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Area - viaggio nella memoria insieme a Patrizio Fariselli
ByEravamo molto autoreferenziali e la nostra ricerca si spingeva oltre i territori del jazz o del rock comprendendo la musica mediterranea e balcanica e le sperimentazioni della musica contemporanea
Una band in divenire, la Cramps e i primi concerti
«Arbeit Macht Frei fu il risultato di un lungo percorso di avvicinamento che durò almeno un anno. Il primo nucleo degli Area comincia infatti a stabilizzarsi nel 1972, con un gruppo di musicisti che comprendeva Giulio Capiozzo alla batteria, Demetrio Stratos all'organo e voce, Victor Edouard Busnello ai fiati, Johnny Lambizzi alla chitarra elettrica, Patrick Djivas al basso, Leandro Gaetano e il sottoscritto al pianoforte e sintetizzatore. Era una band dalla forte indole strumentale e Stratos, in un primo momento, dovette penare un po' per ritagliarsi il suo ruolo. Dico questo, anche se può sembrare incredibile, perché per un cantante, avere a che fare con un ensemble che non fa canzoni, ovviamente, può essere quantomeno complicato. Comunque per lui non fu troppo difficile. Demetrio era un musicista autentico, suonava l'organo ed era un ottimo compositore. A poco a poco trovammo il nostro equilibrio, arrivammo a inventare strutture in cui incastonare le parole e gli interventi vocali e, soprattutto, iniziammo a maturare una nostra identità musicale. In quel periodo ci fu l'incontro con Gianni Sassi, che fondò la Cramps appositamente per pubblicare il nostro primo disco e con Franco Mamone, già manager della PFM e del Banco del Mutuo Soccorso. Mamone riteneva le nostre lunghe improvvisazioni "devastanti" e ci disse che se volevamo avere almeno una speranza di "fare qualcosa" dovevamo lavorare su materiale più strutturato e (nelle sue speranze) più commerciale. Purtroppo per lui non andò così. Ricordo che, poco prima di incidere, facemmo un tour come gruppo spalla dei Gentle Giant e che la risposta del pubblico fu a dir poco di rigetto. Ci massacrarono letteralmente di fischi e insulti. Insomma, all'inizio fu molto dura, ma invece di dissuaderci, questi episodi ci resero più determinati. Sapevamo di avere qualcosa di interessante da dire e l'avremmo fatto ad ogni costo».
Arbeit Macht Frei (1973)
«Andammo dunque in studio con il tecnico del suono Gaetano Ria. E su un registratore a 16 piste incidemmo i primi take di Arbeit Macht Frei, sforzandoci di contenere al massimo le parti improvvisate. Il risultato fu un vero schifo e buttammo tutto nel cesso. Ricordo che da parte di tutti ci fu un vero scatto di orgoglio: nessuno voleva scendere a compromessi con il mercato o con chicchessia. Quindi riarrangiammo tutti i pezzi senza condizionamenti e il risultato fu Arbeit Macht Frei, un album a cui sono molto affezionato e che, a quarant'anni di distanza, credo sia invecchiato molto poco».
Area, Nucleus, Soft Machine...
«Certo in Arbeit Macht Frei ci sono alcuni vaghi riferimenti alla scena jazz rock britannica. Allora, oltre ai grandi del jazz, io ascoltavo anche Brian Auger e Mike Ratledge (il tastierista dei Soft Machine, N.d.R.) e mi piaceva molto il suono distorto che questo riusciva a tirar fuori dall'organo, così pure come i Soft Machine trattavano i tempi dispari, quasi sempre ruotando attorno alle linee di basso di Hugh Hopper. In seguito, la soddisfazione è stata grande quando venni a sapere che i Soft Machine ascoltavano e apprezzavano il lavoro degli Area. Ci sono certi momenti come in "240 chilometri da Smirne," in 15/8, che forse ci avvicinano alle formazioni inglesi di quel periodo come i Nucleus di Ian Carr o i Centipede di Keith Tippett, ma è necessario dire con chiarezza che gli Area hanno soprattutto seguito la loro strada, cercando sempre una dimensione originale. Eravamo molto autoreferenziali e la nostra ricerca si spingeva oltre i territori del jazz o del rock comprendendo la musica mediterranea e balcanica e le sperimentazioni della musica contemporanea. In Arbeit Macht Frei è presente anche un gran lavoro sul fronte dell'elettronica, penso all'intro del brano che dà il titolo all'album o "L'abbattimento dello Zeppelin". L'artefice di questo fu Paolo Tofani, appena entrato nel gruppo, grande artigiano del suono, maestro nell'uso dei sintetizzatori e nell'inventare suoni di fantasia».
