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Bollani - cambiare per divertirsi
ByIl Bollani che prefersico e' quello che le fa tutte. Nessuna esclusa. Preferisco il Bollani che cambia ogni giorno perche' si diverte
È anche l'ottimo pretesto per un'intervista, dove oltre a percorrere strettoie inevitabili, come il disco in questione, si prende volentieri il largo di una carriera già esemplare, ricca di avvenimenti importanti e aggrinzita, ma giusto un po,' da un rifiuto incassato con l'ironia che accompagna Bollani in ogni cosa, in ogni sua incarnazione.
All About Jazz Italia: Facciamo questa intervista dopo diversi contrattempi, dovuti forse al fatto che avevo detto all'ufficio stampa che si trattava di "10 domande"?
Stefano Bollani: Dici che mi sono spaventato? (ride, ndr). No, ma siccome l'ultimo che gli hanno rivolto dieci domande c'ha dei casini pazzeschi, come si chiama? Berlusconi? Non saranno mica le stesse?
AAJ: No, sono riguardo alla tua attività di musicista.
S.B.: Allora va bene, ci sono.
AAJ: Stone in the Water è un disco equilibrato, sei d'accordo con questa mia affermazione?
S.B.: Non lo so, mi fa piacere che tu lo dica, però forse non sono d'accordo. Quando riascolti un disco ti vengono in mente un sacco di situazioni. Anche il percorso che ti ha portato a fare una certa cosa anziché un'altra, quindi un po' di titubanze, un po' di indecisioni ci sono sempre; non so se alla fine sia un lavoro equilibrato. È un disco registrato in un giorno e mezzo, è la fotografia di un momento, e la fotografia non è sempre perfetta. A mio avviso è una bella fotografia, però non saprei dire se è equilibrata.
AAJ: Ai tempi di Piano solo dichiarasti: «penso sempre di poter fare qualcos'altro, non necessariamente di meglio, ma di diverso». Cosa c'è di diverso, ed eventualmente di migliore, in quest'album rispetto alle tue produzioni precedenti?
S.B.: Sì, sono ancora convinto di quella dichiarazione. Di migliore niente. Continuo a pensare che non essendo l'uomo in evoluzione non può esserlo l'uomo che fa musica. Per cui non è che Stone in the Water sia migliore di quello prima. È totalmente diverso da Piano solo, ma ancor di più da Carioca che in termini di tempo è la storia più vicina. Di diverso c'è sicuramente che è un disco di un gruppo vero e proprio. Le scelte sono state fatte in tre, tant'è vero che due brani sono a firma del bassista, non perché io sia ecumenico o democratico, ma perché effettivamente il gruppo è un trio paritario. Poi perché è un disco molto suonato sul momento e molto poco ragionato in anticipo. Siamo concentratissimi nel momento in cui suoniamo, ma non c'è dietro un progetto extra musicale, si tratta solo di fare bella musica, o almeno di provarci.
AAJ: Quando registri con l'ECM, in che percentuale sei condizionato?
S.B.: Abbastanza. Ed è anche giusto che sia così, perché Manfred (Eicher, ndr) è un produttore vero e quindi entra nella musica che fai. È assolutamente decisivo, come è giusto che sia. I produttori veri sono pochi, quindi in altri dischi non se ne avverte la presenza. Manfred conosce la musica, è il quarto elemento del gruppo.
AAJ: Quattro temi su nove sono a tua firma. Un rapporto insolito per le tue produzioni. Come è nata la scaletta?
S.B.: Non mi pongo mai il problema di dover fare tanti pezzi miei o dover mettere per forza una canzone brasiliana, come poi effettivamente è successo. È nata naturalmente, per lo più sono brani che non avevamo quasi mai suonato, e che suoneremo dal vivo a novembre. A parte un paio di pezzi, gli altri sono stati tutti sviscerati quando abbiamo registrato a New York. Sono quasi tutte prime esecuzioni e per questo sono particolarmente contento.
AAJ: Hai accennato ai prossimi concerti.
S.B.: Faremo molte date, in Italia, Spagna e Inghilterra. Partiremo sicuramente dal repertorio del disco, che non abbiamo mai suonato dal vivo, quindi ne ho voglia e siamo curiosi di vedere come andrà. Naturalmente faremo anche dell'altro, perché suonare ogni sera con lo stresso gruppo vuol dire che per me è necessario cambiare ogni sera la scaletta, altrimenti proprio non riesco. Se una cosa vuol dire ancora oggi la parola "jazz" è improvvisazione, quindi rischio, quindi azzardo, quindi gioco, prontezza di riflessi e quindi l'imprevisto.
AAJ: C'è un brano, "Il cervello del pavone," che si differenzia un po' dagli altri, a cominciare dal titolo, abbastanza singolare.
