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Nuovo Cinema Marcotulli

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Quando compongo penso sempre a delle immagini; e' come se vivessi delle storie.
Esterno notte: lago di Castel Gandolfo, pochi chilometri a sud di Roma. A volte capita quello che non t'aspetti. Come, per esempio, di intervistare Rita Marcotulli a cena - causa un ritardo che ha fatto slittare l'incontro programmato nel pomeriggio -, a pochi minuti da un concerto che la vedrà impegnata in solo. La pianista romana, di recente premiata con il Nastro d'argento e il Ciak d'oro per le musiche del film "Basilicata Coast to Coast," ha dimostrato una disponibilità unica, mostrandoci con le sue risposte la serenità di pensiero e l'umiltà d'animo tipica dei più grandi.

All About Jazz Italia: La prova in solo, specialmente per un pianista, rappresenta un momento particolarmente importante. Come affronti lo strumento e in che modo decidi ciò che suonerai?

Rita Marcotulli: Nel piano solo è fondamentale capire che tipo di strumento si ha davanti, come è accordato, comprenderne la timbrica, e adeguarsi a questi parametri. Più o meno ho una scaletta in mente, un filo conduttore. Di recente suono le cose che avevo fatto nell'album The Light Side of the Moon con l'aggiunta di nuovi brani, come quelli che ho scritto per "Nanà," il film uscito per la serie "Sounds for Silence" de L'Espresso dedicata al cinema muto di inizio Novecento. È molto importante anche il pubblico, che tipo di elettricità ti trasmette quando stai sul palco, che tipo di sensazione ti dà, e a seconda di questo spesso cambio la scaletta e suono quello che mi sento al momento.

AAJ: Ti siedi e vai per muovere le mani sulla tastiera, il primo pensiero a chi va?

R.M.: A me stessa. Nel senso che quando suono cerco di essere sincera e onesta, quindi sicuramente quello che suono deve piacere prima a me. Non è che suono per il pubblico tanto per suonare. Il pubblico è importantissimo, come del resto l'ambientazione, e a seconda del tipo di risposta che si ottiene ci si può emozionare o meno.

AAJ: A proposito di ambientazione, abitare in campagna, come nel tuo caso, quanto influisce sul modo di comporre?

R.M.: Per comporre c'è bisogno di più silenzio: è come avere una tavolozza bianca da poter dipingere. Nel mio caso la tavolozza è verde [ride]. Abitare in campagna (Calvi dell'Umbria, N.d.R.) mi permette di suonare quando voglio, dal momento che ho un mio studio di registrazione: è una cosa ottimale, il sogno di qualsiasi musicista. Ci vivo da undici anni, certo è che mi mancano un po' gli amici, non la città, ma vivere in tranquillità è la situazione migliore per riuscire a comporre e suonare. Il fatto di essere in campagna influisce. Spesso basta guardare fuori dalla finestra, immaginare che la musica sia lì, e fare un accompagnamento a quella meravigliosa natura che è fuori.

AAJ: Attraverso la composizione pensi di aver trovato il "tuo suono"?

R.M.: Sicuramente cerco di suonare quello che sento dentro, quindi credo di sì. Cerco di fare quello che sento, non cerco di copiare niente. È chiaro che ho avuto nella vita degli stimoli e degli ispiratori, come qualsiasi musicista. L'importante, a mio avviso, è fare come dice Picasso: "il cattivo artista è colui che copia e il bravo è quello che ruba," quindi rubare è la cosa più importante [ride]. Nel senso che è importante trarre ispirazione da qualcosa e con il tempo farla propria.

AAJ: Hai iniziato a suonare e comporre fin da bambina.

R.M.: Ho iniziato a suonare il pianoforte a cinque anni, e per me era come giocare. Questo è fondamentale, perché anche se suoni dieci ore al giorno non devi avvertire la sensazione che stai facendo un lavoro. Devi sentire che stai facendo una cosa che ti piace. L'approccio migliore è proprio quello del bambino che gioca. Comporre è una cosa che viene dal cuore. Ho avuto la fortuna di suonare con tanti musicisti, americani ed europei, questo sicuramente ha influito sul mio modo di esprimermi.

AAJ: Utilizzi spesso degli oggetti sulle corde del piano, come collane e pietre. È un modo per riempire dei vuoti espressivi che il tuo strumento non può darti?

R.M.: Al pianoforte mancano le note lunghe, quelle di un saxofonista o di un cantante; ha dei limiti, come ogni strumento d'altra parte. Quindi spesso mi piace ricercare dei suoni. La musica fondamentalmente "è suono". L'importante è il timbro, il tipo di suono che uno riesce ad avere. Anche il tocco è basilare. Perché puoi anche fare delle cose meravigliose, ma se il suono non c'è le note non escono come dovrebbero. La mia è una voglia di simulare degli altri strumenti, proprio perché mi piace tanta musica. Quando metto la collana sulle corde penso a un sitar, immagino la musica etnica, l'Africa.

AAJ: Immagini, e quindi cinema, che nella tua carriera svolgono un ruolo centrale. Come autrice delle musiche per "Basilicata Coast to Coast," l'esordio alla regia di Rocco Papaleo, hai vinto Nastro d'argento e Ciak d'oro. È il coronamento di un sogno o solo l'inizio?

