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Wayne Bergeron
ByEx prima tromba della Maynard Ferguson Big Band, Bergeron ne ha riproposto a Palermo i tratti orchestrali più salienti. A suo favore note velocissime e scoppiettanti sovracuti, alla maniera del suo mentore. Un magma di swing e tecnica strumentale davvero notevoli.
Tutte qualità non sostenute da un creativo rapporto con il modello di riferimento, riproposto con pedissequa calligrafia. Nessuno stacco quindi tra la forza centripeta del solismo fergusiano e l’estro individuale del solista che improvvisava.
Su altezze vertiginose si attestano i suoi vorticosi licks, che tanto piacciono al grande pubblico. Quello che invece è sembrato mancare è l’anima, o meglio il calore prescritto dal terzo principio della termodinamica, che egli pare non conoscere.
La sua è un’intelaiatura sonora fortemente cristallizzata entro clichè di maniera, che hanno fortemente condizionato la prova dell’Orchestra Jazz Siciliana. Ammirevole da parte del leader la disponibilità umana a non ergersi su un piedistallo di cristallo rispetto agli altri musicisti, ma il repertorio proposto era tutt’altro che memorabile, anche se ben scritto.
Un’esibizione certamente impeccabile sul piano della condotta strumentale, che però ha tradito la natura più precipua del jazz, fondata sulla ricreazione del testo. Dove la riproposizione di un modello ha senso solo se si carica di valori nuovi, correlati al momento ed al contesto in cui un’esecuzione ha luogo. Qui si è prodotto l’effetto contrario, poiché si è (ri)interpretato Ferguson in modo prescrittivo, con la mentalità di musicisti classici.
Per il pubblico, un tuffo piacevole ma poco sapido in acque riecheggianti la grande pratica orchestrale degli anni ’60, ma nulla di più. Ne è disceso un concerto discontinuo, simboleggiato (negli alti e bassi) da una delicata rivisitazione di “You Go to My Head” ed una tragicomica versione dello “Schiaccianoci”.
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