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Things We Like: Marzo 2012

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Vittorio Albani

Il piccolo capolavoro di concerto messo in piedi quasi a fine mese per Itinerari Jazz a Trento dal quintetto di Enrico Rava (Tribe). Un concerto straordinario come Rava non cuciva da tempo. Due ore passate in venti minuti e con una statura e una maturità sorprendenti da parte dei "giovani" del combo.

Grazie a un caro amico ho scoperto un grande capolavoro del Warren Smith Composer's Workshop Ensemble che non conoscevo nella doppia versione su CD uscita nel 1995 e che raccoglie perle di saggezza (Strata-East) tutte registrate a New York in alcuni concerti che spaziano dal 1969 al 1982. A corroborare l'anima lavorano: Johnny Coles (tromba), Jack Jeffers (trombone basso), Julius Watkins (corno francese), Al Gibbons (sax tenore), Howard Johnson (sax baritono, tuba), Bross Townsend (piano), Herb Bushler (contrabbasso), Warren Smith (piano), Jimmy Owens (tromba, flicorno), Garnett Brown (trombone), Norman Spiller (tromba), Sharon Freeman (corno francese), Courtney Winter (saxello), George Barrow (sax tenore, clarone), Greg Maker (contrabbasso, basso elettrico), Omar Clay (batteria), Vincent Chancey (corno francese), Gary Gordon (sax baritono), Dave Moore (contrabbasso), Keyatte Abdur-Rahman (percussioni) Si prega di recitare almeno una volta a voce alta i nomi sopra citati. Un buon mantra.

Alberto Bazzurro

Due segnalazioni. Anzi tre. Musica ascoltata ma anche vista. Anzitutto due festival, Bergamo e Ivrea, racchiusi negli ultimi due week-end del mese. Tanto per segnalare, di ciascuno, ciò che, in mezzo a tanta altra buona musica, più ha lasciato il segno in chi scrive: Tim Berne Snakeoil a Bergamo, Enrico Rava Tribe a Ivrea.

C'è poi un DVD, visto di recente pur risalendo alla bellezza di quarantacinque anni fa. Vi si colgono all'opera due giganti della trasgressione (quella vera, non di mera facciata, di regola evocata solo perché il termine suona così bene...) intercalati lungo i ventiquattro minuti e rotti di Sound?? di Dick Fontaine. Stiamo ovviamente parlando di Roland Kirk (nella foto qui accanto in un fotogramma del film) e John Cage. Fra suoni e parole, parchi fogliosi e jazz club fumosi (così vuole l'iconografia di settore), duetti zoologici e soliloqui letterari, flauti da naso e biciclette (d)a mano. Quando trasgredire significava rischiare regolarmente lo sbertucciamento. E non suonava ancora così bene...

Francesca Odilia Bellino

Tre ascolti del mese che mi hanno fatto pensare all'orchestra, un sistema-mondo (o una comunità utopica?) nato per creare e riprodurre il bello (in musica).

1. Ennio Morricone: la musica per il cinema da Leone a Tornatore.

Si tratta di un un concerto ascoltato in live streaming sul sito dell'Orchestra Sinfonica della Rai.

Poteva essere l'occasione per celebrare la retorica e così non è stato. La prima metà del concerto ha messo insieme un pezzo di storia d'Italia (con pezzi come "Varianti su un segnale di polizia" (dedicato ai giudici Falcone e Borsellino) e fogli sparsi da varie colonne sonore. La seconda metà si è calata nel cinema, ripercorrendo i classici di Sergio Leone e del cinema impegnato.

L'orchestra segue il maestro (venerato) che senza esitazione la tiene in pugno. Un'orchestra al completo servizio di un'idea sonora. La musica, l'immagine a cui si riferisce (come non pensarci?!), la domina. Il maestro guida gli orchestrali con sensibilità e concretezza e commuove tutti.

2. A Slum Symphony

Nel 1975 José Antonio Abreu, economista, direttore d'orchestra, attivista venezuelano, inventa El sistema, un metodo di educazione musicale pubblica, diffusa e capillare, con accesso gratuito e libero per bambini e fanciulli di tutti i ceti sociali "che ha lo scopo di organizzare sistematicamente l'educazione musicale e promuovere la pratica collettiva della musica attraverso orchestre sinfoniche e cori, come mezzo di organizzazione e sviluppo della comunità".

