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Testimoni del '68: Giordano Montecchi

A occhio e croce per noi il Sessantotto cominciò l'anno dopo.

Noi: cioè quattro o cinque studenti di III A del neonato Liceo Scientifico Copernico (il nome glielo avevamo dato da pochissimo noi studenti con un referendum, suggestionati dall'idea della "rivoluzione copernicana" anche se non ci era ben chiaro cosa volesse dire).

Eravamo assatanati di musica. Quanto a me ricordo la sbornia per Revolver dei Beatles. Ma noialtri sedicenni la musica la scoprivamo giorno dopo giorno, a casa di Walter: stanzino tre metri per due, un divano sfondato, scaffali stracolmi di libri, dischi, cianfrusaglie che puntualmente ci crollavano addosso e, soprattutto, un giradischi stereo (avanguardia!), quando ancora, personalmente, mi arrabattavo col Gelosino, il registratorino gracchiante dai tasti colorati. Con quello, a casa mia, registravo qualche serata del Jazz Concerto di Mazzoletti: ma gli Oscar Peterson e i Dizzie Gillespie parevano roba da vecchi bacucchi.

Nello stanzino di Walter, invece, 1968 o 1969, la nostra rivoluzione copernicana si chiamava Jimi Hendrix, Janis Joplin, Cream, Vanilla Fudge...

E poi arrivò il 1970, l'anno del big bang. Per la musica fu quello il vero nostro Sessantotto. Ricordo le copertine, gli occhi sgranati, i «cazzo senti sta roba!» mormorati fra i denti. Quell'anno il giradischi fu sequestrato da due album, fatali entrambi: Hot Rats e Bitches Brew, Zappa e Davis.

Da allora, per me, la musica non fu più la stessa.

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