S.B.: I titoli cerco di darli il più singolari possibili, così ognuno ci lega quello che vuole. Cerco anche di non spiegarli, nel senso che io ho la spiegazione di quel titolo, ma non è importante per capire il brano, penso sempre che ognuno dia una spiegazione diversa. Per farti un esempio: "Stone in the Water," potrebbe essere un sasso gettato nello stagno e che quindi crea dei cerchi concentrici, e dunque genera movimento, ma potrebbe essere un sasso fermo nello stagno. A me piace molto che il titolo non sia chiaro, che sia vago, come Piano solo o Concertone. In questo disco credo di aver dato tutti i titoli dopo aver registrato i pezzi.
AAJ: La scorsa settimana sei stato a suonare in Brasile, in questi giorni esce il disco con i danesi. Qual è i Bollani che preferisci?
S.B.: È quello che le fa tutte. Nessuna esclusa. Preferisco il Bollani che cambia ogni giorno perché si diverte.
AAJ: Ma tutte queste situazioni diverse nelle quali sei impegnato, non pensi che possano dar luogo a un disorientamento del pubblico?
S.B.: Sono preoccupato per le conseguenze che possono provocare in me, perché mi preoccupo di un'eventuale schizofrenia in futuro, ma siccome lo faccio da molti anni forse ho sviluppato gli anticorpi. Per quel che riguarda il pubblico, credo di no. Perchè chi mi segue ormai penso abbia accettato questo mio modo di fare, ne è consapevole e lo gradisce. C'è gente che viene a sentirmi più volte in un anno perché sa che non sentirà lo stesso concerto. Chi mi ama mi segue, non ci posso far nulla, sono fatto così anche nella vita, perciò non potrei mai fare una cosa sola per compiacere un eventuale pubblico.
AAJ: Enrico Rava ti ha definito come "Jazzista Puro" a lettere maiuscole. Come ti vedi addosso questa definizione?
S.B.: Puro non mi sento, né come uomo né come jazzista. I puristi del jazz, cioè quelli che vorrebbero che il jazz non si contaminasse con nessuna altra musica, sono fuori tempo massimo, nel senso che il jazz è nato come incontro di molte musiche, di molte razze, e ha continuato per tutta la sua vita a mischiarsi, e continua tutt'ora a farlo: non so cosa sia un "jazzista puro". Enrico, quando dice quella cosa, intende dire che preferirebbe che io facessi il jazzista anziché fare lo scrittore, il comico, il presentatore radiofonico, in pratica dice che mi preferisce come musicista.
AAJ: Anche se il ruolo del musicista di jazz, rispetto al passato, ha assunto caratteristiche diverse.
S.B.: Certo. Deve tenere le orecchie ancora più aperte, perché le suggestioni sono tante. Il jazzista negli anni '50, in America, bastava che andasse sulla 52esima e in una sera poteva ascoltare tutti i grandi dal jazz, erano tutti lì, o quasi, c'era giusto qualcuno a Parigi. Adesso di buona musica ce n'è ovunque, di musica brutta anche, bisogna tenere gli occhi aperti, girovagare e essere molto più curiosi.
AAJ: Hai già fatto diverse esperienze importanti e ottenuto molti riconoscimenti. Hai ancora un sogno da coltivare?
S.B.: Fino all'anno scorso potevo risponderti che desideravo fare qualcosa con Caetano Veloso, ma è successo, quindi questa risposta mi tocca cancellarla. L'altra è fare una colonna sonora. Possibilmente per un film che mi piaccia, perché volevo laurearmi in storia del cinema da ragazzino, sono un appassionato. Ma finora è andata molto male, perché l'unica che avevo scritto, e già registrato, era quella per Caos calmo, il film con Nanni Moretti, che poi è stata rifiutata all'ultimo, quindi per un po' mi sono detto di lasciar perdere. Però a questo punto rilancio l'appello, a me piacerebbe molto.
AAJ: Ma nel frattempo non hai più avuto offerte?
S.B.: No, dopo che si è sparsa la voce che ne ho fatta una ed è stata rifiutata a un mese dall'uscita del film, credo che non mi chiameranno per un po,' giustamente (ride, ndr). Devo dire che era una colonna sonora piuttosto ardita, ma se uno mi chiama e gli dico che vengo a improvvisare sulle immagini con il mio quintetto jazz, un po' deve aspettarselo. Ho fatto quello che avevo annunciato, forse loro pensavano che avrei fatto una cosa un po' più melodica, invece era piuttosto ardita.
AAJ: Hai già pubblicato molto, la tua discografia inizia a somigliare a un puzzle. Tra cento anni, quando smetterai, che figura ti aspetti di vedere?
S.B.: Quella del mondo in cui stiamo vivendo, dove più che una corrente artistica, più che un pensiero unico, più che una idea precisa o un partito politico, ci sono un insieme di suggestioni che ognuno tiene insieme in maniera diversa. Il filo che tiene insieme le mie, potrà sembrare esile dall'esterno, ma è potente, perché mi ha garantito e ha fatto in modo che facessi questo per tutta la vita.
Foto di Robert Lewis (la prima) e Claudio Casanova (le altre)
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