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Esperanza Spalding: l'equilibrio interiore
Gli appassionati di Classica e di Jazz si confrontano sulla musica ormai da anni. Se Wolfgang Amadeus Mozart e Duke Ellington avessero mai potuto incontrarsi, si sarebbero probabilmente guardati con reciproco rispettoper poi discutere di battute, note e assoli... e, forse, la musica sarebbe fluita così facilmente come le parole. Ormai da molto tempo i musicisti educati nella tradizione classica hanno smesso di guardare dall'altro in basso i loro colleghi dediti all'improvvisazione, ma certi pregiudizi sono duri a morire, e, fortunatamente, esistono musicisti in grado di far aprire gli occhi a chi ancora si ostina a tenerli chiusi.
Se riuscite ad immaginarvi un luogo di beata solitudine, dal quale scaturisce una musica meravigliosa e nel quale i sentimenti si manifestano sottoforma di melodia, ecco, quella sarebbe la perfetta location per il disco di Esperanza Spalding Chamber Music Society (Concord Records, 2010). Dove la contrabbassista, cantante e cantautrice riesce a far convivere la musica classica e il Jazz, combinate con la stessa delicatezza che un poeta esprime mentre recita i suoi versi.
C'è qualcosa nel delicato suono della voce di Esperanza Spalding che richiama quello di un violinorinforzato dal suo modo di suonare il contrabbasso. La venticinquenne ragazza prodigio (a vent'anni era già membro della facoltà del Berklee College of Music) scava a fondo nella suo giovane animo per trovare le radici di quella musica che fu la causa prima della sua creatività, ed è riuscita a trovare un equilibrio tra il Jazz e la musica da camera nel suo album, che è tanto incantevole quanto intimo e profondo.
All About Jazz: Cosa è cambiato per te, dal 2008, anno del tuo disco d'esordio Esperanza?
Esperanza Spalding: Sono successe molte cose, e ne continuano a succedere delle altre, tutte legate alla mia carriera professionale. Ho viaggiato molto, ho suonato molto. È aumentata la mia auto-consapevolezzanon solo come persona, ma anche come musicistama non è stato nulla di miracoloso. Credo faccia semplicemente parte della vita di una persona.
AAJ: Cos'è la Chamber Music Society?
E.S.: Per me la Chamber Music Society è un sacco di cose. Una delle cose che rappresenta è questa direzione, questo aspetto della mia musica che è influenzata e ispirata dai molti anni passati da violinista. Insomma, avevo questa musica in testa e non mi ha mai lasciato, non importa quanto a fondo mi buttassi nel Jazz, dato che ho suonato il violino per vent'anni: musica classica, e molta musica da camera. Semplicemente una parte di me.
Ci sono altri motivi, perché avevo questo repertorio in testa e tentavo di trarne un senso, e anche un disco. Così mi sono detta, "Sai una cosa? Questa musica ha un sound tutto suo, e quindi deve avere un disco tutto suo." E quindi, mentre la musica evolveva, e cominciavo a scriverne altra per archi e ne parlavo con altri addetti ai lavori, ho cominciato a rendermi conto che stava crescendo una familiarità, un interesse e una curiosità, un'ossessione/passione tra il mondo del Jazz e quello della musica classica, che provano un interesse reciproco in ciò che l'altro fa. Sembrava che ci fosse un movimento, che stesse avendo luogo una sorta di sviluppo ed evoluzione nella musica.
E anche il nome, Società della Musica da Camera, cosa significa? Per me rappresenta letteralmente un'idea che ritengo essere meravigliosa sia per la musica sia per chi la esegue: vale a dire un gruppo di musicisti che suonano insieme, per intrattenere ad un ricevimento o ad una cena; o una musica che si possa suonare con gli amici provando il divertimento legato al fatto di suonare questo tipo di musica. L'insieme di tutte queste cose è per me il cuore e il significato, il vero significato, che sta dietro il repertorio contenuto in questo disco. Una spiegazione articolata [ride].
