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Things We Like: Novembre 2012
ByUna carrellata a ritroso sul meglio del 2012:
1. Il libro di Stefano Zenni di cui abbiamo già scritto e parlato. Credo che in Italia non sia mai uscito nulla di simile dal giorno della conquista della stampa. Avevamo già scritto qualcosa di simile a ridosso della pubblicazione ma ora, passato qualche mese e a bocce ferme si potrebbe anche tentare di spiegare il perché, almeno soggettivamente, si arriva a tanto sensazionalismo. Perché "Storia del Jazz" di Stefano Zenni, edito per Stampa Alternativa nella sezione Nuovi Equilibri (pagg.605 - Euro 25,00) è un libro che è assolutamente piacevole, interessante per il neofita quanto per il professionista e con in più una grafica piacevole e chiara. Sul serio la più ricca e completa storia della musica afro-americana mai pubblicata nel nostro paese e davvero con pochi eguali anche al di fuori dei confini nazionali. Quello che innalza il suo autore ad un altro livello è l'incredibile ricerca storica specialmente relativa alle origini dell'arte jazzistica. Mica facile signori. Provate a cercare un po' di informazioni voi stessi sui rapporti della musica creola e New Orleans...
Ma, quello che fa piacere tanto il lavoro, è l'intelligente ricerca delle connessioni fra i vari stili e i rapporti con la parte prettamente sociologica. Zenni è poi un maestro nell'analisi di tante "masterpiece" e ciò che, almeno sinora nessuno era mai riuscito a fare alla stessa stregua, riesce a dare strumenti di comprensione primari ed essenziali attraverso una prospettiva letteraria incredibilmente corretta e mai saccente. La metodologia è sorprendente poiché quello che innanzitutto balza all'occhio del lettore che ha già affrontato tomi storici analoghi è quasi un ribaltamento delle consuetudini. L'uso dei diagrammi e di vari rimandi grafici risultano poi innovazione totale che garantisce al lavoro una rara godibilità di lettura.
Grazie, dunque a tutto ciò che abbiamo letto sino ad oggi, ma (Polillo e postumi non ne abbiano a male), abbiamo finalmente un libro che può sicuramente assurgere al ruolo di testo di riferimento primario.
2. Lungo la stessa strada, ma per altri versi, ci metto senza nessun dubbio, il nuovissimo lavoro di Enrico Merlin, musicista, compositore, davisologo di importanza planetaria ma anche ex-proprietario di un negozio di dischi di riferimento dell'alta Italia e appassionato catalogatore di documenti musicali di qualsivoglia provenienza. Dopo avere dato alle stampe lo scorso anno un fondamentale lavoro editoriale dedicato ad uno dei capolavori discografici che testimoniano la nascita del "new jazz" (Bitches Brew), Enrico torna sulle scene con un librone di oltre 900 pagine, pubblicato da Il Saggiatore al costo di 39 Euro e intitolato "1000 dischi per un secolo - 1900>2000". Solo apparentemente potrebbe sembrare il solito lavoro enciclopedico dedicato ai migliori dischi di qui, di su, di giù... Niente di vero.
Questo è il primo vero lavoro enciclopedico (almeno di questa stazza) pubblicato nel nostro paese dove vengono citati e presentati in maniera tassativamente cronologica mille titoli di musica contemporanea. E quando scriviamo "musica contemporanea" significa che qui dentro potrete trovare testimonianze che provengono dall'ambito della musica colta, ma anche dal jazz, dal pop, dal rock, dal rap, dal blues, dal folk e da tutta quella odiosa autostrada di etichette che anche necessariamente è stata in qualche modo pure giusto creare ad un certo punto del secolo scorso per far comprendere con quale territorio musicale si era alla presa. E, l'idea vincente è proprio questa. Straordinario vedere in poche pagine vicine il disco della Liberation Orchestra di Charlie Haden, il secondo Led Zeppelin, 6&12 String Guitar di Leo Kottke. il primo lavoro dei King Crimson, Hot Rats di Zappa, Manu Dibango, Amon Düll, Pierre Boulez e La Monte Young. Semplicemente geniale e assolutamente corretto nei confronti della vera arte musicale che il '900 ha portato sull'altare che le spettava. Si tratta di un libro che i "puri" amanti monotematici faranno fatica a comprendere ma il gioco sta proprio qui! Saremo forse in pochi cresciuti a pane e novità discografiche tout-court. Gente affamata e curiosa che non appena scopriva un nome e un disco faceva di tutto per recuperare tutta la storia precedente e quelle collaterali dell'artista in questione.
