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Francesco Bearzatti
Amo tutta la musica, a parte quella fine a se stessa.
All About Jazz: I tuoi amori giovanili profumano di Led Zeppelin e Deep Purple, Ramones e Sex Pistols. Possiamo dire che la provincia friulana aveva gli stessi miti musicali di qualsiasi altra provincia italiana o in qualche modo si respirava aria di frontiera, si avvertivano echi delle culture confinanti?
Francesco Bearzatti: Avendo vissuto tutta la mia adolescenza in Friuli, non posso fare paragoni con le altre province italiane, anche se sono tentato di credere che le esperienze sonore, soprattutto al Nord, siano più o meno simili. Probabilmente Radio Kapodistria si sentiva anche sulla costa adriatica, ma non credo abbia influenzato quelli della mia generazione.
Al mio paese, come probabilmente nella maggior parte dei paeselli, eravamo divisi in "rockers" e "discottini" (dal friulano "discutins," come venivano sopranominati quelli che andavano in discoteca), ossia in alternativi e trendy. Un po' come oggi, solo che all'epoca sia il rock che la disco erano bellissimi, e per me era l'atteggiamento sociale a farmi stare "solo" dalla parte dei rockers. Tra i miei amici, ma anche a casa mia con le mie sorelle, andavano molto i cantautori, in primis Battisti, ma anche Cocciante, Baglioni, Guccini. Quello che però tra i cantautori mi toccava profondamente era ed è ancora Lucio Dalla, tutta la sua produzione anni '70 e '80. Poi gli ultimi anni di conservatorio ho scoperto Pino Daniele e da lì sono passato ai Whether Report, agli Area e al jazz rock.
Sono diventato amico di Glauco Venier, che essendo più grande di me aveva già una ricca discografia e suonava con una certa esperienza. All'epoca mi prestò un sacco di vinili e mi incoraggiò a passare dal clarinetto al sassofono.
AAJ: Forse inevitabile conseguenza di queste infatuazioni, i tuoi primi anni si dividono tra gruppi rock e pop, e il lavoro di dj nelle discoteche. Stavi studiando su cosa fare da grande? Avevi già nel mirino il futuro musicista?
F.B.: Ho sempre desiderato vivere di musica, quindi per molti anni - piuttosto che piegarmi a fare altro - ho preso un po' tutto quello che mi capitava. Al lavoro nelle discoteche ci sono arrivato piuttosto tardi, intorno ai ventiquattro anni, e ovviamente per ragioni puramente economiche. Purtroppo negli anni '90 la musica da discoteca si era trasformata in house music, cioè musica fatta in casa col computer, non più da musicisti ma da gente che si improvvisava musicista e componeva cose orribili, abbassando in tal modo enormemente il gusto della gente.
Io mi sono adattato e per cinque anni ho vissuto di notte nel frastuono di quegli anni.
AAJ: Nel 1994 formi il Kaiser Lupowitz Trio con Enrico Terragnoli alla chitarra e Zeno De Rossi alla batteria. La formazione presenta chiari riferimenti all'allora scena newyorchese della Knitting Factory. Qual è stata l'importanza di questa esperienza?
F.B.: Per me è stata fondamentale perché venivo da anni di studio be bop, hard bop e modale. Un periodo importantissimo per la mia formazione jazzistica che mi aveva isolato da tutta l'altra musica e che mi aveva separato dal mio background pop e rock. Ecco, che grazie ad Enrico - ma soprattutto a Zeno, che è stato colui che ci ha uniti - ho potuto riappropriarmi di tutto ciò.
AAJ: Un po' a sorpresa nel 1997 esordisci da leader con Suspended Steps disco in bilico tra Rollins e Coltrane.
Brusca virata rispetto alla precedente formazione, non trovi?
F.B.: Assolutamente "ni"... nel senso che tutto il mio periodo di formazione "jazz" andava documentato e comunque quel disco presentava quasi solo musica originale e l'unico standard registrato era completamente trasformato.
AAJ: Poi la prima grande svolta della tua carriera: ti trasferisci a Parigi. E lì conosci Aldo Romano, Emanuel Bex...
F.B.: Si!! Effettivamente l'incontro con Aldo e di conseguenza con la scena francese mi ha proiettato nel gotha del jazz francese ed europeo. Ho inciso per la Universal con Aldo e poi ho formato il Bizart Trio (Virus per la Auand Records) che presentava tutte musiche di mia composizione (ma non solo), con una sonorità particolare che è piaciuta molto a critica e pubblico.
