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I gioielli della library music riscoperti dalla Penny Records

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Quando ero piccolo io, si chiamavano sonorizzazioni. Stavano racchiuse in dischi strani, vinili con copertine dal design originalissimo e assurdo. Non capitava che girassero per le case, dove al massimo [parlo per me] c'era qualche LP di effetti sonori tipo "fischio del treno," "temporale," "ambulanza che si allontana".

La limitata stampa e diffusione è anzi alla base del culto collezionistico che ha sempre caratterizzato la storia di quella che è più globalmente conosciuta come library music, musica composta - prevalentemente tra gli anni Sessanta e Settanta - con l'intento di sonorizzare documentari, servizi televisivi, radiodrammi e che ha coinvolto, anche e soprattutto in Italia, moltissimi compositori di livello, da Bruno Nicolai a Egisto Macchi.

Era un filone redditizio: la Rai in particolare, era un datore di lavoro instancabile per questi compositori. A differenza delle colonne sonore [altrettanto redditizie e con un maggior potenziale di visibilità per l'autore] che venivano composte appositamente per le immagini di un film, le sonorizzazioni nascevano prima ancora delle immagini che avrebbero dovuto accompagnare e avevano un carattere più generico, spesso raccolte per temi [tipologia di atmosfere, suoni industriali, etc.].

Accanto alla frenesia collezionistica e all'instancabile curiosità weird di molti appassionati, non c'è dubbio che questo incredibile scenario produttivo, artigianale e creativo al tempo stesso, impiegatizio e spersonalizzato da un lato [tanto che molti compositori compaiono in questi dischi sotto anonimi nicknames], dirompente e stimolante dall'altro, abbia portato spesso a esiti non solo musicalmente notevoli, ma anche particolarmente indicativi dello zeitgeist musicale di allora.

Il jazz incontra le sperimentazioni elettroniche, le ossessioni psichedeliche si intrecciano con i caratteri più solari della nostra tradizione musicale. Spazio così a strani coretti, a sintetizzatore che sembrano oggi venire da altre ere geologiche, a timbriche inconsuete.

Dopo i due volumi di Criminale di cui abbiamo parlato nel nostro "Cinque dischi nuovi per una primavera 2013 con orecchie curiose!", la romana Penny Records ripubblica ora tre lavori particolarmente rappresentativi della scena library

Di Alessandro Alessandroni [mitico "fischiatore" nelle partiture spaghetti-western di Morricone, oltre che versatile compositore, arrangiatore e multi strumentista] viene ripubblicato I Cantori Moderni, disco del 1970 che testimonia l'attività dell'omonimo gruppo.

Attivo sin dal decennio precedente, come ottetto che nasceva dal Quartetto Caravels [Alessandroni aveva iniziato con la mitica Nora Orlandi], il gruppo vedeva la presenza tra le altre della moglie del musicista, Giulia De Mutiis e della deliziosa Edda Dell'Orso, altro nome morriconiano per eccellenza, grazie al suo canto angelico senza parole.

I Cantori Moderni hanno attraversato da protagonisti la nostra musica per il cinema [con Morricone, Umiliani o Micalizzi] e pop [con il Lucio Dalla di "4/3/1943" o D'André tra i tanti]. In questo lavoro squisitamente library, con titoli a tema come "Aria di provincia," "Parata scherzosa" o "Nella balera," se ne possono apprezzare le suggestive qualità.

Altro titolo cult è certamente Società Malata di Daniela Casa, lavoro del 1975 che, come fa presagire il titolo, era inteso a sottolineare musicalmente i pericoli della modernità, l'alienazione della vita consumistica e urbana, la corruzione del nostro pianeta.

È un lavoro ricco di accenni sperimentali e di atmosfere morbose, sin dall'iniziale "Ignoto," ma che ci offre anche l'ossessivo rapporto tra percussioni e chitarra di "Strade vuote" o una classica frase claustrofobica di piano a sorreggere "Fabbrica". Piccola gemma riscoperta.

Fortemente intrecciata al jazz è invece la figura del siciliano Nino Rapicavoli, sassofonista, flautista e compositore che ha militato a lungo nell'Orchestra della Rai e il cui Divagazioni, terzo disco di questo primo lotto di ristampe, è un curioso esempio di sonorità sospese tra jazz e easy listening, infarcito di timbri elettrici tanto in voga al'epoca [anche questo lavoro è del 1975] e a volte un po' ingenuo.

Sottratti all'aura della rarità collezionistica, questi lavori ci vengono così restituiti nella loro natura di documenti di un'epoca in cui creatività e funzionalità andavano a braccetto, in cui la necessità di avere musiche sempre nuove da accompagnare alle tante produzioni audiovisive apriva, a che ne avesse avuto voglia e qualità, strade di grande libertà e di evocatività, in grado di raccontarci attraverso i suoni, il nostro paese in trasformazione...

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