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Intervista a David Liebman
ByAll About Jazz: Mr. Liebman, personalmente ho avuto modo di ascoltarla la prima volta in un lavoro di un gruppo italiano, il quintetto di Paolo Fresu...
David Liebman: Ricordo con piacere quell’esperienza: se non sbaglio, sono giusto vent’anni!
AAJ: ...e adesso ho il piacere di parlare con lei in occasione di una sua nuova collaborazione con un gruppo di musicisti italiani. Può dirci qualcosa di quest’esperienza?
D.L.: Questo gruppo è fantastico, sono molto contento di suonare con musicisti così preparati sulla tradizione, ma al tempo stesso capaci di interpretarla in modo moderno e personale. Credo di essere stato fortunato ad incontrarli, perché sono una straordinaria sezione ritmica per il mio modo di suonare, ci capiamo alla perfezione e lavorare con loro è un vero piacere. È appena uscito il nostro primo CD, ma abbiamo registrato del nuovo materiale e stiamo già pensando a dargli un seguito.
AAJ: Lei è considerato uno dei maestri del sax soprano, ma anche un grande interprete del tenore. Che differenze trova tra i due strumenti?
D.L.: La principale, ovviamente, è l’altezza del registro, ma questa fa sì che le due voci siano completamente diverse, così come il tipo di interpretazione che i due strumenti permettono di effettuare. Di conseguenza ciascuno dei due si adatta a certi contesti e non ad altri. Di solito scelgo con cura cosa fare con il tenore e cosa con il soprano.
AAJ: Il suo suono al soprano dà l’impressione di essere più sfaccettato di quello al tenore...
D.L.: È probabile. Basti dire che il tenore non lo porto ai concerti, ma me lo faccio procurare dagli organizzatori. Il soprano, invece, è sempre con me: con il soprano mi sento a casa!
AAJ: Può dirci qualcosa di questo strumento?
D.L.: Il soprano è uno strumento difficile, molto difficile. Il suo problema è l'imboccatura: è troppo piccola! Se soffi nel tenore, decolla subito; al soprano, invece, devi stare molto attento, perché al minimo movimento della bocca il suono cambia.
AAJ: Ha fatto un lungo studio sull'imboccatura? Ed è riuscito a trovare quella giusta?
D.L.: Oh sì, uno studio lungo l'ho fatto; però alla fine ho trovato solo l'imboccatura migliore possibile, perché quella giusta, semplicemente, non c'è: è un'utopia!
AAJ: Il suo approccio al suono dello strumento è ancora in evoluzione?
D.L.: Solo in parte, ovvero solo per quanto di “imperfetto” c’è nel rapporto che si può avere con uno strumento come il soprano. In gran parte, credo di aver trovato il mio stile, il mio modo di suonarlo.
AAJ: Riguardo a questo, ritiene di appartenere a una “corrente”, di riferirsi in modo particolare a qualche grande sopranista, o di essersi mosso seguendo una sua propria strada?
D.L.: Credo di aver fin dall’inizio fatto un percorso personale. Certo, ho prestato molta attenzione a Coltrane, per quanto riguarda il suo modo originale di suonare, così come a Shorter, per la particolarità del suo suono; ma non li ho mai considerati dei “modelli”, ho sempre sentito la necessità di fare cose piuttosto diverse da loro, e soprattutto di non rimanere ancorato ad “un” solo universo musicale. Comunque, c’è un sopranista che ho ammirato sopra ogni altro, ed è Steve Lacy...
AAJ: Che certo suonava in modo molto diverso da lei, direi più degli altri che ha citato...
D.L.: Sicuramente. Inoltre Lacy aveva uno stile molto più univoco e un repertorio meno vario del mio. Io sento sempre l’esigenza di cambiare, di suonare ciò che in quel momento mi piace di più: mainstream, standard, free, un po’ di tutto e senza preclusioni. Ma resta il fatto che Lacy, sullo strumento, è stato il più grande di tutti ed il mio rispetto nei suoi confronti è grandissimo.
AAJ: Infatti, abbiamo avuto l’impressione che The Distance Runner, il suo recente disco 'live' in solo, fosse una sorta di omaggio a Lacy, che era morto poco prima della registrazione.
D.L.: Infatti è così, volevo ricordare quello straordinario musicista, a prescindere dal fatto che il mio modo di interpretare il soprano sia diverso dal suo.
AAJ: Tornando al suo eclettismo di generi, come tiene assieme situazioni musicali così diverse tra loro come quella di Distance Runner, le sue collaborazioni con Marc Copland o Scott Dubois, e quella all’interno di questo quartetto, nel quale è molto più vicino al mainstream?
D.L.: Come dicevo, sono moltissime le situazioni musicali che mi attraggono: dipende dal momento e dai compagni di lavoro. Non mi preoccupa né mi risulta difficile adattarmi agli ambiti diversi, si tratta solo di ascoltare e cambiare il modo in cui ti rivolgi alla musica.
AAJ: Una questione di 'atteggiamento'?
D.L.: Esattamente! Se suoni una musica diversa devi avere un atteggiamento proporzionalmente diverso, devi essere un altro rispetto a quello che eri mentre suonavi altre cose. Basta questo, perché per il resto la musica è sempre musica, è un linguaggio universale che chiunque può capire: basta solo che ascolti.
Foto di Claudio Casanova
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