AAJ: Dopo aver ascoltato l'album, il concetto è chiaro. È un disco tenero e delicato. Da dove viene tutta questa dolce energia?
E.S.: Sai, ho potuto sperimentare di persona delle esperienze davvero illuminanti, molte delle quali hanno a che fare con situazioni tristi, altre con delle perdite, e delle riflessioni personali, perciò questo tipo di energia era dentro di me quando mentre componevo. E una volta fissate alcune delle composizioni, basate su quei pochi accordi che dovevano essere nel disco, ho creato il resto del repertorio intorno a queste, creando un insieme unito e solido. Il disco si sviluppa intorno a brani cardine come "Knowledge of Good and Evil," "Little Fly" e "Apple Blossom," e queste tre canzoni sono molto tenere, e in un certo senso molto melanconiche; rappresentavano ciò che sentivo, e sentivo di doverlo esprimere senza nasconderlo.
Credo che in molti, incluse alcune persone della casa discografica, si aspettassero qualcosa di più mainstream che potesse rappresentare una mia incursione "da manuale" nel genere Jazz; ma sentivo di dover fare questo disco proprio così e proprio adesso, non solo per me, ma anche per testimoniare ciò che sta accadendo nel panorama musicale. Insomma è proprio un disco vero. Dove si ritrovano insieme la musica classica e il Jazz.
AAJ: Hai cominciato a lavorare ad alcuni di questi brani anni fama hai solo venticinque anni; com'è possibile?
E.S.: [Ride] Qualche brano in particolare?
AAJ: Ad esempio "Little Fly". O "Apple Blossom" con la voce di Milton Nascimento.
E.S.: [Ride] Ancora non mi capacito che Milton che canti in quel brano. E pensare che scriverla mi ha dato così tanti problemi. Mi sono resa conto di come "Apple Blossom" sia un brano nel quale molti si riconoscono, che parla al loro cuore. Ma ancora e non sono in grado di spiegarne la genesi. Quel che so è che una mattina, doveva essere Marzo del 2009, o forse prima, Settembre 2008, era Autunno, ero in hotel e mentre mi facevo la doccia si è materializzata prima la scena, poi la storia che sono alla base di questa canzone. Non so da dove siano usciti, ma ho cominciato a gridare lì, nel bagno, "Ma che diavolo? Che succede?" Non si trattava di sindrome premestruale: mi era venuta l'ispirazione e mi aveva colpito come un pugno.
Corsi giù a fare colazione, tentando di togliermela dalla testa. Ma non ci riuscivo, mi ronzava in testa la storia di quest'uomo, del modo in cui guarisce grazie a questa pianta, un albero che rappresenta la vita di questa persona che lui ha perso. Non so, non mi è mai capitato nulla di simile, quindi non so cosa possa voler dire: è successo così, e basta. Insomma, nell'ultimo anno e mezzo ho provato a mettere insieme il brano, cercando la melodia e capendo cosa dovesse diventare. E ad un certo punto mi è parso lampante che Milton dovesse dar voce a questo brano. Che è nato e si è sviluppato tutto nella mia testa, e non allo strumento, per cui non è stato difficile finire la scrittura del testo e realizzarla. E quella mattina di Novembre dello scorso anno, il giorno della registrazione, ho finito di scrivere parole venti minuti prima di andare in studio. E l'ho registrata. È davvero bizzarro. È stata una cosa misteriosa, non sapevo da dove venisse, ma allo stesso tempo era una cosa che volevo realizzare da molto, molto tempo.
AAJ: Cosa mi dici di Gretchen Parlato e "Inutil Paisagem"?
