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The Shape of Jazz to Come? Antonio Figura

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Per molti è un complimento quando si sentono dire che hanno suonato così bene da ricordare qualche grande maestro della storia del jazz, per me è esattamente il contrario.
Antonio Figura ha ereditato la passione per lo swing dal padre, e oggi - a quasi quarant'anni - la musica rappresenta una fetta importante della sua esistenza. È alla ricerca di un suono che lo caratterizzi appieno, nel frattempo dà alle stampe dischi intensi, come Strong Place, e s'imbatte in progetti originali che spaziano dalla musica brasiliana, alla scrittura per un futuro piano solo.

All About Jazz Italia: Raccontaci come è andato il primo incontro con il pianoforte e con il jazz.

Antonio Figura: Mio padre, batterista, ha educato me e i miei fratelli alla musica, fin da piccolissimi. Casa mia è sempre stata piena di strumenti: dal basso tuba di mio nonno alle batterie di mio padre, alle tastiere, chitarre e bassi. Per il mio ottavo compleanno i miei genitori mi dissero che se avessi studiato seriamente mi avrebbero regalato un pianoforte verticale. Era tale il desiderio di fare musica che non me lo feci ripetere due volte. Il jazz l'ho incontrato grazie ai dischi di mio padre. Passavo ore ad ascoltarli insieme a lui. In quelle "sedute" ho ereditato la passione per lo swing.

AAJ: Qual è stato il tuo percorso di formazione?

A.F.: Ho cominciato da autodidatta a Priolo Gargallo, piccolo centro in provincia di Siracusa, dove sono nato e ho vissuto fino a venti anni. I miei maestri erano papà e i suoi amici musicisti. Una volta finito il liceo mi sono trasferito a Firenze dove mi sono laureato in "Discipline Jazz e Storia della Musica Afro-Americana" al conservatorio Cherubini, sostenendo una tesi sul Modern Jazz Quartet.

AAJ: Quali sono i progetti musicali che stai portando avanti?

A.F.: Attualmente sto lavorando su diversi progetti: sto scrivendo i brani del prossimo disco in piano solo; poi c'è Strong Place in trio con Milko Ambrogini al contrabbasso ed Ettore Fioravanti alla batteria; il duo con il vocalista inglese Cleveland Watkiss e il suo quartetto Ituk con Milko Ambrogini e il batterista Shaney Forbes. In fine c'è un'idea in via di sviluppo sulla musica popolare brasiliana in collaborazione con Max de Tomassi di Radio Rai 1 e Mario Berna di Freeformjazz.

AAJ: Strong Place è anche il tuo ultimo lavoro discografico. Quali sono i tre aggettivi che lo definisco appieno e perché?

A.F.: Profondo, intimo, vero. In questo disco il mio unico interesse era far emergere le caratteristiche che mi contraddistinguono: mostrare il mio pensiero musicale senza fretta, attraverso una relazione serena con lo spazio e il tempo, e senza l'inquinamento di facili manierismi. È un disco "vero," perché anche se qualcosa non è perfetto l'ho lasciato nell'incisione, come testimonianza del momento emozionale in cui è stato eseguito. Strong Place è stato registrato in sei ore.

AAJ: Come sono andate le sei ore in studio con i musicisti americani Kendrick Scott (batteria) e Vincent Archer (contrabbasso)?

A.F.: La mia esperienza con Kendrick e Vincent è stata esclusivamente professionale; è stata molto illuminante per certi versi perché mi sono trovato di fronte a musicisti che volevano solo fare il lavoro con molta professionalità e trasporto verso la mia musica. A loro non è interessato stabilire un rapporto d'amicizia con me, ma soltanto la musica che avevo scritto, e a mio parere ne hanno saputo cogliere pienamente il senso. Credo che abbiamo scambiato qualche parola soltanto all'arrivo in studio e alla fine della registrazione.

AAJ: Quali sono gli aspetti sui quali vuoi concentrarti per progredire ulteriormente e i punti di forza del tuo modo di fare musica?

A.F.: La verità musicale è ciò che mi interessa. Andare a sentire musicisti che suonano tutti allo stesso modo e senza personalità è diventato molto noioso. Bravi, per carità, ma purtroppo la sensazione che provo all'uscita dalle sale da concerto è quella del vuoto, e dell'indifferenza. Quando ascolto un disco o guardo un video dei grandi maestri mi rendo conto che quelli ci mettevano la vita - e non è retorica - in ciò che suonavano, ed è questo che mi manca quando ascolto la maggior parte dei musicisti odierni, compresi quelli molto famosi. I miei studi, giorno dopo giorno, sono basati sulla ricerca di un suono personale, di personalità, e di qualcosa da dire, altrimenti è meglio stare zitti. È strano, ma per molti è un complimento quando si sentono dire che hanno suonato così bene da ricordare qualche grande maestro della storia del jazz, per me è esattamente il contrario.

AAJ: Se accendo il tuo iPod, cosa trovo in play?

A.F.: Musica popolare brasiliana, perché è l'ultimo progetto a cui sto lavorando.

AAJ: Nella tua vita, oltre che per la musica, quali altri interessi o passioni coltivi?

A.F.: Ho una moglie e un figlio straordinari. Ma forse questo non è giusto definirla passione. È puro amore.

Foto di Davide Susa (la prima e la seconda), Felice Berna (la terza), Matteo Cantamessa (la quarta).

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