Ben lontana dai tempi di oggi, ove basta un clic perché un giovincello si scarichi sul suo Ipod un solo brano di un disco perché gli è piaciuto o piace ai suoi amici. Lo ascolta sino alla consunzione ma, mistero dei misteri, non gli viene mai la curiosità di scoprire anche il resto del disco dal quale è tratto o la storia del musicista che lo ha creato. Da emerito ignorante mi sono trovato a sorprendermi davanti alla sorpresa di alcuni studenti di un liceo superiore alle prese (durante un mio recente "incontro sulla storia della musica moderna") con alcune copertine del mai troppo amato "vinile". Qualcuno di loro si ricordava "di averne vista qualcuna nella vecchia collezione di dischi del papà"... lì per lì ero senza parole, rapito a guardare i visi di quei ragazzi che non sapevano che prima dei CD di plastica esisteva il Long Playing o il 45 giri di vinile-vinile... Questo libro serve anche a queste persone, purché dimostrino di essere almeno un pochino curiose. Le analisi di Merlin sono ovviamente personali e soggettive. Anche per questo, dato che non sono "pericolose" (nonostante gli strali lanciati nel confronti del primo Led Zeppelin, plagiato dai grandi nomi del blues senza nemmeno essere citati. Ma poi si ribalta comunque tutto quando si parla del secondo lavoro... e tutto resta in perfetto equilibrio), straordinariamente intelligenti e importanti. Anche perché, lasciatemelo affermare, dentro ad un lavoro del genere, c'è davvero la testimonianza di una vita di passione per "quelle cose lì". Un segno nella storia dell'uomo; un secolo che è davvero stato immensamente rivoluzionario per l'umanità. Basta.
3. La terza è collegata ad una vicenda personale. Non faremo nomi. Diciamo che si chiami G. e basta.
Beh, un giorno mi squilla il telefono e G. mi chiede se è possibile che il sottoscritto con alcuni dei musicisti con i quali lavoro, si risponda ad un po' di domande sulla situazione del jazz contemporaneo, l'annoso problema del fare jazz, i rapporti con il nostro paese e via di conserva. Ultimamente rispondevo di no, perché è ormai divenuto un cliché anche questa voglia di analizzare un qualcosa e poi di cento parole, per decisioni redazionali, scelte personali o del relatore ufficiale, ne restano dieci e tutto muore lì imploso come vuole Baudrillard e tutti i suoi figli sia di destra che di sinistra di questo mondo dove le mucche accanto all'autostrada non girano più il capo al passaggio del motore. Sarà però perché si trattava di una ricerca/tesina collaterale universitaria o perché le domande erano poste in senso corretto, ho e abbiamo accettato. Quando è stato il mio turno ho aperto la bocca e ho vomitato più pensieri che parole come non mi capitava da tempo. Inconsapevolmente ho trascinato G. nel vortice e ora è lì che si gode una inaspettata honeymoon con la materia jazzistica e la sto aiutando a capire qualcosa. E' una delle cose più belle che mi siano accadute negli ultimi anni. Ovviamente spero che la cosa non sia importante solo per me e per G. In questi ultimi lustri, abbiamo visto il fiorire e il nascere di decine e decine di "nuove firme" sulle varie riviste nazionali che - con pochissime eccezioni - dopo tre mesi hanno deciso di essere il nuovo nome più importante della critica musicale (magari perché usciti dalla scuola con un otto di italiano, scrivono benino e si sono innamorati del mondo del jazz, proprio ora che "la moda è passata") senza nemmeno sapere chi sia Theodor Adorno o senza avere nemmeno letto un capitolo di una qualsiasi metodologia di critica. Il fatto però di essere divenuto anche solo per un momento "il vecchio saggio" mi fa piacere e mi fa pensare dandomi contemporaneamente il modo di aiutare. Grazie G. E' una lotta, lo sappiamo. Ma se solo ti restasse dentro qualcosa che forse è "ecumenicamente" giusto e come è accaduto a me, ci possono essere persone capaci di ringraziare qualcuno per aver loro fatto conoscere qualcosa o - più semplicemente - dato loro la possibilità di comprendere perché un artista o un disco sono importanti e/o belli, beh allora abbiamo fatto un bel passo avanti. Nonostante l'ottimismo non incontravo più persone che comprendono che il dialogo vuol dire ascoltare e parlare e poi ancora ascoltare e parlare. Ora so che esistono.
