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Anthony Braxton Echo Echo Mirror House

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Teatro Metastasio - Prato - 14.10.2012

Seconda data del tour italiano che lo ha portato anche a Venezia in formazione allargata (tredici elementi) e poi a Reggio Emilia in quartetto, Anthony Braxton è andato in scena al Teatro Metastasio di Prato per una succosa anteprima di Metastasio Jazz. Il concerto è stato preceduto da una conversazione pomeridiana di Braxton con Francesco Martinelli e Stefano Zenni (curatore della rassegna), nel corso della quale il compositore americano ha offerto molti spunti di lettura per il concerto che sarebbe seguito, oltre a definire l'attuale quadro della sua attività artistica, da sempre piena di innovazioni creative.

Dopo aver sottolineato come lo sviluppo dei suoi attuali progetti richieda una relazione con i collaboratori che va oltre l'aspetto artistico, per trasformasi in uno stile di vita dal quale non sono alieni aspetti sia politici, sia spirituali, Braxton ha descritto l'Echo Echo Mirror House - il sestetto che sarebbe andato in scena due ore più tardi - come una formazione alla quale egli cerca di offrire una pluralità di modelli d'interazione improvvisata, lasciando tuttavia liberi i musicisti di decidere autonomamente, in funzione delle loro sensazioni, la direzione da dare alla musica. Tra le caratteristiche singolari del progetto ci sono l'uso di spartiti stampati su carta trasparente, per favorire la sovrapposizione di più scritture e suggerire così percorsi diversi ai musicisti, e il fatto che ogni membro del gruppo sia munito di un Ipod contenente tutta la musica di Braxton, dalla quale poter attingere estemporaneamente e con piena libertà per mandarla in scena assieme ai suoni live degli strumenti. Braxton ha concluso affermando che questo progetto, così come gli altri recenti, è profondamente influenzato dalla sua ricerca sulle musiche sacre del mondo: riferendosi a musiche trascendenti sarebbe infatti a suo parere possibile produrre musica "fuori del tempo".

Il concerto poi andato in scena ha in buona sostanza mostrato di rispettare le coordinate del progetto. Braxton ha guidato il sestetto con indicazioni gestuali, limitate però ad alcuni momenti di stacco, lasciando per il resto piena libertà creativa agli altri. Tra questi è largamente spiccato per propositività Taylor Ho Bynum, il quale era opposto sulla scena al leader (Braxton all'estrema sinistra, il trombettista a destra) e ne ha di fatto preso il posto in numerose occasioni alla direzione del sestetto. Ma - soprattutto - Ho Bynum è parso quello che faceva con più convinzione uso dell'Ipod, sia per frequenza di interventi, sia per il modo in cui favoriva l'interazione del registrato con i suoi strumenti (tromba, flicorno, tromba bassa, trombone). Meno intensa la partecipazione degli altri musicisti al processo creativo: efficace ma forse un po' troppo legata al proprio prezioso ruolo di tessitrice Mary Halvorson, così come la violinista Erika Dicker; decisamente poco incisive le prove delle ance - la pur brava Ingrid Laubrock (impegnata al solo tenore) e James Fei (al clarinetto, sax soprano e contralto). Il leader - che ha alternato sax contralto, soprano, sopranino e clarinetto contrabbasso - si è prodotto forse troppo raramente in assolo, perlopiù nella parte finale del concerto.

La performance si è sviluppata per l'ora abbondante che costituisce il criterio di tempo ormai classico di Braxton, stavolta senza l'ausilio della clessidra. Una musica dall'andamento magmatico, con intensità dinamiche medio-alte, mai eccessive e tuttavia costanti, solo limitatamente segnate da significative interruzioni o cambiamenti di scenario. Vistosa, anche se non sorprendente, la totale assenza non solo di frasi, ma perfino di interventi narrativamente espressivi, con la sola esclusione - di nuovo - di Ho Bynum.

Quasi certamente qualcosa non ha funzionato dal punto di vista tecnico nell'impasto dei suoni: qualche bilanciamento inadatto nell'amplificazione e gli Ipod caricati, pare, con file mp3 hanno reso poco leggibili i complessi intrecci delle molteplici voci. Se si aggiunge a questo che il gruppo era alla primissima uscita e che alcuni dei membri sono nuovi alla collaborazione con Braxton, ecco che forse si può spiegare perché si sia avuta l'impressione di una sproporzione tra la macchina progettualmente messa in moto e il prodotto finale: un'ora priva di contenuto drammaturgico, poco comunicativa e sorretta quasi esclusivamente dagli spunti provenienti dalle "autocitazioni" tratte dagli Ipod e - non a caso - da una tensione metafisica tenuta sospesa a mezz'aria dalla costanza dinamica, eredità degli studi braxtoniani sulla musica sacra. Qualcosa di decisamente inferiore alle attese destate dal progetto.

Va detto che Braxton, con molta modestia e correttezza, ha affermato nella conversazione pomeridiana di non credere affatto di fare musica "nuova" - compito che spetta per lui a generazioni altrettanto nuove - bensì solo di star portando a termine un suo personale percorso artistico. Dispiace un po,' tuttavia, che questo completamento approdi a una musica che coniuga l'autocitazione con l'ascesi della trascendenza sacra, cioè due elementi associabili a una senilità che Braxton non ha certo mostrato nella giustificazione teorica delle proprie scelte. Ma, forse, la responsabilità è solo d'un gruppo da rodare e non ancora del tutto all'altezza del progetto ardito cui è stato chiamato dal Maestro.

Foto, di repertorio, di Petra Cvelbar.

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