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Intervista a Giovanni Falzone
ByAll About Jazz: Che cosa ti ha lasciato di indelebile la tua prima formazione a Palermo?
Giovanni Falzone: Mi ha lasciato un bellissimo ricordo legato allo studio ed al sacrificio, che trovo indispensabili per raggiungere qualsiasi obbiettivo. Mi ricordo che entravo quando aprivano il portone in conservatorio e uscivo la sera quando lo richiudevano. E' stato un periodo favoloso della mia vita.
AAJ: Quando ti sei trasferito a Milano? Che cosa ha significato per la tua crescita professionale vivere nel capoluogo lombardo?
G.F.: Prima di arrivare a Milano ho girato per circa due anni, collaborando con diverse realtà orchestrali nazionali; ma, una volta arrivatovi, mi resi subito conto che sarebbe diventata la mia città adottiva. L'orchestra sinfonica di Milano, con la quale ho suonato per diversi anni, mi ha dato, per prima, la possibilità di esprimermi, commissionandomi tre lavori cameristici. E' stato proprio grazie a queste occasioni che ho iniziato a mescolare le mie passioni per il jazz e per la musica classico-contemporanea, fino a capire che era quella la strada che mi interessava perseguire.
AAJ: Uno dei tuoi primi dischi, Music for Five (Splasch, 2002), era già molto significativo del tuo modo di concepire la composizione, l'arrangiamento e la leadership.
G.F.: Questo lavoro ha segnato la mia direzione musicale, perché quando ho iniziato a scrivere le musiche di questo album mi ero appena iscritto al corso di jazz al Conservatorio di Milano con Tino Tracanna, ma ero prevalentemente un musicista "classico". Grazie agli incoraggiamenti di Tino, ai primi risultati, ai riscontri della critica, alle mie curiosità, che avevano generato quello stesso album, non mi venne difficile pensare che era quella la strada che avrei voluto perseguire; lentamente cominciai a meditare di lasciare l'orchestra sinfonica fino a prendere la decisione definitiva nel 2004.
AAJ: Poi c'è stato il lungo sodalizio con la Soul Note, durato fino al 2007, che ti ha permesso di mettere a fuoco vari progetti con formazioni sempre diverse e di importi all'attenzione nazionale. Come puoi sintetizzare quel periodo e quelle esperienze discografiche?
G.F.: Al momento la definisco l'esperienza discografica più bella e gratificante che ho avuto fino ad oggi! Il motivo è semplice: Giovanni e Flavio Bonandrini, che dopo aver ascoltato uno di quei lavori orchestrali di cui parlavo prima mi proposero di collaborare con la loro etichetta, mi sottoposero un contratto in esclusiva, lasciandomi la possibilità di esprimermi senza alcuna limitazione. Quella esperienza, e oggi mi sento di ribadirlo visto come vanno le cose in generale, ha sicuramente contribuito a darmi la possibilità di essere un artista libero, senza pregiudizi e a pensare alla musica da diverse angolazioni... Soprattutto mi ha spinto a tenere sempre ben presente l'aspetto compositivo: elemento questo che Giovanni Bonandrini mi ha sempre incoraggiato ad approfondire. Aver collaborato con la Soul Note è stato un grande privilegio per me. Non finirò mai di sottolinearlo.
AAJ: Anche il tuo ultimo lavoro, Around Jimi (Cam, 2010) è fortemente caratterizzato. Come è nata questa idea? Come interagisce il gruppo nelle apparizioni concertistiche?
G.F.: Il progetto dietro ad Around Jimi nasce dal desiderio di omaggiare due grandissimi esponenti della musica del Novecento, permettendo il mancato incontro, di cui tanto si è sempre parlato, tra Miles e Jimi, ma attraverso la mia immaginazione. Il mio approccio nei confronti della musica rimane invariato: grande attenzione per la composizione, urgenza espressiva (cercando cioè di essere sempre se stessi e non intendere il tributo come sinonimo di scimmiottamento), e infine molto deve avvenire sul palco, attraverso la stima reciproca tra i musicisti e il lavoro di affiatamento che man mano è cresciuto negli anni.
AAJ: Quali altri gruppi o progetti dirigi attualmente?
G.F.: A breve registrerò il mio nuovo progetto per l'Auditorium Parco della Musica: Around Orette. Oltre a me alla tromba, la Special Band comprende Francesco Bearzatti al sax e clarinetto, Beppe Caruso al trombone, Paolino Dalla Porta al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria. Mi piace molto l'idea di esplorare i musicisti che amo e che molto hanno contribuito alla mia formazione, come Ornette, attraverso tributi non convenzionali: infatti si tratterà di una sorta di intreccio fra quattro composizioni di Ornette e quattro mie. L'album uscirà a settembre.
AAJ: Negli ultimi anni si è appunto sviluppata una stretta collaborazione con Francesco Bearzatti, essendo tu uno dei membri del suo solidissimo Tinissima Quartet. Che sensazioni ed esperienze ti ha lasciato questa collaborazione?
G.F.: Quella che si è sviluppata con Francesco è una collaborazione fortunatissima. Ad oggi posso affermare che per me suonare con Tinissima Quartet equivale esattamente a suonare con un mio progetto. Credo che il segreto di questa riuscita collaborazione stia proprio qui! Francesco, oltre che essere un musicista straordinario, ha avuto la capacità di farmi sentire a casa mia fin dal primo nostro incontro. Altrimenti, pur riconoscendo l'importanza di saper essere un bravo sideman, per come sono fatto io non avrei resistito così a lungo. Non amo entrare nei progetti degli altri se mi si chiede di essere diverso da ciò che sono ed è per questo che negli anni ho fatto diverse rinunce. A volte un solo No vale più di mille Sì. Credo che Tinissima avrà ancora vita lunga: lo spirito rivoluzionario del progetto e la reciproca stima tra i componenti mi lascia pensare ciò.