Alberto Bazzurro
Gli ascolti di novembre si portano dietrofra le tante possibilialmeno tre considerazioni:
1) che con tutta probabilità Ned Rothenberg sia attualmente l'espressione più alta della solo performance per strumenti ad ancia; a confermarcelo è il recente, notevolissimo World of Odd Harmonics;
2) che Gianni Mimmo e Angelo Olivieri, per quanto fin troppo in pochi sembrino essersene accorti, rappresentano due delle entità più significative (cioè creative) dell'odierna scena italiana di area jazzistica; anche qui ce lo dicono due recenti uscite: Windy Season di Tidal, wind quartet con due ottoni (Contini e Cosottini) e due ance (Pisani e lo stesso Mimmo) per quanto riguarda il sopranista pavese, Caos Musique Live @ La Casa del Jazz, altro quartetto con Vincent Courtois al violoncello, relativamente al trombettista; 3) che sia Franco Battiato, con Apriti Sesamo (fra l'altro secondo classificato all'ultimo referendum di Musica & Dischi), a vincere la disfida a distanza nel trittico di uscite-monstre (visti i protagonisti: gli altri due sono come si sa i due Franceschi, Guccini e De Gregori, a loro volta con lavori degni di nota) sul versante della canzone d'autore italiana collezione autunno/inverno 2012.
Saluti (e buone feste, possibilmente molto musicali).
Enrico Bettinello
Quando i mondi collidono creativamente!
Da non perdere il nuovo disco del contrabbassista Eric Revis, che nel proprio quartetto mette insieme un inguaribile sperimentatore come Ken Vandermark con due tra i più stimolanti musicisti della scena newyorkese più legata alla tradizione afroamericana come Jason Moran e Nasheet Waits [piano e batteria, rispettivamente]. Il contrabbassista non è nuovo a collaborazioni stimolanti [come quella con Brötzmann da cui questo video], ma Parallax è un lavoro di grande forza e espressività, in grado di ribadire la straordinaria vitalità di quello che continuiamo ostinatamente [e non a torto] a chiamare jazz!
Forse YouTube non rappresenta il modo migliore di fruire la musica, ma avere la possibilità di riascoltare in pausa pranzo, magari in treno sul proprio iPad, o magari volendo condividerla con un amico lontano, una gemma come questo concerto di Bill Evans, è sempre un piacere!
O magari l'incontro tra Jaki Byard e Earl Hines.
Da non perdere anche la trascrizione di un panel del 1964 con Cecil Taylor e Hall Overton!
E chiudiamo in allegria con il sempre fantastico Slim Gaillard.
Luca Canini
SENTITO (E VISTO). Il trio di Jason Adasiewicz a Bolzano, al piccolo teatro Carambolage. Sun Rooms, con Nate McBride al contrabbasso e Mike Reed alla batteria. Due set di un'intensità pazzesca, più di due ore di musica stordente e strabordante. Uno dei concerti dell'anno.
LIVE (WEB). Passano gli anni, si moltiplicano i dischi, ma ancora non riesco ad abituarmi a Bonnie Prince Billy. Ispirazione costante e cristallina. Qui dal vivo a Parigi, non molto tempo fa.