E.S.: Ci conosciamo da un po' di tempo. Ci siamo esibiti insieme qualche volta, e lei è diventata una mia cara amica. Un giorno mi è venuta a trovare e ci siamo messe a parlare di possibili progetti da realizzare insieme. E ne è uscito quell'arrangiamento, e secondo me l'intimità, il timbro di quel brano, il suo colore, le percussioni, il contrabbasso e la parte cantata, può risultare una cosa un po' diversa alle orecchie di chi ascolta, ma cattura quella sintonia che c'è tra due persone che si piacciono e stanno bene insieme, che insieme fanno musica per puro divertimento, per intrattenimento, dalle quali si sprigiona il piacere di sperimentare quel tipo di musica. Insomma, sembrava molto in linea con l'intero progetto.
AAJ: L'album si apre con un brano ispirato ad una poesia di William Blake. Parlaci di "Little Fly."
E.S.: Già, William Blake. È stupefacente. Talvolta il solo fatto di trovarsi a casa può influenzare parecchio la tua vita. Ho un libro di cartoline che rappresentano i disegni che William Blake realizzò per illustrare la poesia, e il dipinto di questa piccola mosca [Little Fly, N.d.T] colpì la mia attenzione ancor prima di leggere la poesia. Pensai che era un'immagine davvero potente. E di nuovo, senza sapere da dove venisse, un giorno mi stavo esercitando e la melodia si formò nella mia mente, e scoprii che si adattava perfettamente.
AAJ: Insomma, c'è un aneddoto per ogni cosa, in questo disco.
E.S.: Assolutamente sì. Il modo nel quale questo disco ha preso forma è legato a questo repertorio che si sviluppava piano piano senza aver ancora una precisa collocazione. E ad un certo punto capii "Oh mio Dio, questo si merita un contenuto più ricco, e quello non può non far parte dell'album," ed ogni brano andò magicamente al suo posto.
AAJ: Dove comincia l'Esperanza cantante e finisce la musicista?
E.S.: Bella domandama non ho mai visto la cosa da questa prospettiva. Non riesco a stabilire un confine ben definito. Faccio quel che va fatto, sia che significhi cantare in un brano o meno, non so... Mi hai colto alla sprovvista! Non lavoro in quel modo; per me entrambi gli elementi, il cantare ed il suonare, fanno parte della motivazione che deriva dal comporre: è la mia passione, e la mia passione governa ogni cosa, tutto deriva da lì.
AAJ: Cosa avevi in mente quando hai cominciato a lavorare a questo progetto? Quale era il tuo scopo, cosa volevi comunicare?
E.S.: Beh, volevo fare in modo che questo tipo di ensemble, molto ispirato da un repertorio classico, di musica da camera, piacesse agli ascoltatori. Secondo me l'influenza della musica classica da camera dà carattere al sound, al timbro e alle sensazioni che il disco sprigiona; volevo far provare un'esperienza del genere, accompagnata dall'improvvisazione e dagli stili compositivi propri del Jazz, anche a chi non ha familiarità con quel genere di musica. Almeno credo, non vorrei sembrare pretenziosa.
A posteriori, riusciamo talvolta a trovare spiegazioni molto profonde, ma per me tutto ciò era così vero, e così reale, che semplicemente volevo condividerlo con gli altri. Come quando fai un disegno meraviglioso e lo vuoi condividere con gli altri perché pensi che potrebbe piacere anche ad altri, e così lo appendi al muro. Ecco, questo è il punto: è qualcosa che offro perché penso che potrebbe piacere ed essere apprezzato dagli altri. Ci credo davvero.
AAJ: Come sei riuscita a far convivere questi due generi senza che, come spesso succede, la componente classica fosse preponderante sul Jazz?
E.S.: Una cosa di cruciale importanza della quale non abbiamo ancora parlato è che quando ho avuto l'idea di fare quest'album ho tratto ispirazione per gli arrangiamenti e per il testo dal disco di Michael Brecker intitolato Wide Angles (Verve 2003), nel quale suona un Quindectetto, cioè un ensemble di musica da camera abbastanza ampio e una sezione ritmica, oltre naturalmente a Michael Brecker stesso, con la sua magnifica presenza musicale. E non mi ero resa conto di aver trascritto e studiato per anni il lavoro e la musica del produttore e arrangiatore di quel disco, Gil Goldstein; non sapevo neanche il suo nome. E quando alla fine capii chi aveva arrangiato i brani di quel disco, capii che avevo assolutamente bisogno di lui per il mio disco. Ora comprendo quanto siamo in sintonia, concettualmente, pura magia.
