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Gent Jazz Festival 2010 - Il diario pt. 5: Finale - 11 lug.

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La domenica mattina è sempre uguale. Un po' dovunque. Tutto è rilassato. Rumori sordi. Poca gente in giro, qualche sportivo che fa jogging, altri stanno sbracati nel parco, altri ancora, nel fiume Leie, si danno alla canoa. Le abitudini degli abitanti della terza città belga sono particolari. Escono nelle ore più impensabili a fare shopping: alle 14 e 30, 35 gradi all'ombra sono in giro come formiche a fare acquisti (da noi è esattamente il contrario) e poi spariscono letteralmente dalla circolazione intorno alle 18 e 30. Ma oggi i negozi sono tutti chiusi, ovviamente. E quel po' di movimento che si riesce a notare nelle vie del centro, nei giorni feriali, non c'è proprio.

È l'ultima giornata del festival prima della pausa di tre giorni che introdurrà la seconda e ultima parte (quella un po' più à la page, per così dire). È anche il giorno della finale dei mondiali di calcio in Sud Africa. Avevamo notato che qui la sensazione che ci sia stato questo avvenimento internazionale è davvero sfumata, quasi inavvertibile. Sul percorso che ci porta al Bijloke, in una specie di deserto cittadino, incontriamo tre tifosi olandesi, nulla più.

Quando poi entriamo nella tendo struttura per assistere al primo dei quattro concerti previsti. Ore 16 e 30, c'è pochissima gente. Insomma, sembra che la domenica a Gent non faccia parzialità, non abbia preferenze che non siano quelle legate al completo relax.

Lo show dei RadioKukaorkest è impegnativo, invece. Derivazioni yiddish, straziate e avanguardistiche per violoncello, fisarmonica, percussioni e contrabbasso. I quattro fanno del loro meglio per ammazzare il sistema tonale e esaltare l'organizzazione timbrica. Anche se ogni tanto ritornano alla "casa madre". Decostruzionismo e rumorismo descrittivo dolce e ostico, allo stesso tempo. Più di uno spettatore si fa cogliere dall'abbiocco. La musica ha comunque raggiunto un obiettivo.

Che sia una giornata non molto esaltante lo dimostra anche il successivo concerto, quello degli olandesi Jungle Boldie. Un trio, clarone, basso e batteria che spinge i già stanchi e sparuti spettatori verso l'Oriente, complici le melodie arabeggianti che il clarinetto basso evoca a piè sospinto. Il sound proposto ha elementi avanguardistici, ma poi spunta una bella versione di "St. James Infirmary Blues" e tutto viene rimesso in discussione. Il caldo timbro del sax tenore di Maarten Orstein rende ancor più notturna e seducente la folksong che Louis Armstrong rese celebre nel 1928.

Il festival guarda al passato. Odean Pope, collaboratore di lungo tempo di Max Roach, tiene su una big band di nove elementi, gli Odean's List, assemblata con l'esperienza e il talento ormai consolidato di Eddie Henderson, David Weiss e Terrence Brown. Gli scambi sono deliziosi, ma anche fin troppo prevedibili, i duetti, gradevoli (soprattutto quello che ha visto il sassofonista Pope con il bassista Lee Smith), ma è una pappa trita e ritrita che snerva un po': il concerto sfora oltre ogni limite finora tollerato. Non ce n'era proprio bisogno. Anche perché, per la prima volta, il concerto finale, quello del Pat Metheny Group, comincia con un ritardo di oltre 15 minuti. Questo sarebbe già una notizia, data la consolidata e precisa macchina organizzativa del Gent Jazz Festival.

Cosa potremmo di nuovo ancora aspettarci da Pat Metheny? Solo l'ennesima e proverbiale prova della sua bravura infinita. Ha rimesso insieme il suo Group (con Lyle Mays, Steve Rodby e Antonio Sanchez) e se ne va in giro per il mondo a spiegare, ancora una volta, cosa ha significato per il jazz, Bright Size Life (1975), o proprio l'omonimo album dell'anno successivo. È una lezione che ne val la pena ripassare anche perché il capelluto chitarrista dà tutto se stesso in questa esibizione. La versione di "Are You Going With Me" (ma anche quella di "This Is Not America") è da urlo. Non c'è il pubblico che avrebbe meritato, però. Gli spalti vip sono quasi vuoti, le sedie a disposizione per la platea anche. La domenica o la finale dei mondiali? A proposito, sono le 23 e 5 minuti, "Phase Dance" scivola via come un bel ricordo del passato.

La Spagna è campione del mondo.

Foto di Bruno Bollaert

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