RISTAMPE (IMPERDIBILE). Ci sono dei "suoni" che mi sono rimasti dentro e hanno segnato il mio modo di pensare-ascoltare. Uno di questi è il "suono" dei Motorpsycho. Dalla metà degli anni Novanta li seguo come un'ombra. Blissard è uno dei dischi che più ho amato. Ora esce in versione quadrupla, con inediti, rarità, chicche. Una goduria.
STRANO (MA VERO). Cher. Nessuno osi storcere il naso. Ripescate i primi dischi di quella che sarebbe diventata una delle più insopportabili icone del pop americano. Sono zeppi di brani riusciti e magnifiche intuizioni. Un esempio? "Walk on Gilded Splinters", inno sudista scritto da Malcolm John "Mac" Rebennack Junior (Dr. John per gli amici).
UN ALTRO (ADDIO). Se n'è andato Dave Brubeck. Stringete i denti, questo disgraziato 2012 sta per finire.
Maurizio Comandini
Nel mese delle foglie che cadono è inevitabile guardare un po' anche all'indietro e riscoprire la godibilità di piccole gemme che sono passate nel dimenticatoio. Ingiustamente.
L'album Rock Love di Steve Miller è considerato dalla critica convenzionale uno di quelli meno interessanti della prima parte della sua carriera. Eppure è l'album che contiene una gemma misconosciuta come il meravigliso "Blues Without Blame". Ascoltate come la chitarra elettrica di Miller racconta storie di dolcezza e di rispetto, di gioia e di ingenuità. La sola frase iniziale della sua chitarra elettrica, cromatica e agrodolce allo stesso tempo, vale da sola il prezzo del biglietto. Anche il resto dell'album non è affatto male. Decisamente da rivalutare.
L'Institut National Audiovisuel francese (INA) rende disponibile per soli tre euro il download di un concerto della Third Ear Band, colta in uno dei momenti di massimo splendore della sua carriera iniziata alla fine degli anni sessanta e proseguita fra stop and go fino al nuovo secolo. C'è un piccolo malinteso a livello di archivio: infatti il download viene chiaramente identificato con la label 'Concert de Third Ear Band 28/05/1970 - 31 min 27 sec' per cui ci aspettiamo mezz'ora abbondante di delizie da parte della band guidata dal percussionista Glen Sweeney e dall'oboista Paul Minns, con Richard Coff al violino e Ursula Smith al violoncello. In effetti nella prima parte del video troviamo una splendida esecuzione della band inglese, a cavallo fra passato e futuro, fra ritmi egiziani, che profumano di papiro e di spezie, e visioni celestiali che si proiettano nel trentesimo secolo. Fine maggio 1970, ma potrebbe essere trent'anni prima o trent'anni dopo, per come questa musica sa veleggiare nel tempo. Poi però, poco oltre la metà circa dei trentadue minuti complessivi, la band lascia il palco per fare spazio alla cantante con chitarra acustica Bridget St. John che c'entra ben poco con la Third Ear Band e dobbiamo quindi accontentarci dello splendido quarto d'ora abbondante iniziale. Per compensare questo disguido possiamo comunque scaricare gratuitamente dal sito http://ghettoraga.blogspot.it parecchio materiale inedito della Third Ear Band. Congratulazioni a Luca Ferrari per questo blog italianissimo, vero modello di completezza e profondità, perfetto per gli appassionati di musicisti meno noti ma non per questo meno interessanti.
