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Bireli Lagrene Gipsy Project
ByUn concerto disastroso da parte di un gruppo mediocre, che certamente non lascerà traccia nella memoria dei jazzofili palermitani più competenti. Per quelli che si sono accontentati di poco, sono bastate inondazioni interminabili di scale alla chitarra, all’insegna dell’alta velocità.
Due chitarre, un sax, un contrabbasso formano l’armamentario strumentale del Gipsy Project, guidato dal virtuoso chitarrista Birèli Lagrène. Una combinazione timbrica echeggiante i combos reinhardtiani della metà degli anni ’40, per rileggere lo swing degli anni ’30 e soprattutto il repertorio del "Quintette du Hot Club De France".
Buoni gli intenti ma di scarso rilievo artistico gli esiti, almeno nell’esibizione palermitana, condotta all’insegna della calligrafia. Che il concerto rischiasse di non risultare memorabile, lo si è capito dalle note del brano d’apertura: una sciatta rivisitazione di “Just The Way You Are”, più vicina ad un brano di Johnny Sax e Fausto Papetti che non ad una formazione di jazz. Ma il kitch non si è fermato qui, con successivi reminiscenze alla Santo e Johnny.
Meglio sono andate le cose per la rilettura di alcuni classici come “More Than You Know” e per il repertorio di Reinhardt (“Nuages”). Anche qui molta tecnica e poco cuore: velocità strabordante alla chitarra per ottenere i facili applausi ma poca progettualità. Un interminabile diluvio di note senz’anima, con qualche scivolone di gusto e d’arrangiamento davvero marchiani; è il caso di “Cheek to Cheek”, trasformata in una innocua canzoncina di Natale, dall’effetto davvero soporifero.
Ed anche nel celeberrimo “Minor Swing” mancava l’incisività ritmica, la verve e quella vena lirica che trasforma il buon esecutore in un artista. Vi prevaleva invece il compiacimento virtuosistico, facendo rimpiangere l’ineguagliabile arte del modello di riferimento (Reinhardt).
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