L'orchestra al servizio della comunità e per lo sviluppo della società. Un'idea politica e musicale insieme. Una forza di una potenza estrema.

In italia il sistema è arrivato nel 2010, promosso da Abbado. Arenato?

3. Duke Ellington e la sua orchestra: nel 1933 in Bundle of Blues, nel 1943 in "Take the A train", nel 1959 "West Indian Pancake", nel 1971 "Afrique", se ancora di orchestra si può parlare...

Duke Ellington e la sua idea di orchestra è uno spazio nel quale improvvisare, una giungla nella quale trovare ispirazione e perdersi. Fondamentale la sua idea di orchestra nel jazz, forte, vibrante, tesa, piena di senso dello humor, con un'idea del divertimento collettivo senza eguali, basato però su un certo ordine e rispetto delle parti. L'orchestra è uno strumento nelle mani di Ellington: è lui a darle vita, linfa, sostanza, materiale per narrare. Duke la cambia nei suoi elementi negli anni, la assottiglia sempre di più, senza toglierle mai quella sua ironica e sardonica essenza...

Enrico Bettinello

I Ninesense di Elton Dean al 100Club, registrati da Riccardo Bergerone nel 1979 e ora riproposti dalla Reel Recordings.

Il nuovo disco in trio di Vijay Iyer, Accelerando, spettacolare specie quando rilegge Henry Threadgill!

Il trio di Craig Taborn ascoltato a Bergamo Jazz e Padova, una delle cose più sublimi degli ultimi tempi!

Leggere i racconti stralunati dell'uruguayano Felisberto Hernandez... tra l'altro anche pianista.

Riascoltare la Salome di Strauss diretta da Karl Bohm.

Luca Canini

RITORNI. Il quintetto di Jackie McLean immortalato nel '67. Brano e disco si intitolano Hipnosis. Immensi Grachan Moncur al trombone eBilly Higgins alla batteria.

ASCOLTI. La traccia numero due, "Optimism", dell'ultimo disco di VIjay Iyer, Accelerando. Incredibile.

ASCOLTI 2. Andrew Bird e St. Vincent, alias Annie Clark, insieme dal vivo a Parigi. E quella stessa sera Andrew da solo.

RITORNI 2. Il sestetto di Cannonball Adderley registrato in Svizzera nel '63. Formazione strepitosa, splendida coreografia: un disco Blue Note in 3D.

ASCOLTI 3. Il secondo movimento del quartetto Numero 8 in Do minore di Dmitrij Šostakovic.

LIVE. Craig Taborn trio a Padova, con Thomas Morgan al basso e Gerald Cleaver alla batteria. Stellari.

Maurizio Comandini

Bill Laswell's Material & Bernie Worrell a Milano - Ovvero come partire da una delusione (la mancata partecipazione per gravi motivi di salute della cantante Gigi, moglie di Laswell e musa degli intrecci musicali fra Africa e New Jazz) per riscoprire il fascino di un maestro delle tastiere come Bernie Worrell. I suoi cinque minuti iniziali del concerto in solo dietro all'organo Hammond, ci hanno trasportato, vista l'ora e il giorno della settimana, alle scorribande degli organisti nelle chiese di Harlem. Dopo pochi minuti, la sezione ritmica davvero regale (Hamid Drake e Aiyb Dieng, rispettivamente alla batteria e alle percussioni, con l'aggiunta del basso ipnotico di Bill Laswell) iniziava a 'cuocere' a fuoco lento le pietanze musicali, che poi venivano insaporite dalla tromba di Steve Bernstein (un po' calligrafico, come sempre) e dall'ottimo sax di Peter Apfelbaum (fascinoso anche al flauto). La chitarra di Dominic Kanza era funzionale alle suggestioni ritmiche complessive che spesso profumavano d'Africa ma era un po' scolastica nei momenti in solo. Le evocazioni di Jimi Hendrix ("Voodoo Chile" e "Sunshine of Your Love," che pur essendo dei Cream veniva qui citata nello spirito dell'arrangiamento hendrixiano) lasciavano un bel po' di distanza rispetto all'originale. Del resto inarrivabile. Un bell'arrangiamento di gruppo della beatlesiana "Eleanor Rigby" ci conduceva, con un crescendo appassionante e quasi orgiastico che sfociava in territorio reggae venato di Etiopia, verso la fine di un concerto che avremmo voluto interminabile, dilatato, incessante. Una bellissima domenica mattina di metà marzo a Milano.