Caution Radiation Area (1974)
«Nel 1974 escono dal gruppo Eddy Busnello e Patrick Djivas ed entra Ares Tavolazzi. Mi piace ricordare che prima di assumere quella che sarà la line up classica a quintetto (Stratos, Fariselli, Capiozzo, Tavolazzi, Tofani, N.d.R.), negli Area transitarono in quel periodo due grandi artisti: il sassofonista Massimo Urbani, col quale affrontammo una lunga tournée e, per una settimana, il contrabbassista Roberto Della Grotta. Con Caution Radiation Area il gruppo si consolida e dal punto di vista musicale avviene un processo di radicalizzazione. È certamente un disco più ostico e difficile di Arbeit Macht Frei. Demetrio "libera" completamente la sua incredibile vocalità e le parti improvvisate si fanno più radicali e aggressive. Nessuna mediazione era più possibile e noi eravamo perduti nella nostra ricerca. Significativa fu la reazione del nostro manager Franco Mamone quando venne in studio a trovarci per ascoltare in anteprima i brani del disco in uscita: "Adesso ragazzi sono cazzi vostri!" Disse proprio così, e aveva ragione. Non lo rivedemmo più per anni».
Crac (1975)
"Con Crac, il nostro terzo disco, facemmo un colpo di mano e ribaltammo quell'immagine un po' tetra e dura che fino allora aveva connotato le nostre pubblicazioni. La copertina dell'uovo che si rompe sintetizzava, tra l'altro, la nostra gioia di vivere e la speranza di costruire un mondo migliore. Con "La Mela di Odessa" demmo spazio anche al nostro senso dell'umorismo. In Crac ci sono due pezzi che allora rappresentavano i due punti estremi della nostra idea musicale: c'è una vera canzone, la prima del nostro repertorio, come "Gioia e Rivoluzione," e c'è "Area 5," un brano dalla radicalità estrema scritto per noi da Walter Marchetti».
Are(a)zione (1975)
«È un disco live, che cerca di trasmettere all'ascoltatore tutta l'energia, la forza comunicativa e il calore di una performance degli Area. Un disco imprevedibile come erano (e sono anche oggi) i nostri concerti perché, come ripeto, siamo degli improvvisatori nati. Inoltre, da sempre, uno dei giochi che amiamo fare, quando siamo sul palco, è quello di cercare di stupirci a vicenda con nuove invenzioni, deviando quindi dalle traiettorie consolidate e facendo delle nostre serate eventi unici e potenzialmente irripetibili».
Maledetti (1976)
«Questo album segna la fine del primo periodo storico del gruppo. Nascono i primi attriti interni, soprattutto tra Capiozzo e Tavolazzi che lasceranno temporaneamente il gruppo. Con Maledetti si chiude soprattutto la fase degli Area come gruppo chiuso e autoreferenziale. Per la prima volta in studio entrano numerosi ospiti, come i fratelli Arze, Steve Lacy, Paul Lytton, Walter Calloni e Hugh Bullen. Trovo che Maledetti sia un disco straordinario, pieno di contrasti. L'introduzione di "Gerontocrazia," ad esempio, con quelle percussioni così dure di matrice basca, l'improvvisazione di Lacy e il canto arcaico di Demetrio, a risentirla oggi, è un momento davvero sorprendente».
Event '76 (1976, pubblicato nel 1979)
«Dicevamo, fine del periodo autarchico. Event '76 documenta un nostro concerto all'Università Statale di Milano, in quintetto: Io, Demetrio e Paolo insieme a Steve Lacy e Paul Lytton. Una formazione molto interessante, nata con l'idea di creare una situazione dove ognuno potesse essere completamente libero di esprimere se stesso. A quel concerto venne a sentirci Arrigo Polillo, direttore di Musica Jazz. La cosa ci sorprese perché nonostante tutto eravamo visti come dei rockettari o peggio come una band progressive. E, certo, eravamo lontani dagli interessi della critica jazz ufficiale che allora era spesso tradizionalista e non vedeva di buon occhio tutto ciò che non era il mainstream più ortodosso. Sta di fatto che la sala era completamente piena e il giornalista dovette accomodarsi dietro il palco. In pratica, si trovò "in trappola" e non poté muoversi dal suo posto per tutta la durata del concerto. Alla fine, qualcuno lo sentì commentare: "Che strani questi Area... davvero strani". Era perplesso. Chissà, magari gli eravamo piaciuti».
Antologicamente (1977) e i tanti live
«Antologicamente è un "best of" alla rovescia, un disco che contiene i nostri pezzi meno famosi e conosciuti. Lo presentammo nel 1976 al Teatro Uomo di Milano, in un concerto di cui, anni dopo, fu pubblicata la registrazione. Niente di più che un bootleg, dalla qualità audio ripugnante, ma un documento prezioso per capire il nostro approccio ai concerti di quel tempo. Per comprendere gli Area, le testimonianze dal vivo sono forse più importanti di quelle in studio».
