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Ah-Um Milano Jazz Festival - 8a Edizione
ByRicordo ancora le prime edizioni del festival Ah-Um. Si svolgevano al Barrio's, un piccolo teatro accogliente ma periferico, alla Barona. Tra il pubblico, uno spirito carbonaro. La sensazione di essere rimasti in pochi, a Milano, a coltivare la passione per il jazz, a voler tenere viva la fiamma di questa musica.
Poi alcune vicissitudini. Un'edizione che salta. Qualche pausa di riflessione. Gli anni al Teatro dell'Arte, bello e centrale, ma poco adatto ad attirare pubblico occasionale.
Dopo la lunga gavetta, quest'anno, finalmente, il festival ha compiuto il grande salto. Ha ampliato l'offerta culturale, mettendo in cartellone oltre ai concerti anche mostre, presentazioni di libri, laboratori musicali rivolti ai bambini. E soprattutto, ha fatto uscire il jazz al di fuori della ristretta cerchia di appassionati, coinvolgendo un intero quartiere di Milano, il quartiere Isola, portando eventi nelle sue gallerie, librerie, locali, teatri, parchi.
Come sempre accade con le "prime volte," alcuni operatori hanno aderito all'iniziativa con entusiasmo, altri si sono tirati indietro. Con il senno di poi, possiamo dire che gli assenti hanno avuto torto. Nel quartiere si respirava quell'atmosfera festosa e coinvolgente tipica dei festival estivi. La risposta del pubblico, grazie anche ad un'ottima comunicazione (pagine sui quotidiani, manifesti un po' ovunque per la città) è stata positiva. Certo rimane ancora qualche nodo da risolvere, primo tra tutti quello economico, ma la strada imboccata è quella giusta. Avanti così.
L'apertura del festival ha avuto come protagonista Paolo Botti. Alla viola, al banjo e al dobro, in completa solitudine, Botti ha ripercorso alcune tappe del percorso di Albert Ayler, dandone una lettura più spirituale che prettamente musicale (ammesso che separare i due piani sia possibile). Un concerto intriso di blues, cui hanno fatto da sfondo le fotografie di Andrea Boccalini, e la proiezione di "Ah-Um People- -Indagine socio-fotografica sul jazz a Milano" a cura di Dario Villa e Antonio Ribatti.
Un altro fotografo noto ai nostri lettori, Luciano Rossetti, ha invece esposto una serie di ritratti del contrabbassista William Parker, protagonista anche del libro "William Parker: conversazioni sul jazz" di Marcello Lorrai, presentato in un incontro introdotto da Franco D'Andrea.
Restando nell'ambito delle arti figurative, la mostra-concerto "Music for Painters" ci ha permesso di apprezzare musiche e dipinti di Paolino Dalla Porta e Giovanni Falzone, jazzisti che in privato si cimentano con la pittura. Inevitabile trovare un filo conduttore, una coerenza fortissima, tra le coordinate espressive pittoriche e quelle musicali dei due. Astrattismo mitigato dalla morbidezza dei colori (delle melodie) per Paolino Dalla Porta; energia irruente, ai limiti dell'espressionismo, per Giovanni Falzone. Dal confronto tra queste due personalità così forti e diverse è emerso un concerto ricco di atmosfere e suggestioni, in perenne movimento tra il dentro e il fuori la struttura, vivace e al tempo stesso delicatissimo.
Tuffo negli anni '70 con il Black Hole Quartet (Daniele Cavallanti al sax, Walter Donatiello alla chitarra elettrica, Michelangelo Flammia al basso elettrico, Tiziano Tononi alla batteria), gruppo che guarda alle migliori esperienze jazz-rock di quel periodo (Perigeo, Mahavishnu...). Ritmica intensa, unisoni vorticosi, stacchi mozzafiato. Energico e nostalgico.
Molto libero l'Intermittenze Trio di Arrigo Cappelletti (Andrea Massaria alla chitarra, Nicola Stranieri alla batteria), organico che lascia grandissimo spazio all'improvvisazione. Bruschi e frequenti cambi di direzione tengono la musica in perenne movimento, ma rischiano anche di rendere la proposta eccessivamente frammentaria e sfuggente.
Con un organico di oltre venti elementi (in prevalenza musicisti che hanno fatto la storia del'Ah-Um partecipando a precedenti edizioni del festival), l'Artchipel Orkestra diretta da Ferdinando Faraò ha realizzato un omaggio al decennale della manifestazione. Sviluppando un percorso molto eterogeneo (una "navigazione tra isole," per richiamarsi al nome dell'organico e del quartiere che ha ospitato il festival), l'Orchestra ha proposto alcune composizioni del leader, intervallate da digressioni messe in atto da sottoinsiemi dell'orchestra. Estratti dalle suite "Pollock" e "Darwin" si alternavano dunque a frammenti di musica giapponese, o a reminiscenze di canzoni "impegnate" anni '70, dando vita ad un concerto molto movimentato, dinamico e divertente.
Nonostante la concomitante finale di Champions League, anche l'ultima serata del festival ha visto un'ottima affluenza di pubblico. I primi a salire sul palco sono stati gli Highrave di Luca Calabrese (Michele Franzini al piano elettrico, Niccolò Faraci al basso elettrico, Marco Maggiore alla batteria), che hanno proposto una musica dagli echi davisiani, fatta di pedaloni funk e atmosfere cariche di elettronica. Una rivisitazione in chiave contemporanea degli anni '70, molto intensa e godibile.
Chiusura di festival con l'ottimo Creative Jazz Ensemble, un'orchestra composta dagli allievi del CEMM (la scuola di musica di Bussero), diretta da Daniele Cavallanti. In programma una suite in sei movimenti dedicata al mondo del cinema (alcuni già ascoltati due sere prima nel concerto del Black Hole Quartet), brani di Giovanni Maier e dei Nexus. Consonanze e dissonanze, come nella migliore tradizione delle grandi formazioni contemporanee; l'Italian Instabile come riferimento.
Foto di Antonio Ribatti (la prima) e Cristian Zabeo (le altre)
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