AAJ: Nell'edizione 2009 dell'Altoadige Jazz Festival ascoltai uno strepitoso concerto dell'inedito trio di fiati Bearzatti-Falzone-Petrella. Si è poi ripetuto quel sodalizio?
G.F.: Purtroppo no! Anche io ne conservo un bellissimo ricordo, ma al momento rimane un evento unico.
AAJ: Che cosa ci puoi dire invece dei tuoi contatti con realtà organizzative straniere?
G.F.: Negli ultimi anni mi è capitato sempre più spesso di andare all'estero e dunque di constatare, nonostante che i festival di jazz in Italia sembrino crescere come i funghi, quanto là sia maggiore l'attenzione per la progettualità. Ho come l'impressione che in Italia, ad esclusione di pochissime realtà, questa attenzione venga sempre meno. Il nostro paese sta subendo un impoverimento politico-culturale, che coinvolge anche gran parte degli addetti ai lavori e che comporta indifferenza e insensibilità per questi aspetti; ma chi ha la possibilità di confrontarsi costantemente con altre realtà questo impoverimento lo nota molto di più, e di certo ciò non rincuora.
AAJ: Veniamo ora al tuo linguaggio strumentale. In esso non sento l'influenza di Miles o di Chet (evidenti invece sia in Rava che in Fresu), sento poco gli stilemi bebop e tutto sommato poco anche le frenesie del free. Nella tua sonorità piena e potente, nel tuo fraseggio stentoreo, declamatorio, affermativo mi sembra evidente invece un collegamento con i trombettisti pre-bebop e in particolare proprio col caposcuola Louis Armstrong. Sei d'accordo? Di chi altro ti consideri un erede legittimo?
G.F.: Grazie! L'essere riportato alla fonte è una delle cose che più mi riempie di gioia perché, se è vero che in tutte le cose esiste una radice, io da lì voglio partire per delineare il mio tragitto. Naturalmente amo i trombettisti come Davis, Booker Little, Don Cherry, Freddie Hubbard... ma per me amare qualcosa o qualcuno non necessariamente equivale a emulazione. Dico sempre che essere partito dall'orchestra sinfonica e avere avuto la possibilità di respirare musica ad ampissimo raggio (da Monteverdi al Novecento più estremo) è stata la mia vera, più grande fortuna e fonte di ispirazione.
AAJ: Tromba, flicorno e cornetta; dei tre diversi strumenti prediligi evidentemente la prima. Perché? Quali le differenze tecnico-espressive fra di loro?
G.F.: Negli ultimi anni mi sono accorto di essermi dedicato esclusivamente alla tromba. Forse perché fra i tre è lo strumento che reputo più versatile in assoluto: con la tromba puoi suonare chiaro, scuro, morbido, acido, forte, piano, acuto, grave... Insomma per quanto mi riguarda la tromba rappresenta l'equilibrio perfetto!
AAJ: Guardiamo all'immediato futuro; quali gli impegni concertistici più importanti nel 2011?
G.F.: Quest'anno suonerò prevalentemente con i miei progetti: Mosche Elettriche, con Valerio Scrignoli alla chitarra, Michele Tacchi al basso e Riccardo Tosi alla batteria; il trio ElecTris, con Gianluca di Ienno all'organo e Antonio Fusco alla batteria; la Special Band, con Bearzatti, Caruso, Dalla Porta, De Rossi. Naturalmente continuerà la mia collaborazione con il Tinissima Quartet di Bearzatti.
AAJ: E per quanto riguarda le prossime uscite discografiche cosa dobbiamo aspettarci?
G.F.: Quest'anno sarà un anno particolarmente prolifico. Oltre ad Around Ornette, di cui ho già parlato, verrà pubblicato un disco in duo con il pianista francese Bruno Angelini, il cui repertorio è composto da mie composizioni originali in forma di Song, e uscirà anche il nuovo CD di Ada Montellanico che mi vedrà, oltre che come solista, anche in veste di arrangiatore e direttore musicale.
AAJ: Un tuo sintetico parere sui colleghi afroamericani che oggi vanno per la maggiore: Terence Blanchard, Nicholas Payton, Roy Hargrove, Jeremy Pelt...
G.F.: Credo che siano tutti ottimi trombettisti che continuano ad esprimersi e a concepire la loro evoluzione all'interno della tradizione Hard-Bop. Io naturalmente, essendo un musicista europeo, tendo ad avere predilezione per lo sviluppo di un linguaggio più europeo, pur nutrendo grande rispetto per quella radice afroamericana di cui parlavamo anche prima.
AAJ: ...e su alcuni protagonisti di attuali esperienze più trasversali: Médéric Colignon, Harve Henriksen, Cuong Vu...
G.F.: Trovo che siano più vicini al mio modo di concepire la progettualità, lo sviluppo e la ricerca di forme espressive più contemporanee.
Foto di Roberto Cifarelli (la prima), Dario Villa (la seconda e la quarta), Luca D'Agostino (la terza) e Danilo Codazzi (la quinta).
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