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Gent Jazz Festival 2010 - Il diario pt. 4: aria condizionata - 10 lug.
ByInsomma, qui l'una cosa potrebbe escludere l'altra: o il caldo record era così inaspettato che ha colto di sorprese la cittadina o, fatto da non escludere, gli abitanti di Gent hanno un animo davvero ambientalistico. A tal punto da farsi del male, per così dire, nature. In fondo, resistere sudando è meglio che stare male con una faringite tutta l'estate. Un'altra lezione appresa. Intanto, noi schiattiamo dal caldo.
Epperò, quando meno te lo aspetti, manco a dirlo, arriva la pioggia. Anzi, si tratta di un vero e proprio temporale. Di quelli che in questo posto sono abbastanza frequenti. Qualcuno, ironicamente, canticchia i Supertramp di "It's Raining Again". Qualche altro dice: era ora.
Julian Lage è contento, ad esempio. Si presenta sul palco con camicia a maniche lunghe e cravatta rossa. Il giovane talento, classe 1988, esprime un chitarrismo speziato con aromi folk, country e blues. Dagli Appalachi alle Ande, passando per le High Lands scozzesi, complice una band, in cui si distingue il batterista a mani nude, Tupac Mantilla, che dà ampio respiro a una derivazione world non per questo stucchevole, anzi meritevole di attenzione. Poi c'è la tecnica di questo prodigio: suona la chitarra dall'età di 5 anni e già ha meritato le attenzioni, tra gli altri di Carlos Santana e Pat Metheny. Julian rende anche le cose più difficili con una semplicità disarmante.
Continua a piovere e per gran parte del pubblico è un gradito sollievo. Un po' meno per chi, come noi, oggi ha lasciato l'ombrello in albergo. Molti ne approfittano per camminare indisturbati sotto la pioggia come niente fosse. Anche noi, gioco forza, facciamo gli indifferenti. Come se fossimo immuni e impermeabili. Si sta preparando il palco per l'esibizione di Stanley Clarke. C'è già la platea delle grandi occasioni. Lui entra con un cappellino, imbraccia il basso elettrico e inizia a slappare a tutta forza nel repertorio recente e più consolidato. L'estetica è quella della fusion anni '80. La pianista Hiromi maltratta il pianoforte un po' come faceva Keith Emerson col moog.
Quando poi Clarke passa al contrabbasso riesce a tirar fuori sonorità inaspettate e anche percussive. Dopo un inizio scoppiettante e molto fusion, l'artista statunitense lascia spazio ai giovani musicisti di cui si attornia (Ruslan Sirota alle tastiere, Ronald Brumer Jr alla batteria) e a un jazz più di stampo elettrico. Il brano che chiude il concerto, prima del rituale bis, è "Confirmation" di Charlie Parker. La pianista giapponese supera se stessa confrontandosi con velocissimo assolo che fu di Bird. Poi è la volta di tutti gli altri musicisti.
Quando Toots Thielemans sale sul palco non piove più. Si va verso il tutto esaurito sotto la tendo struttura e di certo il concerto del musicista nato a Bruxelles è secondo, per presenza di pubblico, solo a Norah Jones. Si capisce: per i belgi (che siano nazionalisti o separatisti) l'armonicista è un monumento nazionale. Ogni suo gesto, anche non musicale, viene salutato da scroscianti applausi. Quello che presenta stasera è un progetto speciale.
Con l'aiuto di Oscar Castro-Neves (chitarra) e di Kenny Werner (piano) fa fare alla sua preziosa armonica un viaggio tra la bossa brasiliana. Anche se Thielemans amplia lo spettro di riferimenti musicali e con grazia e trasporto (gli sono sempre stati amici inseparabili) passa dal Gershwin di "Porgy and Bess" e "Summertime" a Luigi Tenco ("Mi sono innamorato di te") e Tom Jobim ("Agua De Marco," "Garota de Ipanema"). Il suo è un romanticismo che commuove per la nostalgia che trasmette e per il desiderio di andare oltre una vita che dura felicemente da 88 anni e che si prolungherà all'infinito grazie al suono di un'armonica inconfondibile.
Ha smesso di piovere e l'aria, quella naturale, si è rinfrescata.
Foto di Jos L. Knaepen.
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