Fleetwood Mac - Then Play On: Un album un po' dimenticato, riscoperto per caso nelle ultime settimane: perfetto per la primavera incombente, rigoglioso, organico, giovanile e maturo allo stesso tempo. Capace di essere blues senza necessariamente percorrere la strada delle 12 battute. Una perfetta integrazione delle due chitarre di Peter Green e Danny Kirwan. Sublime.

Frank Zappa - Hot Rats: Questa volta la riscoperta è merito dell'amico Roberto Masotti che ha postato su Facebook il link ad una versione su Youtube di "The Gumbo Variations". Da lì è scaturita la voglia di riascoltare tutto l'album e da una piccola provocazione successiva di Veniero Rizzardi si è passati al confronto fra la versione in vinile del 1969 e la rimasterizzazione (curata dallo stesso Zappa) per l'edizione in CD degli anni novanta. Dettagli, dettagli, dettagli. Sono loro a fare la differenza. Hot Rats for us, forever & Hot Dogs for the rest of them.

Brad Mehldau Trio - Ode: Brad si conferma pianista straordinario. Questo nuovo album in trio è una vera gemma. La maggior parte delle registrazioni risale al 2008, ma la musica è attuale e frizzante come se fosse scaturita or ora dalle pieghe del tempo, fra indignados e occupy wall street. Tempi duri ci attendono.

Libero Farnè

Petrolini come i grandi improvvisatori: per motivi familiari che non sto a rivelare, nell'ultimo mese, come innumerevoli altre volte negli ultimi due anni, ho ascoltato il geniale Ettore Petrolini nel suo "Gastone". Come si può rilevare dai pochi spezzoni on line, Petrolini, morto nel 1936, è stato il capostipite di una schiera di comici italiani, inclusi Totò e Alberto Sordi. Di "Gastone" ha dato varie versioni; in quella che conosco io il nome del protagonista viene pronunciato venti volte, con inflessioni, con sfumature, formali ma anche di senso, sempre diverse. Intrigante anche il continuo variare del soggetto narrante, alternando la prima e la terza persona. Riporto l'ultima strofa del testo della canzone:

Bice,

solo lei mi fa felice.

Gemma,

ama molto la mia flemma.

Rina,

lei per me la cocaina;

se la prende a colazione,

pensando a Gastone.

Angelo Leonardi

Sempre attenta all'universo del jazz, la Minimum Fax pubblica "Thelonious Monk - Storia di un genio americano" dell'autorevole storico Robin D.G. Kelley. Dopo una ricerca di dieci anni, l'autore ha scritto un testo monumentale di oltre 800 pagine sul grande pianista, ricevendo prestigiosi riconoscimenti: è stato selezionato dal New York Times tra i 100 migliori libri del 2009 e premiato come miglior volume sul jazz dalla Jazz Journalists Association. Come ha scritto il Boston Globe, è davvero "il più completo e penetrante ritratto di Thelonious Monk mai realizzato". Kelley ha consultato una vasta documentazione inedita, tra cui nastri privati di conversazioni del pianista, aggiungendo personali interviste coi più stretti familiari e amici. Il risultato è imponente, riuscendo a svelare la complessa personalità di Monk oltre il muro di stereotipi che l'hanno descritto come un artista naïf, istintivo, privo di cultura musicale e dotato di una tecnica approssimativa, esagerando su eccentricità che erano spesso forme di difesa.

Un testo impedibile su un artista unico.

Sul versante discografico tre avvincenti uscite:

The Gnostic Preludes (Tzadik) di John Zorn è tra le più appassionanti. Dopo The Goddes e At the Gates of Paradise un'altra manciata di evocative composizioni del sassofonista sono eseguite da partner di lunga data. Ora è la volta di Bill Frisell alla chitarra, Carol Emanuel all'arpa e Kenny Wollesen al vibrafono. Un lavoro di sublime minimalismo e pervaso da una vena rituale e arcana, caratterizzato da radiose melodie che si dipanano in un dialogo ricco di sottigliezze.

