ospite, una nuova composizione, un repertorio riscoperto (per esempio, per il prossimo festival ci sarà un'ampia parte dedicata alle composizioni del gruppo di compositori che ruotava intorno a Cornelius Cardew) o un organico particolare (a dicembre debutterà il nostro Vintage Organs Quartet).
AAJ: Il pubblico è importante? E in che forma, dimensione, misura...?
L.N.M.: Il pubblico è il vero dato aleatorio: abitudine dell'ascolto o curiosità pura e aperta, diffidenza verso certi repertori o calore inaspettato. Devo dire che grande importanza ha il contatto che si instaura e non parlo di "feeling" o percezioni extrasensoriali: molte partiture apparentemente incomprensibili sono in realtà oggetti o storie che possono essere raccontate, illustrate, spiegate o addirittura mimate! Non c'è nulla di inaccessibile, non c'è musica che non possa essere portata ad una comune comprensione. Bisogna solo imparare a comunicare e scendere quei pochi centimetri di palco. Per noi l'importante è non ridursi a suonare esclusivamente per i colleghi o per i famosi "addetti ai lavori" ma incontrare nuovi ascolti, nuove reazioni.
Anche con il pubblico più ostile può avere senso il proprio lavoro: pochi anni fa a Trieste presentammo un intero programma dedicato alle relazioni stato-mafia. Ebbene, l'organizzatore, pochi istanti prima di cominciare mi avverte: sono tutti del pdl! Ricordo ancora i volti disgustati e ostili mentre mi avventuravo in dettagliate spiegazioni sulla sentenza di secondo grado del processo Dell'Utri allora in corso...!
AAJ: La vostra casa discografica di riferimento è Galatina Records. Siete uno dei pochi (forse l'unico) ensemble in Italia che ha sentito il bisogno di fondare una etichetta sua. È una scelta personale (di Giovanni Mancuso) oppure è stato un lavoro di supporto all'Ensemble?
L.N.M.: L'ideale autarchico del gruppo si è sviluppato non per sola ideologia (!) ma perchè ci siam resi conto ben presto che nessuna istituzione ci avrebbe sostenuto nel nostro cammino. Certo ci possono essere episodi felici ma credo che sia meglio non contarci troppo e imparare a far da soli. Non ho mai sopportato di fare anticamera per convincere qualche politico o organizzatore della bontà delle idee del gruppo, quindi la creazione dell'etichetta è una naturale espressione di questo ideale. Tutto però si basa sulla fortuna di avere con noi, fin quasi dai primi anni, Riccardo Farnea che, oltre ad essere un ottimo accordatore di pianoforti è anche il mago delle nostre registrazioni.
AAJ: Dal punto di vista economico, come avete provveduto a finanziare i vostri progetti? Quali margini di autonomia avete rispetto a chi che vi sovvenziona?
L.N.M.: Ogni progetto naturalmente ha una storia a sé e non esiste regola o consuetudine in un campo che mi appare sempre più dominato dal caso. A dimostrazione di questa navigazione a vista potrei fare un elenco di casistiche apparse nel nostro percorso sull'argomento sovvenzioni o sostegni a progetti: Progetti con istituzioni Concorsi e Grant internazionali Adozione da parte di rarissimi esemplari di direttori artistici (prontamente decaduti) Esecuzioni di composizioni legate esclusivamente al gruppo (o con noi o niente) Fondazioni illuminate (chissà perchè...)
AAJ: Pensate che ci sia una politica in Italia attenta agli Ensemble e/o su cosa dovrebbe sostenere realtà come la vostra la politica (locale, nazionale?)?
L.N.M.: Tutto il mondo dovrebbe prendere come esempio il modello italiano di politica culturale: sostegno delle attività artistiche, delle associazioni culturali, meritocrazia, ricerca e diffusione all'estero del patrimonio musicale, disponibilità di luoghi di attività e produzione... Insomma una meraviglia. Ti svegli la mattina e subito squilla il telefono: "buongiorno sono l'assessore alla cultura e vorrei sostenere le vostre strepitose attività, come posso fare?" Ma noi, per puro spirito polemico nei confronti delle istituzioni, opponiamo sempre un netto rifiuto.