1978 gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano (1978)
«Il primo disco senza Paolo Tofani fu soprattutto caratterizzato dal grande lavoro di Demetrio che firmò parecchie musiche e tutti i testi in collaborazione con Gianni Emilio Simonetti (l'album è pubblicato non più dalla Cramps di Gianni Sassi, che negli anni precedenti firmava come Frankenstein tutti i testi degli Area, ma dalla Ascolto/CGD, N.d.R.). È presente la seconda canzone della nostra storia, "Hommage à Violette Nozieres" e c'è sempre la nostra tendenza a improvvisare e a suonare senza paracadute come in "Vodka Cola" o "Acrostico in memoria di Laio". Ci siamo divertiti molto a registrarlo e, dal punto di visto della produzione, è un disco davvero riuscito grazie anche a un sound engineer eccezionale come Allan Goldsberg».
Tic&Tac (1980)
«L'album del riflusso? Non so. Bisogna dire che nel frattempo era mancato Stratos, che comunque aveva già intrapreso dopo l'uscita di 1978 gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano un suo percorso artistico personale. Con l'uscita di Stratos e di Tofani c'è uno sbilanciamento più marcato verso il jazz e nel gruppo, a partire dal 1979, si alternano Larry Nocella, Giorgino Fabbri, Pietro Tonolo e Guido Guidoboni».
Jazz e Teatro (1980 e 1981)
«Nel periodo di Tic&Tac collaborammo con La Cooperativa Nuova Scena ad allestire un paio di spettacoli teatrali: "Gli Uccelli di Aristofane" con la regia di Memè Perlini e, l'anno dopo, uno spettacolo di teatro e danza "Tristano e Isotta," assieme a Larry Nocella al sax tenore e Giorgino Fabbri alla chitarra elettrica».
Chernobyl 7991 (1997)
«Un altro disco con tanti ospiti. Oltre a me e Giulio Capiozzo, partecipano Gigi Cifarelli, John Clark e Pietro Condorelli mentre al contrabbasso c'è in forma stabile Paolino Dalla Porta. Riprendiamo l'attività concertistica, in trio o in quartetto, con una certa frequenza. In quei momenti capii che Area era soprattutto un modo di vivere. E in certi passaggi di Chernobyl 7991 si sente il profumo dei primi Area».
Voglia di reunion
«Nel 2009 Mauro Pagani invita a Siena me, Ares Tavolazzi e Paolo Tofani a commemorare il trentennale della scomparsa di Stratos. E lì succede il misfatto: alla fine dei nostri singoli concerti facciamo una jam session tutti assieme e ne esce un'improvvisazione degna della stagione migliore degli Area.
Fu una vera scintilla perché dopo Chernobyl 7991, al di là di alcune dichiarazioni d'intenti, non credevo più di pensare agli Area come gruppo stabile. Io, Paolo e Ares ci siamo dunque guardati negli occhi e abbiamo detto: vediamo un po' se possiamo fare ancora danni».
Live 2012 (2012)
«Il disco è stato realizzato grazie all'iniziativa di due amici, i fratelli Andrea e Diego Pettinelli, del Consorzio ZdB, che si sono presi la briga di seguirci in giro per l'Italia e registrare una dozzina di concerti. Una volta ascoltato il materiale ci siamo accorti che, senza troppo volere, avevamo tra le mani un documento che sarebbe stato un peccato non pubblicare. Live 2012 nasce così: un doppio CD, una raccolta di esecuzioni pensate non per essere messe su disco, e quindi forse ancora più spontanee e autentiche. I brani sono altrettanti spicchi della nostra vita.
Nel primo disco ripercorriamo pezzi celebri del nostro repertorio - da "Luglio Agosto Settembre (Nero)" a "La Mela di Odessa" - nel secondo, denominato "Geometrie," trovano posto una serie di brani inediti e alcune nostre improvvisazioni in solo e in duo. Con noi suona il batterista Walter Paoli, che ormai è entrato in pianta stabile nel gruppo, e come ospite c'è Maria Pia De Vito, che in "Cometa Rossa" rielabora la parte che fu di Stratos in maniera magistrale. Davvero una performance riuscita, molto emozionante. Con Live 2012 abbiamo ora in un certo senso chiuso un ciclo: abbiamo fatto pace con noi stessi e con il nostro passato. Ora inizia davvero una nuova fase, che non farà più appello alla memoria, ma che si giocherà su campi completamente nuovi e inediti. Insomma, la partita è aperta».
Foto di Paolo Soriani (la prima e l'ultima).
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