L'EP 'The Complete 2012 Performances Collection' di John Mayer (scaricabile in iTunes, info su http://johnmayer.com) ci consegna cinque canzoni deliziose eseguite con le sole chitarre acustiche e la voce, in uno stile che ricorda molto Crosby, Stills & Nash e Joni Mitchell. In particolare è davvero accattivante la versione in stile "Marrakesh Express" del brano "Queen of California": da cantare sotto la doccia, ma non solo. Restando in zona John Mayer anche il suo trio blues (con Pino Palladino e Steve Jordan) merita di essere riscoperto e riascoltato, nella speranza che riemerga dalle brume dopo i tour nei piccoli teatri americani a metà del nuovo decennio che portarono anche all'album Try"del 2005. Il leader è un chitarrista formidabile e un ottimo cantante. Sa stare sul palco in maniera eccellente e non è giusto che il fatto di essere un sex symbol per le donne americane (specialmente attente dopo la sua love-story con Jennifer Aniston), ci distolga dalla sue doti artistiche davvero formidabili. In particolare vi segnalo la sua performance col trio alla Bowery di New York del 23 novembre 2005 (disponibile in rete in formato video tratto dal broadcast televisivo dell'epoca). E il video 'Where The Light Is - Live in Los Angeles' registrato nel 2007 e uscito nel 2008, dove Mayer alterna una prima parte acustica da solo, una parte blues-rock con il trio e un lungo terzo atto con la sua band storica. Con lo stesso titolo è disponibile anche un album doppio, ma la versione video si fa preferire per il grande coinvolgimento emotivo favorito dalle splendide riprese. In particolare segnaliamo in entrambi i concerti con il trio le derive hendrixiane bene in evidenza e gli ammiccamenti a Stevie Ray Vaughan. Ma non possiamo non citare le bellissime versioni di una rivisitata "Everyday I Have the Blues" che parte dall'originale di B.B. King per arrivare al suono nervoso e attorcigliato dei giorni nostri. Il blues del XXI secolo è qui. Non serve cercarlo altrove
Angelo Leonardi
Ron Miles: Il trombettista Ron Miles è meno conosciuto e considerato e di quanto dovrebbe, a dispetto della lunga partnership stabilita con Bill Frisell. Non lo sentivamo dalla partecipazione al lavoro di Frisell History Mistery del 2008 ma ora Ron torna col chitarrista in un disco completato dal batterista Brian Blade. Il titolo è Quiver, pubblicato dall'etichetta Enja.
Miles è un musicista eclettico che spazia fino al rock ma qui lo ritroviamo condividere il mondo poetico e un po' nostalgico di Frisell in piena autonomia: i suoi punti di forza sono il suono denso e carico di pathos e il fraseggio spigliato che si fonde in un fantasioso interplay coi colleghi. Esemplare la loro astratta versione della ballad "The Days of Wine and Roses". Da non perdere.
Helga Plankensteiner: Anche la bravissima sassofonista baritono altoatesina merita molta più considerazione (per lo meno in Italia) di quanto attualmente abbia. Il suo recentissimo Bye Joe inciso con El Porcino Organic (Mauro Ottolini al trombone e tuba, Michael Lösch all'organo e tastiere e il batterista Paolo Mappa) colpisce per la freschezza dei temi e degli arrangiamenti (ispirati in qualche momento a Carla Bley) e la cantabilità degli interventi. Helga s'esibisce anche come cantante colpendo ancora una volta nel segno. Ottolini è il musicista dell'anno e lo conferma anche in questo lavoro.
Roy Panebianco: anche l'esordio del chitarrista calabrese per la Picanto Records (Soulside) colpisce per la freschezza (e il vivo mordente) delle situazioni, qui particolarmente legate al blues e al funky. Ad aggiungere spessore al disco abbiamo Daniele Scannapieco al tenore, Leonardo Corradi all'hammond e Fabio Accardi alla batteria.
Giunto alla soglia dei trent'anni, Panebianco è un talento naturale ma ha preferito fare le giuste esperienze in giro per il mondo prima d'incidere. Non accade troppo spesso oggi e lo si nota. In questo in disco mostra maturità e inventiva strumentale, in una manciata di incisioni originali che colpiscono al primo ascolto.