R.M.: Spero che sia l'inizio di un'avventura, perché di fatto, fin da bambina, quando mio padre registrava - era il tecnico di Morricone, Trovajoli e altri grandi - ero sempre lì a guardare le cose che faceva, quindi c'è sempre stata la passione per il cinema e anche l'idea di comporre per il cinema. Non è un caso che quando compongo penso sempre a delle immagini; è come se vivessi delle storie. Il cinema influisce e mi ispira molto. Fare una colonna sonora è stato come un sogno e ottenere alla prima occasione tutto questo riconoscimento mi fa un grande piacere.

AAJ: Il cinema di Truffaut è per te un'ispirazione inesauribile?

R.M.: Quello su Truffaut è uno dei progetti a cui tengo di più (intrapreso con l'album The Woman Next Door del 1998, N.d.R.) e lo continuo a portare sul palco. L'interesse per Truffaut è nato per caso, l'ho scoperto con "Il ragazzo selvaggio," me ne sono innamorata, ho guardato tutti i suoi film. L'Espresso mi ha commissionato di musicare il film "Nanà" - di Jean Renoir del 1926 - perché pensavano che amassi il cinema francese, ma in realtà amo tutto il cinema.

AAJ: Legata alle immagini è anche la rivisitazione delle musiche dei Pink Floyd, un gruppo che ha fatto della relazione con i filmati il suo valore aggiunto. C'è l'idea di ampliare il progetto?

R.M.: È un disco che ha ottenuto molto successo, ha venduto tantissimo. Chiaramente c'è tanta roba da poter fare di quel repertorio, perché no tutto sommato. Vedremo. Dobbiamo fare delle cose in Germania il prossimo anno, per il momento continueremo a portare in giro il progetto.

AAJ: Hai scelto brani, come "Cirrus Minor," "San Tropez" e "Burning Bridges," tenuti spesso fuori dalle performance anche dagli stessi Floyd.

R.M.: È stato un po' voluto, anche perché rifare i pezzi più famosi era forse anche più complicato, nel senso che la gente ha delle aspettative e li vuole fatti in un certo modo. I Pink Floyd sono stati il gruppo della mia adolescenza, quindi li ascoltavo nel loro insieme. "Astronomy Dominé" l'ho scelto perché era uno dei primi pezzi con Syd Barrett, poi ho scelto i pezzi più melodici e che si prestavano di più a un tipo di lavoro in questo stile e più vicini al jazz. Potevo utilizzare di più la parte più vicina all'universo, allo spazio, alla psichedelia, che ho lasciato un po' da parte.

AAJ: Una tua dichiarazione: «A me piace comporre, quindi devo continuamente trovare qualcosa di cui cibarmi: dal cinema alla letteratura alle altre musiche. Tutto». Cosa hai mente in questo periodo?

R.M.: Qualcuno mi chiede un nuovo piano solo, ma io ho in mente un nuovo progetto come è stato Koiné. C'è qualcosa in cantiere che non svelo per scaramanzia, proprio perché non è ancora definito. Però ci sono due idee da sviluppare. Una dedicata agli elementi in generale; avevo fatto un lavoro con le sculture sonanti di Pinuccio Sciola, vorrei riprenderlo e ampliarlo. Poi ho in testa da un po' di tempo una cosa dedicata a Caravaggio. Renato Parascandolo, che era il direttore di RAI Educational, ha fatto una mostra chiamata "Le mostre impossibili," riproduzioni virtuali ad altissima definizione, in formato reale, di 78 quadri del Caravaggio: era talmente meravigliosa e geniale l'idea di poterli vedere in video, che quando ho saputo questa cosa mi sono detta che sarebbe stato bello farne uno spettacolo, un viaggio immaginario dentro la pittura. Vorrei creare delle suggestioni, magari partendo da un dettaglio. È un'idea che mi ispira molto, ma ci devo lavorare, devo pensare bene a come concretizzarla.

AAJ: Insegni pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma. Qual è il consiglio principale che dai ai tuoi allievi?

R.M.: Conoscere il linguaggio jazz è fondamentale. Ma la cosa più importante è trovare un suono proprio. Spesso si ascoltano bravissimi musicisti che non hanno personalità. Avere personalità è la prima cosa. Anche senza avere grande tecnica.

AAJ: Ci sono pianiste in grado di raccogliere la tua eredità?

R.M.: Nelle mie classi ci sono diverse brave pianiste, come Gaia Possenti una bravissima compositrice che stimo molto e ammiro. Quando ho iniziato il jazz si suonava solo nei club, che non erano ambienti propriamente femminili. Questo ha creato una certa distanza con il mondo femminile, ma adesso le donne hanno una loro attività. Di me scrivevano "è brava, suona bene come un uomo": sfido chiunque a mettere un CD e riconoscere se il pianista è un uomo o una donna. Comunque, la cosa bella dell'arte è proprio che non esiste distinzione di sesso.

Foto di Roberto Cifarelli (la prima e la quinta), Antonio Baiano (la terza e la quarta)

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