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Ellery Eskelin - Andrea Parkins - Jim Black

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Area Sismica - Forlì - 17.11.2007

Il trio Eskelin-Parkins-Black è un gruppo longevo: attivo dal 1994, ha accumulato una nutrita discografia, una ricca esperienza live e l'affiatamento proprio delle formazioni mature. Ed è infatti considerata una delle realtà più significative del nuovo jazz contemporaneo.

Ellery Eskelin è indubbiamente il cuore e la mente creativa del gruppo: sue sono tutte le composizioni, suo è il progetto estetico e - per così dire - programmatico del gruppo (sia nelle presentazioni dei brani in concerto, sia soprattutto nelle note di copertina dei CD, Eskelin esibisce una notevole propensione alla riflessione e all'elaborazione teorica intorno alla propria musica). Naturalmente, trattandosi di jazz (e nella fattispecie di jazz evoluto) ampi spazi di libertà creativa sono lasciati a tutti e tre i musicisti, che possono fare emergere le loro sensibilità individuali e i loro diversi approcci al suono e alla costruzione del proprio linguaggio espressivo.

Le personalità musicali più appariscenti ed esuberanti sono comunque quelle di Eskelin e Black. Il tenorista ha uno stile pienamente maturo, frutto di una preparazione solida e completa. Il suo fraseggio è raffinato ed elegante, ed integra in modo organico e coerente la tradizione del sax nel jazz moderno con la lezione post-free e contemporanea. Le linee melodiche che disegna nei suoi soli sono fluide, distese ed elaborate.

Il drumming di Jim Black è solido, articolato e flessibile nell'assecondare le traiettorie disegnate dai compagni, in particolare dalle ampie evoluzioni di Eskelin. E' stato anche autore di un brillante solo nell'introduzione di For No Good Reason, insieme elegante e potente.

Più discontinua è parsa invece Andrea Parkins, che si è mossa con esiti alterni fra tastiere, laptop e fisarmonica. Non che le si voglia rimproverare di non avere la stessa statura solistica degli altri due compagni: la sua identità e il suo approccio musicale non sono certo quelli tipici del jazzista, e il suo percorso è assolutamente laterale rispetto a questa musica; e d'altronde, anche in questo gruppo il suo ruolo è soprattutto quello di fornire un fondale e un tessuto connettivo che tenga insieme il suono collettivo.

Ma il punto è che - a parer nostro - coi suoi fondali armonici spesso vaghi e nebulosi ha spesso causato un raffreddamento della temperatura emotiva dell'insieme. In particolare alla fisarmonica, che cerca di suonare sfuggendo agli stereotipi stilistici dello strumento ed elaborandone il suono attraverso distorsione ed effetti per chitarra, la Parkins è parsa particolarmente statica e ripetitiva.

I suoi campionamenti e processamenti elettronici in tempo reale a volte s'impastavano bene col timbro e con l'atmosfera dei pezzi, in particolare nell'iniziale Quiet Music (fuso insieme al più complesso e cerebrale Coordinated Universal Time), una sorta di ohm meditativo, una serie di drones del sax che la Parkins ha campionato ed elaborato in tempo reale; altre volte invece sono parsi superflui e ininfluenti.

E' invece risultata decisamente più efficace alla tastiera, in particolare nei pezzi più soulful, come nel bis finale di Half a Chance, dove un'armonia semplice ma diretta ed incisiva sosteneva la bruciante cavalcata nei territori dell'anima black di un Eskelin particolarmente intenso.

Altro brano saliente, forse il migliore del concerto, è stato 43 RPM, un up-tempo con una ritmica potente pseudo drum'n'bass, con un Eskelin infuocato e una Parkins particolarmente energica alla tastiera che ricordava certe intemperanze di Sun Ra all'organo o al synth.

Un concerto quasi impeccabile e che ha avuto momenti memorabili, anche se - per quanto ci riguarda - ha un po' sofferto di una certa tiepidezza nella prima parte.

Foto di Claudio Casanova

Altre foto di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.=

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