Vittorio Lo Conte
L'ultima incisione del trio di Bill Carrothers per la Pirouet Records, Castaways, con Drew Gress e Dré Pallemaerts, conferma il pianista americano come un autentico fuoriclasse del pianoforte contemporaneo. Non tanto per il grado di velocità mostrato alla tastiera, quanto per la sua enorme cultura del piano trio, insieme alla capacità di dare un volto preciso alla formazione che guida. Un'alternativa ad altri trii famosi come quelli di Jarrett o Mehldau. ,p> Il sassofonista brasiliano Ivo Perelman è fra i grandi del free. Quello che Gato Barbieri ha soltanto accennato nelle sue incisioni ESP lui lo ha portato a compimento. Sono ben tre le incisioni uscite contemporaneamente per la Leo Records. The Claivoyant in trio con Matthew Shipp al piano e Whit Dickey alla batteria, Living Jelly con Joe Morris alla chitara elettrica e Gerald Cleaver alla batteria e The Gift con Matthew Shipp al piano e Michael Bisio al cotrabbasso. Tutte e tre ispirate dalle opere della scrittrice brasiliana Clarice Lispector. Ognuna diversa dall'altra pur celebrando l'improvvisazione totale.
Il trio di John Butcher ai sassofoni, Torsten Müller al contrabbasso e Dylan Van Der Schiff alle percussioni è autore di The White Spot. Energia al calor bianco in cui gli strumenti escono fuori dai ruoli tradizionali.
Stefano Merighi
L'attacco killer di "Used to Be Duke" di Johnny Hodges dall'album omonimo (Verve). Con una band di super-ellingtoniani c'è un timido John Coltrane al tenore.
L'ottimo video dei Dirty Projectors per il brano "Gun Has No Trigger", tratto da "Swing Lo Magellan". Notevole sensibilità.
Le prime 50 pagine di "Corporale" di Paolo Volponi. Una rilettura interessante, flusso di coscienza anni 70 di sopraffina qualità letteraria.
I concerti del trio Sun Rooms (Jason Adasiewicz, Nate McBride, Mike Reed) e del Black Saint Quartet di David Murray. Sulfureo, iper-cinetico il primo, molto tradizionale il secondo, ma di gran classe, con Murray ancora potente e Hamid Drake jolly impagabile.
Dischi recenti: Reunion: Live In New York di Sam Rivers con i ritrovati Dave Holland e Barry Altschul (incisione del 2007, PI Recordings), pura saggezza improvvisativa. Plays Monk di Alex von Schlippenbach (Intakt), bella rivisitazione tra fedeltà e bagliori lirici.
Paolo Peviani
Musica: Il concerto di Gerald Cleaver Uncle June (Andrew Bishop, Tony Malaby, Craig Taborn, Drew Gress, Matt Maneri) al Musée du Quai Branly (là où dialoguent les cultures) di Parigi. La presa di coscienza della comunità afro-americana, la grande migrazione dal sud rurale verso il nord urbano, raccontata nel museo in cui "dialogano le culture". Bella suggestione, e soprattutto grandissima musica!
Letture: Edgardo Cozarinsky: "Ultimo Incontro a Dresda" (ed. Guanda). L'intreccio tra una storia personale e la storia con la S maiuscola. Sullo sfondo gli orrori della guerra, piccoli carnefici che sono (anche) vittime di eventi più grandi di loro, la fuga da un passato che in un modo o nell'altro presenta il conto. Consapevoli che verità e giustizia - comunque vada - vengono sempre riscritte dai vincitori.
Cinema: "Il Sospetto," di Thomas Vinterberg. Un insegnante di un asilo viene ingiustamente accusato di pedofilia. Spietata analisi dei rapporti umani all'interno di una piccola comunità. Lieto fine dal retrogusto amaro
Luigi Santosuosso
Vent'anni e non sentirli. 1992-2012, ossia due decenni di musica autoprodotta con l'ingenua intraprendenza che ha portato tanti giovani jazzisti statunitensi alla fama. Stiamo parlando dell'anniversario della nascita del Jazz Composers Collective, il gruppo di musicisti messo in piedi dal contrabbassista Ben Allison e pianista Frank Kimbrough, che annovera nelle proprie fila anche i sassofonisti Michael Blake e Ted Nash e il trombettista Ron Horton.