AAJ: Nel 2003 sei stato votato miglior nuovo talento dal referendum di Musica Jazz, quest'anno hai trionfato come strumentista dell'anno nella sezione ance. Cosa significano per te questi riconoscimenti? Qual è il tuo pensiero su classifiche e premi vari?
F.B.: I riconoscimenti fanno sempre piacere, ti mettono in luce tra i colleghi e il pubblico, ma non cambiano la tua situazione lavorativa in Italia. Qui se non fai parte di certe "parrocchie" non suoni comunque. Al contrario in Francia, se hai un bel gruppo, incidi un bel disco e fai bene il tuo lavoro hai molte più possibilità di calcare le scene dei festival principali. Tinissima, il mio attuale quartetto, ne è un esempio lampante: in Francia va in radio e suona in tutte le rassegne principali, facendo il tutto esaurito. In Italia, invece, prende le briciole che rimangono.
AAJ: Nella tua carriera hai dimostrato di trovarti a tuo agio tanto come sperimentatore (dai citati Kaiser Lupovitz ai Sax Pistols) quanto come musicista rispettoso della tradizione, come ad esempio nella lunga collaborazione con Giovanni Mazzarino...
F.B.: Guarda, io amo tutta la musica, a parte quella fine a se stessa, e quindi il jazz classico o mainstream mi piacciono moltissimo. Dipende sempre come ti accosti alle cose. Con Giovanni, pur essendo diversissimo da lui, sono stato molto amico in quel periodo e mi sono divertito un sacco.
AAJ: Negli ultimissimi anni la tua carriera esplode: incidi, tra gli altri, con Gianluca Petrella e Stefano Battaglia, fino alla deflagrazione Sax Pistols, gruppo tra i più travolgenti apparsi sulla scena italiana...
F.B.: Devo molto a Marco Valente che mi ha prodotto Stolen Days, se l'avessi fatto in Francia probabilmente avrebbe avuto molto più successo. Ma non è finita lì. I Sax Pistols prima o poi torneranno. Ho amato moltissimo la collaborazione con Battaglia e adoro lavorare con Gianluca.
AAJ: E arriviamo proprio al recente Tinissima, apprezzato quartetto con cui hai registrato Suite for Tina Modotti e che si appresta a far uscire il nuovo CD dedicato a Malcom X. Come è nata l'idea di questo gruppo?
F.B.: L'idea è quella di celebrare personaggi che con la loro vita possono essere di grande esempio per tutti, ma prima di tutto per me stesso. Leggere le loro biografie con le loro imprese e il loro pensiero è per me molto eccitante e mi stimola tantissimo nello scrivere. Sapere poi che tramite il mio lavoro molta gente si va a leggere l'autobiografia di Malcom X o scopre e si innamora di Tina Modotti è una soddisfazione enorme. Aggiungo che sono stato fortunatissimo nella scelta dei "Tinissimi," musicisti straordinari e generosissimi.
AAJ: Quali sono i tuoi rapporti con l'elettronica? Penso ai Sax Pistols o al progetto About a Silent Way con Martuscello, Bosso, etc...
F.B.: Non sono molto esperto, anche se traffico un po' con le macchine. Con i Sax Pistols volevo trasformare il sax in una chitarra e credo di esserci riuscito, ma non parlerei in questo caso di vera elettronica. Con Martuscello, invece, suoniamo su delle basi da lui create e forse quell'operazione è più in stile elettronico. Io però amo soprattutto la tecno pura, il suono industriale e un po' goth. Ed è da molto tempo che nei miei deliri elettronici (simulo molto bene con la voce tutte queste sonorità) cerco di capire come posso togliermi questo sfizio!
AAJ: Quali nuovi orizzonti si prospettano per quella musica che ci ostiniamo a chiamare jazz?
F.B.: Non ne ho idea. Spero di sentire il jazz alla radio, e non solo il jazz, ma anche tutte le altre musiche. Di far sì che la gente possa scegliere e non solo subire e consumare la musica come fosse mangime per i polli. Insomma che la musica sociale torni ad essere libera e varia (presupponendo che lo sia stata in passato) in tutte le sue sfumature, jazz incluso.
AAJ: Intravedi in Italia qualche giovane che sta cercando di intraprendere sentieri nuovi e interessanti?
F.B.: Tra i giovani musicisti usciti ultimamente ammiro molto Francesco Bigoni e Federico Casagrande, bravi e talentuosi.
Foto di Claudio Casanova
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