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Elliott Sharp & Terraplane (Special Guest: Hubert Sumlin)

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Aperitivo in Concerto

Teatro Manzoni - Milano - 26.11.2007

Come molti jazzofili milanesi, per la serata di lunedì 26 novembre mi sono trovato di fronte al dilemma di dover scegliere tra due concerti davvero interessanti: quello di Gianluigi Trovesi al Teatro Dal Verme, e quello di Elliott Sharp al Teatro Manzoni. Considerato che ho avuto numerose occasioni di ascoltare Trovesi, e che questa del Manzoni era l'unica data italiana di Elliott Sharp, la mia scelta è doverosamente caduta su quest'ultimo. Approfittiamo così dell'occasione anche per rendere il giusto merito all'organizzazione degli Aperitivi in Concerto, rassegna che presenta sempre un cartellone ricco di nomi stimolanti ed inusuali per il pubblico italiano.

Elliott Sharp, dicevamo. Polistrumentista, e musicista polimorfo, qui si è presentato con i Terraplane, ovvero nella sua veste più blues. Un blues non cristallizzato nelle forme tradizionali, interpretato più come intenzione che come genere musicale. Naturalmente aperto a mille influenze, dal funk all'avanguardia newyorkese (di cui Sharp è assiduo frequentatore), al jazz, senza tuttavia dimenticare le canoniche twelve bars. E così, in un continuo flusso di situazioni musicali differenti, la formazione varia di conseguenza. Il nucleo strumentale (oltre al leader a chitarre e sax, Curtis Fowlkes al trombone, Alex Harding al sax baritono, David Hofstra al basso elettrico, Tony Lewis alla batteria) è sempre presente, ma le voci di Eric Mingus e Tracie Morris entrano ed escono dal palco in funzione della modalità espressiva desiderata.

La band ha un tiro notevole, e la musica scorre fluida e potente, sia pure con qualche sbavatura. Eric Mingus è spesso sopra le righe, fino a risultare deleterio; alcuni interventi solistici, non indimenticabili, sono tirati un po' troppo in lungo. Ma questi “difetti”, se così li vogliamo chiamare, sono parte integrante del blues e confermano che pur nella sua trasversalità, Sharp compie un'operazione che ha una sua integrità e correttezza filologica. E poi ci sono i testi. Il blues di Sharp si è affrancato dai temi tradizionali del genere. Il nostro non deve certo essere un grande sostenitore dell'attuale amministrazione americana, e non perde occasione durante il concerto per manifestare il suo pensiero. Ai padri assenti, ed ai figli che salgono su un treno per abbandonare il paese natale, si sostituiscono temi di più stringente attualità: i mercanti d'armi, il petrolio, le brutture ed i bollettini di guerra che riempiono la nostra quotidianità. La dicotomia tra questi temi angoscianti e la freschezza di una musica spesso accattivante è notevole e di forte impatto emotivo.

Nell'ultima fase del concerto, sul palco è salito anche Hubert Sumlin, una delle leggende del chitarrismo blues. Presenza dolcissima, sorriso mite, abbigliamento impagabile (deliziose sia la giacca con vistosi disegni che le babucce viola con ricami dorati). E però, dal punto di vista strettamente musicale, il suo ingresso sul palco ha fatto perdere coerenza al concerto. Quando ci si confronta con le leggende, in qualche modo si resta prigionieri del mito stesso. Il blues atipico ascoltato nella prima parte del concerto è diventato un po' meno atipico. Si è appoggiato, per forza di cose, su strutture più consolidate e prevedibili ed ha ritrovato solo nel bis, in quel non-luogo e non-tempo che sta tra la teorica fine del concerto e la reale chiusura del sipario, lo smalto originario.

Foto di Roberto Cifarelli

Altre immagini tratte da questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.

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