Dopo quattro anni che non pubblicava opere in trio, Brad Mehldau esce con Ode (Nonesuch) realizzato in studio con Larry Grenadier al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria. Il disco è una ventata d'aria fresca ed affascina per il variopinto alternarsi di climi ritmici e l'intenso e avvincente interplay. Erano anni che non sentivo Mehldau in forma così smagliante e le sue nuove composizioni sono avvincenti. I suoi partner sono superlativi e non è difficile prevedere per questo lavoro un mare di consensi.

Restando in tema di piano trio il nuovo organico di Enrico Pieranunzi con Scott Colley e Antonio Sanchez (Permutation, CAM Jazz) non ha niente da invidiare al precedente. Il disco rappresenta un capitolo nuovo nella carriera del pianista romano - dopo la lunga relazione con Marc Johnson e Joey Baron - ed è quanto mai riuscito. Colpiscono in particolare la complessa articolazione ritmica del collettivo, il pregnante flusso narrativo e le rapsodiche improvvisazioni del leader.

Vittorio Lo Conte

Un tedesco residente a Vienna: Ulrich Drechsler. Il suo nuovo disco per la Enja, Beyond Words, ha un titolo perfetto: è difficilissimo descriverlo a parole. In questo CD il suo clarinetto basso diventa uno strumento dal suono lirico e raffinato. La mancanza del contrabbasso lo mette ancora più in evidenza lo lascia a confronto con il pianoforte e la batteria. Un modo intelligente di fare musica melodica e ricca di feeling senza scadere nel sentimentale.

Di nuovo Ivo Perelman: il nuovo CD Family Ties con il contrabbasso di Joe Morris e la batteria di Gerald Cleaver fa da contrappunto al jazz più in riga con la tradizione. Per il sassofonista brasiliano il free è una ragione di vita e non ne fa mistero. I legami con i grandi del passato non mancano, ma qui la famiglia di provenienza è quella della New Thing. A sentire certa roba di oggi la Nuova Cosa è più nuova che mai, avrà fatto l'antiaging o sono gli altri che la fanno apparire tale?

Paolo Peviani

I festival piccoli, organizzati con una passione ed una competenza inversamente proporzionali ai mezzi disponibili. Festival dove la distanza tra musicisti e pubblico è annullata, dove c'è vera condivisione.

Il quintetto Tribe di Enrico Rava, ascoltato all'Open Jazz di Ivrea. In rete girano interventi di persone che passano le loro giornate a criticare Rava. Beh, devo dire che non capisco le ragioni di questo accanimento, e fossi in loro cercherei modi migliori per trascorrere il mio tempo. Tribe è un gruppo eccellente, di musicisti giovani, che suonano con un'intesa, un'energia, un'intensità, difficilmente riscontrabile nei gruppi italiani.

Il fatto che a Milano, nonostante una certa assenza delle istituzioni - più impegnate a supportare fantomatici Jazzin' festival con nomi improbabili - ci sia sempre qualcuno che ha voglia di organizzare rassegne, concerti, eventi. Tra le ultime cose di cui mi è giunta notizia, il festival Easy to Love, e gli eventi organizzati agli spazi Assab One e Sunomi.

Neri Pollastri

1. Almond Tree, quartetto di Silvia Bolognesi nel quale tutto funziona a meraviglia: belle composizioni, suoni mirabili, musicisti fantastici che interagiscono gioiosamente (Pinocchio Live Jazz - Firenze - 03.03.2012).

2. La rilettura di Villa-Lobos e Leo Brouwer fatta dal settetto di Bartolomeo Barenghi in Prelúdio e Saudade (Quadrant, 2012), apoteosi di legni in bilico tra classica, folk e jazz.

3. Arild Andersen, un contrabbasso che sta in front line, racconta storie, abbraccia il pubblico e lo tocca al cuore (Pinocchio Live Jazz - Firenze - 10.03.2012).

