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Frank Kimbrough Trio
Fondatore del Jazz Composers Collective e membro dell'Herbie Nichols Project, il pianista statunitense Frank Kimbrough non è però molto conosciuto nel nostro paese. Particolarmente meritoria dunque l'iniziativa del Pinocchio Live Jazz di includerlo nel proprio cartellone, in trio con il contabbassista Masa Kamaguchi e il batterista Jeff Hirshfield, quasi la stessa del recente disco Play (in cui alla batteria suona Paul Motian).
La formazione è un trio molto dinamico, che affianca standard a composizioni originali, talora più dissonanti ma comunque sempre dotate di forte componente ritmica. La cifra è però complessivamente assai eclettica, presentando qua e là passaggi a la Standard trio di Jarrett e momenti più intensamente percussivi. Molto paritetico nella struttura, il trio vede il pianista e leader condurre con costanza elaborate e fitte trame alla tastiera, con modesto impiego di spazi e silenzi, e il batterista sostenere con grande sensibilità e alcuni momenti di libertà.
Kimbrough ha una mano alla tastiera al tempo stesso incisiva e misurata, capace di dosare il tocco in funzione del contesto ed uno stile eterogeneo e complesso, ma non pienamente caratterizzabile, con pochi cambi di passo e non molte sorprese. Ottime nelle introduzioni ai brani, spesso solitarie, Kimbrough è sembrato talvolta smarrire smalto negli sviluppi, specie nelle interpretazioni degli standard.
Così, il vero protagonista della formazione è apparso l'eccellente contrabbassista Masa Kamaguchi: nervoso interprete del suo strumento, sul quale segue la lezione di Gary Peacock con suono caldo e austero nel fitto dialogare con il pianista, il musicista giapponese assume un atteggiamento di frenetica ricerca creativa negli splendidi assoli. Strumento fortemente e atipicamte inclinato, orecchio teso a percepire il ritmo dettato dalla batteria, Kamaguchi si è prodotto in improvvisazioni velocissime ed acrobatiche, a forte rischio di narcisistico virtuosismo e tuttavia tutte risolte in espressiva comunicazione musicale.
L'attenzione all'interazione, l'originalità delle improvvisazioni, il colore del suono e, non ultima, la vibrante presenza scenica, hanno fatto di Kamaguchi (non a caso il più applaudito) il mattatore di una serata che, nei sui due lunghi set, ha attraversato momenti assai coinvolgenti - specie nelle più dialogiche composizioni originali, come quella conclusiva, magmatica e trascinante - e che nel complesso è stata di ottima qualità.
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