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Dino Betti van der Noot al No’hma di Milano

Dino Betti van der Noot al No’hma di Milano
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Spazio Teatro No'hma
Milano
22.03.2017

Grande appuntamento (doppio, dato che il concerto è stato replicato la sera seguente) per il jazz milanese, anzi italiano tutto, vista la rarità con cui Dino Betti van der Noot ha occasione di raccogliere attorno a sé i suoi uomini e proporci anche dal vivo la musica che esce dai suoi dischi, generalmente premiati seriali nei vari referendum di settore. L'altra sera al Teatro No'hma erano ventuno, gli uomini di cui sopra, letteralmente stipati sul palco come del resto il pubblico in sala (e qualcuno ha dovuto pure far dietrofront per esaurimento dei posti).

Con quattro trombe e altrettanti tromboni, cinque ance, violino, arpa, vibrafono, basso elettrico, doppia tastiera e doppia batteria, Betti ha dato di piglio a sei affreschi tratti dal suo repertorio più o meno recente, partendo col marmoreo "Midwinter Sunshine," in cui numerosi solisti già si son fatti largo al centro del proscenio (metaforicamente: qualcuno si è alzato, altri sono rimasti addirittura seduti).

Col successivo "Où sont les notes d'antan?," evidente richiamo a Villon via Brassens (le note sono nevineiges—in quel caso), ci si è addentrati nel repertorio più recente, visto che identico titolo avrà il nuovo album dell'orchestra, previsto per fine estate, e del resto anche le due serate al No'hma erano battezzate in questo modo. Dino Betti ha fatto notare nell'occasione quanto nella sua musica, consapevolmente o meno, emergano qua e là relitti di amori mai sopiti (e ha citato Haendel, Joe King Oliver e Duke Ellington), di cui questo brano è appunto una sorta di manifesto (letteralmente significa "dove sono le note di una volta?"). Alla sua prima esecuzione, il pezzo è parso ancora in progress, nel senso che si è avvertito un minimo di dispersività, certo assorbibile col tempo. Il flauto di Sandro Cerino ne è stato il mattatore (come di un po' tutta la serata, del resto).

Un altro inedito (per quanto già presentato dal vivo) è "That Muddy Mirror," che si rifà—sempre restando in tema di rimandi, qui del resto consapevolissimo, anzi cercato—al ben noto canto delle mondine "Sciur padrun da li beli braghi bianchi." Sarà anch'esso nel nuovo disco, mentre profonde radici nel passato bettiano affonda "Velvet Is the Song of Drums -from Afar" (era in Space Blossoms, del 1989), presentato a seguire, per passare quindi a "The Paths of Wind," ancora sovraffollato di assoli (in generale, su questo terreno, oltre al citato Cerino andranno ricordati almeno Giulio Visibelli, Alberto Mandarini, Vincenzo Zitello, Luca Gusella, Emanuele Parrini e i due batteristi, Stefano Bertoli e Tiziano Tononi), e chiudere in gloria col bis "Lullaby for a Lion," con nuova girandola di solisti in clima opportunamente surriscaldato e progressiva uscita di scena dei musicisti, lasciandoci soli col flauto di Cerino, sorta di epilogo paradigmatico nei confronti di chi, solisticamente parlando, ha lasciato il suo marchio sulla serata (non è una novità, d'altronde).

Ora attendiamo un seguito, per l'orchestra targata DBvdN così come per la programmazione del No'hma, che si annuncia agguerrita.

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