Ci siamo incontrati e abbiamo cominciato a parlare dell'idea: gli mostrai quel che avevo sviluppato, compresi gli arrangiamenti, e mi disse, "Oh, sì, capisco quel che vuoi fare," e abbiamo lavorato su tutto quanto. Gli ho anche chiesto di fare un paio di arrangiamenti, e lui partendo da semplici spunti sviluppava proprio ciò che avevo in mente! Mi capiva perfettamente. Penso che sia grazie a lui che la musica ha mantenuto quell'equilibrio. Qualcuno può pensare che una predomini sull'altra, ma l'idea alla base dell'intero progetto, con gli arrangiamenti e tutto il resto, è stata quella di creare questa comunità, questo gruppo nel quale noi tutti mettiamo le nostre forze al servizio della musica. E penso che ci siamo riusciti, perché gli arrangiamenti hanno dato eguale significato ed importanza ad entrambi i generi.
AAJ: Se dovessi descrivere questo album in una parola, quale useresti?
E.S.: Intimo? È la prima parola che mi viene in mente. Magari non è quella giusta, dovrei pensarci un po' su, ma è la prima che mi viene in mente.
AAJ: Che effetto ti fa sentirti definire "il futuro del Jazz e della musica strumentale"?
E.S.: Oh, penso sia una definizione abbastanza sterile. Non significa nulla. Ho venticinque anni, e non ho ancora fatto nulla. Ci sono persone senza le quali persone come me non sarebbero arrivate dove sono arrivate, loro sì che si meritano una definizione del genere. Condividiamo quei momenti, e loro se ne spartiscono il merito.
AAJ: Cos'è per te la musica? In relazione al tuo modo di suonare, di cantare e di comporre?
E.S.: La domanda corretta sarebbe "Cos'è il linguaggio? Cos'è la comunicazione?" Quale che sia la risposta a questa domanda ecco, questa per me è la musica.
AAJ: Quindi la musica è per te un modo di comunicare con gli altri.
E.S.: Immagino di sì. Non c'è una risposta. Non c'è una risposta alla comunicazione, al linguaggio. Cos'è il linguaggio? Ci sono così tanti modi di affrontare l'argomento. Possiamo discuterne da un punto di vista scientifico, oppure in maniera più filosoficain fondo, il linguaggio è il modo che abbiamo di comunicare i nostri pensieri più reconditi. La gente capisce cosa significhi pensare, sentire e provare emozioni... E ci sono così tanti modi di descriverlo. E quindi se sei in grado di dare una definizione al concetto di comunicazione, allora avrai capito cosa la musica significhi per me.
Discografia Selezionata
Esperanza Spalding, Chamber Music Society (Concord Records, 2010);
Lionel Loueke, Mwaliko (Blue Note, 2010);
Ana Carolina, Nove (Self-produced, 2009);
Mike Stern, Big Neighborhood (Heads Up, 2009);
Joe Lovano, Folk Art (Blue Note, 2009);
Fourplay, Energy (RCA Victor, 2008);
Esperanza Spalding, Esperanza (Concord Records 2008);
Esperanza Spalding, Junjo (Ayva Musica, 2006);
Christian Scott, Anthem (Concord, 2007);
Stanley Clarke, The Toys of Men (Heads Up, 2007);
Nando Michelin Group, Duende (Fresh Sound New Talent, 2006);
Ramona Borthwick, A New Leaf (Whaling City Sound, 2006).
Traduzione di Stefano Commodaro
Foto di Claudio Casanova
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