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Testimoni del '68: Giampiero Cane
ByNel così detto anno fatidico osservavo la generazione dei discenti avvicinarsi alla libertà di pensiero. C'era chi dal mio insegnamento era spinto a studiare qualcosa, chi mi aborriva, chi non capiva assolutamente nulla.
Insegnavo in una scuola magistrale, da me scelta perché l'impegno in aula si riduceva a 16 ore settimanali, di fronte alle 18 dei licei. Non è gran cosa, ma essendo di mattina c'è da tenerne conto.
Una sera ero andato a Milano per un concerto di Max Roach, quando con lui c'era ancora l'incantevole Abbey. Cenammo insieme, dopo, con il musicista, l'incantevole signora, un amico ch'era venuto con me da Bologna e Daniele Ionio, fondatore e direttore di Jazzland (l'alternativa intelligente alla banale, fin d'allora e poi anche men che tale, Musica Jazz). Si fecero le 4 prima che di malavoglia lasciassimo il ristorante.
Non so se c'è qualcuno cui queste cose possano interessare, ma nella vicenda c'è qualcosa di divertente.
Il giorno lì avvenire era per me il più tragico della settimana, quello che iniziava alle 8 e 30, comprendendo poi un'ora per il ricevimento dei familiari degli studenti, dove nessun genitore osava farsi vedere da quando avevo stabilito che li avrei ricevuti solo in presenza del figlio.
Naturalmente non avevo voglia di andare a scuola, ma... Ero arrivato a casa verso le 7 e pensai che dopo un po' il preside sarebbe stato in ufficio. Attesi un po' più di mezz'ora e gli telefonai dicendo che, essendo stato la sera prima alla Scala, (a un preside la Scala può fare impressione, un concerto di jazz no, altrimenti che razza di preside sarebbe?), dicendogli che ero in autostrada, per la nebbia, come si confà alla val padana, che ero in smoking, dato il teatro dov'ero stato, comunque un po' in ritardo; voleva che mi presentassi tuttavia, oppure no? (avrei mandato una richiesta di giustificazione tra quelle ammissibili in quel mondo ridicolo).
Mi rispose di presentarmi a scuola appena possibile.
Indossai lo smoking, camicia bianca, gemelli, farfalla e gilet e, con un minimo di ritardo ero in classe.
Alle magistrali, è bene ricordarlo. Quel giorno le studentesse dovevano essere tutte rinscemite: quelle in aula avevano l'aria di trovarsi in un night, ma se ne stavano come d'abitudine, cercando fuori dal gossip di che parlare, ma le altre erano in evidente stato confusionale sicché continuamente c'eran studentesse che entravano nell'aula dove stavo, dichiarando, stupite, d'aver sbagliato classe.
Il piacere di veder diventare comico il potere (sempre a scuola m'è capitata l'opportunità di verificarlo), questo per me è stato il 68.
In quell'anno scrissi "Canto Nero," pubblicato anni dopo perché allora lo credei perduto. Conobbi Carmelo Bene, il Living Theater e forse il Bread and Puppet. Poi non so.
Nel mio privato c'è qualcosa d'altro, ma non credo interessi a qualcuno (e forse ormai nemmeno a me).
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