AAJ: Entrando nel merito della vostra produzione. Ad ora mi pare abbiate all'attivo sette produzioni realizzate con il Laboratorio Novamusica: Musica Compressa (2003), Alphabet Music (2003-2004), Compressione Dialettica Alla Mente (2004), Butch Morris: Conduction 143.1 143.2 (2004), Black Film (2005), Quel fresco profumo di libertà (2009) e ARF (2007).
L.N.M.: Contiamo di riprendere presto le pubblicazioni anche perché uno dei patrimoni del gruppo è il vastissimo archivio di registrazioni e sarebbe un peccato lasciarle ammuffire negli hard disk. Quasi tutti i titoli sono ora disponibili su itunes.
AAJ: Compressione Dialettica Alla Mente mi sembra frutto di un vero e proprio lavoro laboratoriale.
L.N.M.: Infatti è il nostro titolo di pura composizione collettiva. Ci son voluti tre mesi per convincere la SIAE che il cd non conteneva musica scritta da qualcuno e quindi protetta: "ma è impossibile, come avete fatto a suonare se non c'era niente sul leggio?"
AAJ: "una composizione dedicata a Cuffaro" è stato eseguito dall'Ensemble, ma è un'opera tua. Quale è il suo significato e che importanza ha occuparsi oggi del rapporto tra mafia e stato (in musica)?
L.N.M.: Si tratta di "Signor giudice se io parlo di certe cose, lei sarà ucciso e io sarò preso per pazzo" una composizione del 2007 dedicata a Cuffaro e ai rapporti tra mafia e politica. In realtà questa composizione è stata scritta per l'Ex Novo Ensemble che l'ha eseguita la prima volta. Portare la musica del nostro tempo difronte ad argomenti come le relazioni tra mafia e Stato non significa fare musica politica ma accorgersi di uno dei nodi cruciali più gravi che stanno alla base della nostra storia contemporanea in Italia. Talvolta sembra una curiosità, un vezzo quasi ma mi chiedo: di che cosa dovrebbe parlare la musica contemporanea se non della contemporaneità? In virtù di una "astrazione" del linguaggio musicale noi dovremmo sempre vivere ai margini delle pulsazioni violente della storia? Stiamo organizzando per il prossimo autunno un incontro con Nino Di Matteo, il magistrato che si occupa della trattativa, recente bersaglio di un grave provvedimento disciplinare per aver rilasciato un'intervista. Anche la musica sarà un modo per sostenere i magistrati nella ricerca della verità.
AAJ: Su quali progetti state lavorando ora come ensemble?
L.N.M.: Stiamo lavorando alla seconda edizione del festival "Venti Nuovi" che si terrà a dicembre presso la Fondazione Querini Stampalia di Venezia. Esecuzioni rare, organici inediti, incontri con i compositori e nuove composizioni scritte appositamente per l'ensemble.
AAJ: Ricorre il centenario della nascita di John Cage e il ventennale della morte. Qual è l'eredità che lascia Cage ad un ensemble come il vostro?
L.N.M.: Tante volte abbiamo incontrato la musica di John Cage, il più grande giocatore di questo bellissmo gioco che è la musica del nostro tempo, dove la regola sembra irregolare e la libertà è in realtà una profonda costruzione del pensiero. Il nostro omaggio a John Cage è stato un progetto presentato a Trieste lo scorso gennaio dal titolo: Black Film in the Cage. Il progetto Black Film - un lungo film immaginario di sola musica fatto di brevi episodi dal carattere marcatamente jazzistico - che viene incastonato in un ulteriore programma di musiche di John Cage: Aria per voce sola, Living Room Music, Water Music e il Concert for piano. Non so se John Cage lascia un'eredità. Forse ha lasciato proliferare possibilità. Un mondo nuovo di possibilità che ci attendono ancora.
Foto di Andrea Ferro (la terza, la quinta e la sesta).
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