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Valamar Jazz Festival 2013

Porec - Croazia - 25-29.06.2013

Quarta edizione del Valamar Jazz Festival, manifestazione organizzata dall'omonimo gruppo alberghiero croato, che si svolge nella cittadina balneare di Porec. Missione del festival, per citare il direttore artistico Tamara Obrovac, è "portare buona musica in belle location". A posteriori, possiamo senza dubbio sostenere che la rassegna ha conseguito i propri obiettivi con successo.

Il programma, compatibilmente con le esigenze turistico-promozionali della località e dello sponsor principale, punta su un jazz divertente ed accessibile, ma eseguito ai massimi livelli. I musicisti coinvolti sono tutti tra i maggiori e più affermati esponenti della propria corrente stilistica di riferimento. Le sedi dei concerti, quanto di meglio si possa desiderare: l'atrio di una basilica bizantina per le prime due serate, una spiaggia su una piccola isola a cinque minuti di navigazione dal porto di Porec per il main stage. Il tutto, arricchito da un'atmosfera molto allegra e festaiola: concerti nei pub della città, after party e jam session con talenti locali (tra cui l'interessante trombonista Luka Žužic) fino a notte fonda nel parco di una splendida villa sul lungomare.

Le prime due serate del festival hanno proposto un jazz cameristico intriso di profumi world. Molto Medio Oriente, ma anche echi del novecento francese, nella musica del trio della pianista turca Ayse Tütüncü, con Anil Erarslan al violoncello e Meriç Demirkol al sax. Partito in modo sommesso, con melodie ben strutturate ma un po' compiaciute, che tendevano a scivolare nell'estetizzante, il concerto ha gradualmente acquisito spessore drammatico, per raggiungere il suo apice sull'andamento quasi cinematografico di "The Story of Something," e su una vorticosa improvvisazione dedicata al popolo di piazza Taksim.

Performance solitaria per Renaud Garcia-Fons. Il contrabbassista francese ha fatto ampio uso di elettronica, sia in modalità live con stratificazione di loop, sia ricorrendo a basi ed effetti pre-programmati. Un concerto "viaggio intorno al mondo," che partendo dal mediterraneo ha vagato attraverso l'Iran, l'Africa, il Sud America, fino ad approdare ad un sanguigno blues. Meraviglioso virtuoso del suo strumento, che adotta nella versione a cinque corde, Garcia-Fons riesce sempre a sorprendere per l'agilità delle linee melodiche, per la profondità della cavata, per la semplicità con cui approccia sfide tecniche di estrema complessità. Come spesso accade ai virtuosi, anch'egli tende talvolta a lasciarsi prendere la mano e a riempire eccessivamente gli spazi. Quando però la musica si muove su orizzonti andalusi o su echi flamenchi, allora il suo virtuosismo diventa funzionale e produce esiti straordinari.

Tra i concerti orientati al jazz più cristallino, il Billy Childs All Star Quartet (Steve Wilson ai sassofoni, Hans Glawischnig al contrabbasso, Kendrick Scott alla batteria) ha proposto una serie di brani molto articolati ritmicamente ed armonicamente, eseguiti con una brillantezza ai limiti della pirotecnia.

Esattamente agli antipodi l'approccio musicale del quartetto di Buster Williams (Mark Gross ai sassofoni, Eric Reed al pianoforte, Cindy Blackman-Santana alla batteria), che ha alternato standard e composizioni originali, con un'interpretazione all'insegna dell'eleganza e della sensibilità. In entrambi i concerti, autentico jazz eseguito a livelli elevatissimi, ma troppo legato al prevedibile schema "esposizione del tema - soli a rotazione - ripresa".

Discutendo con alcuni colleghi presenti al festival, ci siamo peraltro trovati unanimemente d'accordo (e vi assicuro che è cosa assai rara!) sul fatto che questi due gruppi avrebbero dovuto scambiarsi i batteristi. L'irruenza di Cindy Blackman-Santana è sembrata a tutti più contigua all'energia di Billy Childs, mentre la creatività e la raffinatezza del tocco di Kendrick Scott avrebbero trovato terreno più accogliente nel quartetto di Buster Williams.

Sul versante fusion, Trilok Gurtu (con Frederick Köster alla tromba, Tulug Tirpan a pianoforte e tastiere, Johnatan Ihlenfeld Cunado al basso) ha presentato una musica che egli stesso ha definito oscillante tra Miles Davis e Bollywood. O meglio, aggiungiamo noi estendendo la finestra di riferimento, tra Shakti e Wadada Leo Smith. Impossibile non restare ammirati di fronte alla perizia strumentale del percussionista. Impossibile anche, almeno per chi vi scrive, non pensare che la sua musica suoni eccessivamente derivativa e in buona parte irrimediabilmente datata.

Ancora fusion, più orientata al soul e al groove, per i Mo' Blow del sassofonista Felix Falk (Matti Klein al piano elettrico, Tobias Fleischer al basso, André Seidel alla batteria). Musica energica, tutta da ballare, forse più adatta ad un after party che al palco principale.

Tutto da ballare, questa volta su ritmi di salsa e bachata, anche il concerto di Eddie Palmieri, tra i maggiori esponenti del filone latin jazz. Il pianista, qui con uno strepitoso settetto (Jonathan Powell alla tromba, Louis Fouché al sax, José Claussell ai timbales, Orlando Vega ai bonghi, Vincente "Litlle Johnny" Rivero alle congas,Luques Curtis al basso) ha dato vita ad un concerto ricco di calore e ballabilità. Cuore pulsante del gruppo la possente sessione ritmica, mentre i fiati di Powell e Fouché (entrambi davvero notevoli) volano alto intrecciando torride linee melodiche. Personalmente, non sono un grande fan del salsa-jazz. Ma quando è suonato così bene, non si può che restarne ammirati

Più riflessivo il trio del pianista polacco Marcin Wasilewski (Slawomir Kurkiewicz al contrabbasso, Michal Miskiewicz alla batteria), artefice di quello che a nostro avviso è stato di gran lunga il miglior concerto ascoltato in questo festival. La loro è una musica basata sull'understatement e sull'interplay, di impronta decisamente europea, che dal vivo abbandona quel lieve alone algido, controllato, tipico delle produzioni ECM, per acquistare in vigore ed autenticità. Tecnicamente preparatissimi, musicalmente onnivori, magnificamente affiatati, i tre hanno proposto un programma che spaziava tra Hanns Eisler e Wayne Shorter, tra il Bach delle Variazioni Goldberg, Sting ed alcune composizioni originali. Chiusura di concerto con l'andamento in undici vagamente à la Esbjörn Svensson di "Night Train to You," e la netta sensazione che la scena europea, da qualunque angolo la si guardi e nonostante (o meglio, proprio in quanto) non perfettamente inquadrabile nei canoni stilistici abituali del jazz, sia oggi la più vitale ed interessante.

Foto di Tatjana Genc.

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