4. I blues, sporchi e luminosi, dell'ultima perla di Paolo Botti: Slight Imperfection (Caligola, 2012), in quartetto con Dimitri Grechi Espinoza, Tito Mangialajo Rantzer e Filippo Monico, ospiti la voce di Betty Gilmore (fantastica!) e il violino di Emanuele Parrini.

Vincenzo Roggero

Mattew Shipp Live at Incubate 12.09.2011. Su SoundCloud. Un'unica improvvisazione di cinquantanove minuti dove brandelli di standard emergono da una cavalcata tumultuosa ma anche elegiaca e dove la somma arte di Shipp emerge prepotente e assoluta. Una delizia.

La voce luciferina di Mike Patton incontra Guano Padano, ossia Zeno De Rossi, Danilo Gallo e Alessandro "Asso" Stefana , per dar vita a Prairie Fire. Sulfurea escursione tra sirene, chitarre vibranti, cori assai poco angelici, il brano illumina (od oscura , se preferite) la seconda uscita discografica di un trio assolutamente fuori dal comune.

Luigi Santosuosso

Reductio ad unum: questo mese due dischi e due musiciste (radicalmente diverse) forniscono interessanti illustrazioni del dono della sintesi. Megaphone Heart di Jessica Lurie fonde in modo convincente jazz, rock, country, folk e a tratti ci fa pensare che se il prog avesse avuto questi suoni ci sarebbe veramente piaciuto. Il suadente Silent Movie di Melissa Stylianou fa sembrare del tutto naturale che brani di Joanna Newsome, Vince Mendoza, Jonny Cash, Oscar Hammerstein & Jerome Kern, Paul Simon, Charlie Chaplin e John Taylor possano convivere nel repertorio di un solo CD.

In entrambi i casi c'era il rischio di disperdersi e invece le due musiciste sono riuscite a tirare fuori lavori coerenti dimostrando che a prevalere è la loro visione e non gli stereotipi degli stili e delle fonti interpretate. Poi, siccome purtroppo il mondo del jazz è vittima di altri stereotipi, probabilmente la Stylianou che è una cantante ha davanti a sé un futuro brillante, mentre la Lurie dopo anni di grandi progetti non è ancora osannata come colleghi maschi newyorchesi di minor valore.

Appunti di viaggio: Capo Verde sopravviverà senza problemi alla perdita di Cesaria Evora. Un po' di tempo passato nel negozio di dischi di Praia, ci ha fatto scoprire tanti nomi nuovi (almeno per noi) come quelli di Nancy Viera e Mayra Andrade e meno nuovi come i Voz de Cabo Verde (ormai quasi un Buena Vista Social Club capoverdiano, sia per spirito che età) o Travadinha (che ho sentito piú volte definito come il "Miles Davis" del violino capoverdiano). Peccato essere passati troppo presto per godersi il Kriol Jazz Festival (12-14 aprile).

Figliol prodigo: avevamo perso un po' le tracce di Iain Ballamy e del suo immaginifico sax. Ci ha fatto quindi grande piacere scoprire Indigo Kid (Babel Label), disco d'esordio dell'omonimo gruppo, prodotto dallo stesso Ballamy ma capitanato dal giovane chitarrista Dan Messore. Un incontro tra due generazioni di musicisti che ci fa pensare di nuovo a quanto ci sia da scoprire nella scena britannica, troppo - per forza di cose - insulare e reclusiva. Il sax di Ballamy su "The Man I Love" vale da solo l'acquisto del disco (in uscita verso fine aprile).

Viva gli MP3: che fanno gonfiare il mercato dei CD di seconda mano... così che diventa possibile comprare a pochissimi dollari (a volte centesimi) CD nuovi e meno nuovi di Jeb Bishop, Kip Hanrahan, Michele Rosewoman, Sly Stone, Malcolm Braff, Bobby Previte, Sidony Box, Macy Chen, Talking Cows e decine di altri in alcune mecche dell'usato come Academy Records e Rhino Records.

