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Testimoni del '68: Mario Gamba
ByMica per cercare la rivoluzione. Quella ce l'avevo in testa da tempo, ma, essendo un provinciale un pochino acculturato senza arte né parte, a Milano ci arrivo per cercare un lavoro ed evadere (finalmente! ho già compiuto 29 anni!) dalla famiglia.
Il caso vuole che ci arrivi insieme a una fanciulla anche lei in fuga dalla famiglia e che, appena arrivati, ci sposiamo. Pazzesco! Proprio nel momento in cui - giustissimamente - il matrimonio, la famiglia e la coppia sono indicati come istituzioni da distruggere.
Non durerà fino a oggi il matrimonio, l'amicizia con quella fanciulla sì.
La rivoluzione viene a cercare me.
E poi è chiaro che la desidero ardentemente.
A Milano la trovo.
Con tutto quello che vuol dire: immersione e fervida radicalità nel conflitto sociale, liberazione sessuale.
Oggi, del resto, possiamo dirlo: il '68 e gli anni seguenti, fino a tutti gli anni '70, lotta armata compresa, sono stati una rivoluzione vera.
Non avranno conquistato governi ma hanno cambiato la vita di molte generazioni.
L'hanno messa in subbuglio.
Conta essere rivoluzionari - dice Gilles Deleuze - non tanto «vincere» le rivoluzioni.
Ben dodici anni prima del 1968, durante un soggiorno in sanatorio, tra l'ascolto di un Gerry Mulligan e di un Modern Jazz Quartet - jazz primo amore -, capto sulla radiolina un Cecil Taylor dell'epoca (con Steve Lacy, mi pare). Questa sì è la mia musica!
Una volta guarito studio un po' di piano e composizione e ascolto tanto Webern e tanto Bach.
È proprio dal '68 in poi, dopo Milano, che comincio a conoscere bene Shepp, Coltrane e Taylor appunto (il sommo). E Cage. Il clima culturale del tempo c'entra? Ci sta benissimo, è quello che ci vuole. Poi, dalla scoperta del post-free, Braxton in testa, e delle sue versioni europee, è la mia storia di giornalista, per anni a tutto campo (politica, sindacato, cronaca) e infine musicale.
Ma la lampadina jazzistica nella mia testa s'era accesa quella notte del '56.
Foto di Claudio Casanova
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