Centinaia di concerti e decine di dischi hanno portato molto successo individuale ad ognuno dei compoenti del collettivo... che quindi risulta sempre meno attivo in quanto tale. Quindi la settimana di concerti organizzati allo Jazz Standard è stata un'occasione ancora più ghiotta per riascoltare questi musicisti insieme in numerosi progetti sinergici che andavano dai nuovi gruppi di Ben Allison e Michael Blake, alle esplorazioni dell'impareggiabile Herbie Nichols Project. Chicca della rassegna: una serie di brani di Herbie Nichols assolutamente inediti e da poco ritrovati in uno scatolone nascosto nello scantinato di un parente dello sfortunato musicista di origini caraibiche.
Niente di nuovo... ma suonato benissimo... Il blues-rock di Gary Clark Jr.!
Giuseppe Segala
Sul piano internazionale, addio commosso a David S.Ware, riascoltando il suo concerto a Saalfelden, pubblicato da Aum Fidelity con il titolo Planetary Uncnown. E ancora il bell'omaggio di Dave Liebman e Lewis Porter a John Coltrane, Surreality, pubblicato dalla Enja. Questo mi fa ricordare un altro intenso omaggio a Trane pubblicato quest'anno: Thank You to John Coltrane, di Paul Dunmall e Tony Bianco, pubblicato dalla Slam. Ma porta senz'altro alla mente pure il fondamentale saggio di Porter dedicato a Coltrane, tradotto da Minimum Fax nel novembre 2006: "Blue Train".
Musiche dal nuovo mondo. La scomparsa di Elliott Carter mi ha fatto ricordare il fondamentale testo di Wilfrid Mellers, "Musica dal nuovo mondo" (Einaudi), attraverso il quale imparai ad apprezzare la musica del grande compositore. Il testo di Mellers è ancora una bussola di grande lucidità, capacità di analisi e sintesi.
Jazz italiano: oltre al significativo lavoro di Otto, ricordato il mese scorso da Angelo Leonardi, ho ripreso in mano e molto apprezzato The Leaping Fish Trio, (El Gallo Rojo). Paolo Botti, Zeno De Rossi, Enrico Terragnoli. Un piacere che cresce a ogni ascolto.
Maurizio Zerbo
Gilbert Isbin - Scott Walton: Recall, pfMentum, 2012. Liuto e contrabbasso per un inedito duo dalle sfumature timbriche davvero interessanti, in bilico tra avanguardia jazzistica e fonti rinascimentali. Si impongono le taglienti invenzioni timbriche di Isbin che riattualizza la pratica strumentale del liuto con cadenze jazzistiche che lo fanno talora avvicinare ad una chitarra. Il timbro caldo e penetrante di questo strumento ben si sposa con il basso di Walton, suonato anche come un violoncello con tessiture ariose ed eterogenee. Un disco che lascia intravedere nuovi sviluppi, consigliato a chi non si accontenta di soluzioni codificate.
La cifra a dir poco trasversale del duo era stata già tracciata nel magnifico Venice Suite (Jazz'Halo- Cryptogramophone, 2005), qui arricchita dal violino di Jeff Gauthier. Ne vien fuori un sontuoso caleidoscopio di impulsi, colori e scomposizioni in un intenso gioco di relazioni con la contemporaneità eurocolta. Due suite compongono la gran parte di un'opera illuminata da una materia sonora aspra, dalla densità irregolare. Piuttosto che una tradizione, gli strumenti impiegati incarnano un suono liberato dai pattern ritmico-melodici dominanti.
James Hilman: "Il codice dell'anima," Adelphi 1997 e 2012. Psicologo di fama mondiale, James Hillman è autore di un delizioso saggio destinato ad interessare i più colti jazzofili. Nell'affrontare il tema del soprannome visto come destino e codice simbolico del daimon in un uomo, Hilman applica il concetto all'arte di Dizzy Gillespie e Fats Waller (pp. 229 e 238). Nel terzo capitolo del libro si indaga il rapporto tra il comportamento dei genitori con il destino dei figli. Si scopre così (p. 95) che della madre Cole Porter ereditò non soltanto il cognome ma anche l'aspirazione a diventare musicista.
Foto di Andy Newcombe (Rothenberg), Lourdes Delgado (Revis), Claudio Casanova (Ware).
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