Quesito esistenziale: quale sfumatura della condizione umana non è stato sintetizzato nelle strofe dell'American Songbook? Si tratta di una scoperta che viene confermata ed allargata ascolto dopo ascolto. L'ultima perla targata Tin Pan Alley che ci è balzata all'orecchio è questo passaggio da "My Foolish Heart" di Ned Washington e Victor Young, nella splendida interpretazione di Tony Bennett contenuta in The Tony Bennett / Bill Evans Album): "There's a line between love and fascination / That's hard to see on an evening such as this / For they both give the very same sensation / When you are lost in the magic of a kiss". 37 parole raccolte in 4 frasi a rime alternate che sono meglio di un bignami dell'attrazione fatale.

Origami: il bellissimo documentario "Between the Folds", oltre ad affascinare di per sé sorprende per gli incredibili parallelismi tra le correnti e rivalità stilistiche che percorrono l'arte giapponese di piegare la carta come il jazz (o ogni altra forma d'arte): conservatori, sperimentatori, codificatori, rivalità e incomprensioni tra i guru dei vari stili. Vedere le opere dei Zorn e Marsalis della carta piegata risulta illuminante.

Ci mancava solo questa! Hanno messo online gli archivi completi delle registrazioni di Alan Lomax! E pensare che eravamo già indietro di brutto con tutte le cose che dobbiamo ancora ascoltare!

Giuseppe Segala

Monk. Nella ricchissima e dettagliata biografia di Robin D.G. Kelley, "Thelonious Monk. Storia di un genio americano," pubblicata in febbraio da Minimum Fax (bella traduzione di Marco Bertoli, ma più significativo il titolo originale, "Thelonious Monk. The Life and Times of an American Original"), si incappa in un formidabile capitolo 9: "Musicalmente, Dizzy e Bird non mi hanno insegnato niente". Sono riportate le parole di Monk in un'intervista pubblicata da Jazz Magazine nell'aprile 1963: "Mi pare di aver contribuito al jazz moderno più di tutti gli altri musicisti messi insieme (...). Musicalmente, Dizzy e Bird non hanno fatto nulla per me, non mi hanno insegnato niente. Anzi, erano loro che venivano sempre da me a domandarmi qualcosa, ma hanno avuto tutti gli onori. Sembra che i fondatori del jazz moderno siano loro, invece perlopiù hanno interpretato idee mie".

Nel capitolo precedente, "Cerco di capire se sarà un successo," ci sono gli esilaranti contatti con Mary Lou Williams, che lo stima molto come pianista e compositore, e gli permette di esercitarsi sul suo Baldwin verticale. Una notte lei si sveglia e si ritrova Monk nel letto... si era accoccolato lì perché non voleva disturbarla, suonando mentre lei dormiva. Sono poi ricordati i tentativi surreali di dare vita a un lavoro per tre pianoforti: Monk, Powell e la Williams: "Alle prove si moriva dal ridere. Monk allungava la mano da dietro la schiena di Bud per suonare i suoi accordi e Bud si girava per dargli un'occhiataccia".

E c'è il capitolo 18, "Il mio momento verrà," dove si ricorda l'intensa collaborazione con Coltrane, la soddisfazione di Monk, che spesso per ascoltare il quartetto con Wibur Ware e Shadow Wilson, si alzava, faceva i suoi passetti di danza, si allontanava dalla pedana. "E io avevo quindici o venti minuti per improvvisare da solo, fino al suo ritorno," ricorda Trane. Le celebri parole di Coltrane sulla musica di Monk sono tra le più belle mai dette: "Devi stare sempre all'erta. Non sai mai cosa può succedere. Ritmicamente, per esempio, Monk crea una tensione tale che i solisti, anziché ricadere nelle solite frasi fatte, sono costretti a pensare. (...) La cosa più importante che mi ha insegnato Monk è di non aver paura di provare nulla, se è quello che penso".

Ascolto: naturalmente il quartetto del 1957, At Carnegie Hall, ma pure le vecchie registrazioni con Miles Davis del 24 dicembre 1954, dove Monk tace in modo problematico durante gli assolo di Davis (il contraddittorio è descritto minuziosamente nel capitolo 14 del libro di Kelley), ma si inserisce in "Bemsha Swing" e nell'esposizione di "Swing Spring," spostando tutti i pesi di un enunciato che rischierebbe la piattezza.

Foto di Prashant Bhargava (Vijay Iyer), Roberto Cifarelli (Laswell/Worrell), Claudio Casanova (Craig Taborn).

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