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Perico Sambeat: Jazz e Flamenco

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Il sassofonista e compositore Perico Sambeat è uno dei principali jazzmen iberici ed una delle figure di riferimento per la nuova generazione del suo Paese, anche per la vasta esperienza internazionale. Tra le sue collaborazioni più note ricordiamo quelle con Brad Mehldau, Bruce Barth, Kurt Rosenwinkel, Tete Montoliu, Pat Metheny, Michael Brecker.

Recentemente s'è concentrato sulla fusione tra jazz e flamenco in una dimensione orchestrale, realizzando il disco Flamenco Big Band con cui ha riscosso ampi riconoscimenti di critica e pubblico.

Quest'intervista è stata realizzata nei giorni del "42° Barcelona Jazz Festival" dove Perico Sambeat s'è esibito in duo col pianista Joan Díaz.

All About Jazz Italia: Iniziamo da questo progetto con Joan Díaz. È una collaborazione inedita oppure avete già suonato in passato?

Perico Sambeat: Abbiamo suonato altre volte assieme, anche in Ecuador, ma la collaborazione più recente è nel disco in piano solo di Joan, Benestar Peaceful, dove mi ha invitato a collaborare in un paio di brani. La musica di questa sera nasce da quel progetto

AAJ: Ricordo il tuo splendido duo con Bruce Barth in Some Other Spring e la collaborazione con Gerardo Nuñez in Cruce De Caminos. Cosa rappresenta per te il confronto diretto con un altro musicista?

P.S.: Mi piace lavorare in duo perchè facilita la dimensione interattiva e, per quanto mi riguarda, preferisco collaborare con i pianisti e, in particolare, la collaborazione con Bruce è stata molto stimolante.

AAJ: Ci parli del tuo progetto Flamenco Big Band?

P.S.: È un modo diverso - non posso dire se migliore - di coniugare jazz e flamenco, cosa che ha già avuto illustri esempi. In questi ultimi anni ho suonato spesso con Gerardo Nuñez ed altri suonatori di flamenco e mi sono reso conto che non esisteva alcun progetto di fusione tra jazz e flamenco che legasse profondamente i due idiomi. Quel poco che c'è stato era più rivolto al jazz che al flamenco. Così ho lavorato al progetto per cinque anni ed il tutto è sfociato nell'incisione dell'album Flamenco Big Band. Ho voluto essere molto rispettoso della forma tradizionale del flamenco. Anche se la conoscevo abbastanza bene l'ho approfondita molto per apportare delle novità senza alterare il suo spirito più autentico.

In alcuni momenti l'orchestra ha sostituito le parti della chitarra e del canto e questo non è stato mai fatto prima.

AAJ: Tra gli album che hai realizzato quale credi sia più rappresentativo?

P.S.: Difficile rispondere... Come si dice, credo che il migliore sarà il prossimo.

AAJ: Nei primi anni novanta hai soggiornato a New York e svolto molte esperienze didattiche e professionali. Se non sbaglio Lee Konitz è stato uno dei tuoi maestri...

P.S.: Diciamo così, ma in effetti presi solo una lezione. In realtà mi considero un sassofonista autodidatta... in quel periodo feci molte esperienze che hanno contribuito a farmi crescere musicalmente ma la maturazione artistica è qualcosa che non dipende da altri, riguarda solo se stessi. Fu importante essere lì ma non credo che quell'esperienza abbia cambiato radicalmente il mio modo di concepire la musica e di suonare. Nella mia formazione è stato importante l'ascolto dei dischi e l'esercizio costante a casa.

AAJ: In Italia sei conosciuto principalmente per le collaborazioni avute con Brad Mehldau. Cosa ricordi di quell'esperienza?

P.S.: Ho incontrato Mehldau quasi 20 anni fa, in un workshop didattico vicino Barcellona. Lui era molto giovane, intorno ai vent'anni, ma aveva già un incredibile talento. Non era ancora conosciuto ma suonava benissimo. Abbiamo iniziato a collaborare suonando in vari locali ed alcune registrazioni in quartetto del 1993 sono state pubblicate anche su disco (i due volumi New York Barcelona Crossing, Fresh Sound - N.d.R.). Un paio d'anni dopo a Valencia, ho registrato con lui un mio progetto, Ademuz, in un gruppo più ampio che comprendeva anche Mark Turner e Kurt Rosenwinkel. La nostra collaborazione ha continuato negli anni seguenti e Mehldau ha partecipato ad un altro mio progetto, intitolato Friendship.

AAJ: Quando hai iniziato a suonare jazz?

P.S.: Ho iniziato a suonare musica classica al pianoforte quando avevo sei anni ma a sedici sono passato al flauto e al sassofono. Il jazz mi aveva catturato ed iniziai subito a suonarlo.

AAJ: C'è stata un'occasione particolare?

P.S.: Mio fratello gestiva un jazz club a Valencia e invitava molti importanti musicisti che ho iniziato ad ascoltare dall'età di 13/14 anni. Una buona scuola direi...

AAJ: Chi ha determinato la maggiore influenza nei tuoi anni formativi?

P.S.: Sono stato ispirato soprattutto dai sassofonisti tenori e John Coltrane ha esercitato su di me una tremenda influenza. Anche per quel motivo ho preferito concentrarmi sul contralto, per non esserne influenzato troppo e trovare una mia strada.

AAJ: Progetti futuri?

P.S.: Sto per registrare un disco di ballad con Bernardo Sassetti, Javier Colina e il giovane batterista Borja Barrueta mentre sta per uscire un'incisione realizzata in Portogallo ancora con Bernardo Sassetti più Andre Fernandes, Bruno Pedroso and Nelson Cascais. Il nome del disco sarà Elastic. In novembre registrerò con una formazione internazionale ma la cosa è ancora in via di definizione.

Foto di Ester Cidoncha (la prima), Anita Zycka (la seconda), El Humilde Fotero del Pánico (la terza) e Carlos Pericas (la quarta).

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