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Gonzalo Rubalcaba

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Sala Sinopoli - Auditorium - Roma - 27.01.2011

Il piano solo di Gonzalo Rubalcaba è una sorta di danza del corteggiamento. Né una sfida con lo strumento, né tanto meno un confronto. È un rincorrersi di emozioni, di sottintesi, di aggiramenti volontari. È un volersi avvicinare al nocciolo della questione melodica senza fretta, assaporando ogni istante e ogni movimento dettato dalla fantasia.

Forte di una tecnica superiore, di un tocco cristallino - che ascoltato dalle prime file mette in mostra vibrazioni di purezza -, il pianista cubano si è esibito in un'ora e mezza di musica di spessore, colta, ma semplice nella sua grana espressiva, curiosa nel suo incedere a tratti frammentario ma comprensibile, condivisibile.

Dapprima gioca con i silenzi. Esegue movimenti lenti, schematici. È come se cercasse l'ispirazione necessaria da situazioni temporali indefinibili. Poi inizia a disegnare un quadro sonoro colorato, multiforme, ritmicamente avvolgente. Il registro basso viene portanto sempre più in primo piano. Scuro, impenetrabile. La mano destra danza sulla tastiera con leggerezza, precisione, che ti fa venire in mente le ballerine di Degas. Ogni nota ha un suo peso specifico, un suo senso che magari affiora qualche frase più in là, sempre e comunque senza farsi travolgere dalla fretta. Il pubblico è attento, qualcuno si lascia trasportare ad occhi chiusi. Rubalcaba ipnotizza con ellissi di pura sapienza artistica. Di estasi improvvisativa. Di poesia delicata. E poi suda, scarta partiture, accompagna il tutto con timide smorfie. Non trascura un pizzico di serissima ironia.

Alla fine è un caldo abbraccio. Una conquista meritata. Applausi sentiti e un «Thank You» appena sussurrato chiudono un momento sospeso tra classicismo e fantasia, semplicità e arcigna voglia di scavare nelle emozioni.

Foto di repertorio di Roberto Cifarelli.

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