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Open Papyrus Jazz Festival 2018

Teatro Giacosa, Sala S. Marta, Caffè del Teatro
Ivrea
22-24.03.2017

Dopo l'anteprima del 17 marzo con Enten Eller e danza al Museo Garda, ancora la danza abbinata alla musica ha aperto in Sala S. Marta (i cui endemici problemi di acustica non sembrano purtroppo risolvibili) la tre giorni finale dell'edizione n. 38 del festival eporediese, da qualche anno tornato a svolgersi interamente in città. Il clou della serata era peraltro rappresentato dal trio Cominoli/De Aloe/Zanchi in un set dedicato alla memoria di Garrison Fewell, che a Ivrea si era esibito nell'edizione 2015 appena pochi mesi prima di lasciarci, il 5 luglio di quello stesso anno.

Non essendo stati presenti alla serata, procediamo oltre passando al primo appuntamento al Giacosa, da sempre sede di punta della rassegna. Preceduto dall'abituale appuntamento preserale nuovamente in Santa Marta (presentazione del corposo tomo Il Michelone e successiva esibizione dell'apprezzato quartetto Oba Mundo, impegnato su musiche da film, con la violinista Anais Drago in particolare evidenza), il primo set in teatro ha visto disimpegnarsi ottimamente il sestetto della baritonista (e altro) Helga Plankensteiner (due altoatesini, due berlinesi e due veronesi), gruppo solido, pieno, con belle rifrazioni sonore e percorsi frastagliati, anche se condotti sempre in una logica collettiva.

È salito subito dopo sul palco il New Quartet di Enrico Rava, presenza piuttosto assidua al festival diretto da Massimo Barbiero e Music Studio (terza partecipazione negli ultimi sette anni). Con Francesco Diodati alla chitarra, Enrico Morello alla batteria e, per l'occasione, Francesco Ponticelli al contrabbasso, Rava ha sfornato un concerto coi fiocchi, dai toni alla fin fine piuttosto accesi (solo nella sua ennesima rilettura di «My Funny Valentine», unico brano non suo, il Nostro ha dato voce alla sua vena più incline al lirismo), affrontato interamente al flicorno soprano, su uno strumento che usava per la seconda volta essendogli stato appena costruito ad hoc da un artigiano olandese.

Tutti a nanna dopo un paio d'ore (troppe) di dopofestival al Caffè del Teatro col peraltro apprezzabile Essence Quartet (l'altosassofonista finlandese Sara Karli e il pianista Emanuele Sartoris gli elementi di punta, ma tutti bravi, pur su terreni non particolarmente coraggiosi) e successivo appuntamento ancora nel tardo pomeriggio in Santa Marta con la presentazione, illuminante, del volume Grande musica nera dedicato da Paul Steinbeck all'epopea dell'Art Ensemble Of Chicago, protagonista Claudio Sessa, che ne ha curato l'edizione italiana.

La seconda e ultima serata al Giacosa è partita col duo, di ormai quindicennale cabotaggio, formato da Stefano Benni e Umberto Petrin nel fortunatissimo (e del resto veramente notevole, per bravura dei due performers ed equilibrio fra i vari ingredienti in campo) Misterioso, dedicato com'è noto a Thelonious Monk (e per un segmento a Billie Holiday), con testi di Benni intervallati a perlustrazioni monkiane di Petrin (a partire dal passepartout, prima che anche tutto il resto venisse—come si dice con termine alquanto infelice—sdoganato, vale a dire, ovviamente, «'Round Midnight») e bis per solo piano, dopo un'esibizione fin troppo sintetica per lasciar posto al set conclusivo, protagonista la Lydian Sound Orchestra (più voci), che, nel cinquantennale della morte di Martin Luther King, ha alternato brani del suo direttore, Riccardo Brazzale, alla colemaniana «Lonely Woman», portata su un tempo inusuale, e alla beatlesiana «Blackbird», centrando peraltro il concerto, intitolato non a caso «We Insist», sulla riproposizione della ben nota «Freedom Now Suite» di Max Roach. Set funzionale (anche se la pur impeccabile vocalità di Vivian Grillo è parsa qua e là un po' fuori contesto per specificità timbrico- interpretativa) e applausi per tutti (anche qui con bis finale). La Traditional T.S. Jazz Band ha accompagnato festosamente al Caffè del Teatro i tiratardi verso il transito a un'ora legale ormai incombente.

Foto: Carlo Mogavero.

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