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Nuovi viaggi, vecchi compagni di strada: intervista a Larry Ochs

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In questi giorni è in Italia per un mini-tour con il fedelissimo Don Robinson. Un nuovo viaggio con un vecchio compagno di strada. D'altronde, di viaggi e di vecchi compagni di strada, Larry Ochs se ne intende. Da trentacinque anni è in sella al Rova, la sua creatura più celebre e celebrata; e da almeno altrettanti esplora in lungo e in largo lo sterminato continente jazz, incrociando il sopranino e il tenore con chiunque gli capiti a tiro.

Un infaticabile improvvisatore. Curioso, onnivoro, coerente. Ma anche un pensatore straordinario, che attraverso la sua musica ha riscritto le regole della convivenza tra passato e futuro, innovazione e tradizione. Un esempio? L'epocale Electric Ascension, rilettura del capolavoro coltraniano fissata su disco con l'Orkestrova nel 2005 e da allora portata a spasso per il mondo. E proprio da John Coltrane e da Ascension siamo partiti per una chiacchierata senza rete e senza filo.

All About Jazz: Il disco, uscito su Atavistic, è del 2005. Ma la prima rilettura di Ascension è di dieci anni prima, quando fu inserita in un programma di celebrazioni per il trentennale dalla registrazione. Com'è nata l'idea? E come vi siete avvicinati a un "brano" così monolitico e per certi versi problematico?

Larry Ochs: Penso che Ascension, a livello formale, sia una delle più straordinarie composizioni che siano mai state scritte nella storia del jazz. Non che mi consideri un esperto di tutta la storia del jazz. Ma sulla grandezza di quel disco non ci sono dubbi.

La versione Electric l'abbiamo suonata undici volte. Abbiamo riarrangiato il pezzo e cambiato la strumentazione, ma al centro c'è sempre l'originale. È un punto di riferimento imprescindibile. Anche se la performance è molto spontanea e improvvisata, seguiamo sempre il sentiero tracciato da Coltrane.

Ricordo di averlo visto al Village Vanguard con il suo quartetto. Era il 1967 e io avevo diciotto anni. Fui travolto. Ci saranno state una ventina di persone sedute in platea. Qualcuna di meno quando il gruppo ha smesso di suonare. Ascension l'ho ascoltato un paio di anni dopo. Lavoravo in una radio a Philadelphia. Vorrei dire che ne colsi al volo la portata e la grandezza. Ma non fu così. Solo con il passare degli anni, e il moltiplicarsi degli ascolti, sono riuscito a sentirlo veramente.

Nel '95 abbiamo deciso di riproporlo dal vivo, cosa che nessuno aveva mai fatto, per celebrare i trent'anni dalla registrazione. La Black Saint ci fece sapere che era interessata a pubblicare un disco. Così abbiamo registrato la nostra versione a San Francisco e, un paio di anni dopo, siamo stati invitati al festival di Bolzano. In entrambi i casi decidemmo di mantenere la strumentazione originale: cinque sassofoni, due trombe, il pianoforte, due contrabbassi e la batteria.

AAJ: Fino a quando non avete deciso di attaccare la spina e convertirvi all'elettricità. Perché?

L.O.: Era il 2002 e il Rova stava per compiere 25 anni. Abbiamo programmato una serie di concerti e deciso che in uno di questi avremmo suonato nuovamente Ascension. Ma stavolta ci siamo chiesti: se Coltrane fosse ancora vivo, non avrebbe cambiato la strumentazione? E una volta cambiata quella, il passo successivo è stato riarrangiare e ripensare il tutto. In realtà non si tratta di un vero e proprio arrangiamento, perché quello che faccio prima delle esibizioni è semplicemente stabilire chi suona e quando. Il resto accade o viene deciso in tempo reale.

AAJ: Nel 2012 l'Orkestrova, dopo tre anni di silenzio, è tornata a esibirsi al Guelph Jazz Festival, in Canada. Nels Cline, Fred Frith, Hamid Drake, Chris Brown, Ikue Mori, Carla Kihlstedt, Jenny Scheinman, Rob Mazurek e, ovviamente, il quartetto Rova. Una band stellare. Tutto registrato, filmato e pronto per la pubblicazione?

L.O.: Era dal 2009, dal concerto di Saalfelden, che l'Orkestrova non si esibiva. E dal 2007 a oggi ci sono stati due soli ingaggi. Il set che abbiamo suonato a Guelph (forse l'ultimo, chissà) è stato registrato con un 32 tracce e filmato usando cinque telecamere. Sto lavorando al mix finale almeno da ottobre. Ne faremo una versione audio e poi un DVD. Ho già dato un'occhiata al registrato. Il materiale è assolutamente fantastico. L'audio del DVD sarà in 5.1, il meglio che si possa chiedere. Non vedo l'ora che sia pronto.

AAJ: Per finanziare il progetto vi siete affidati a Kickstarter, un sito che si occupa di "crowd founding," la raccolta di fondi dal basso. Ha funzionato?

L.O.: Ha funzionato nella misura in cui ci ha permesso di sostenere i costi della parte video. Tutti i soldi che abbiamo raccolto, 31.125 dollari, sono andati ai cinque cameraman. Avremmo potuto bussare alla porta di una fondazione. Ma Kickstarter è stato un modo più divertente e meno formale per realizzare quello che avevamo in mente.

AAJ: A proposito di fondi e fondazioni, che cos'è e come funziona la Rova:Arts?

L.O.: Quando nel 1986 decidemmo di creare un'associazione non-profit che portasse il nostro nome, devo ammettere che l'idea era quella di riuscire a garantirci delle entrate. Fu seguendo l'esempio del Kronos Quartet che pensammo alla Rova:Arts. Ma a differenza di loro non siamo mai riusciti ad attirare l'attenzione di una casa discografica di primo piano [l'Elektra-Nonesuch per il Kronos Quartet, N.d.R.]. Forse per questo la situazione non è cambiata poi molto rispetto a prima. Quello che invece siamo riusciti a fare è raccogliere fondi per progetti specifici, soprattutto durante gli anni Novanta. I tre dischi Black Saint The Works e il Victo Bingo sono nati così. E oggi, che la situazione economica si è fatta ancora più complicata, stiamo cercando di aiutare alcuni giovani musicisti a sviluppare le loro idee.

Tutto sommato funziona. Non a caso il Rova Quartet sta per spegnere trentacinque candeline. Ma il 2013 sarà un anno speciale anche per il Kronos, che taglierà il traguardo dei quarant'anni di vita. Penso che qualcosa faremo per celebrare le due ricorrenze. L'ultima volta che Rova e Kronos hanno lavorato insieme era il 1984, ventisette anni fa. L'idea è quella di trovare dei soldi per commissionare un brano a Wadada Leo Smith, una composizione per la sua tromba e i due quartetti.

AAJ: Sul sito del Rova, che poi è anche il sito della Rova:Arts, c'è una pagina in costante aggiornamento, favorite street, nella quale suggeriste ascolti, letture e tanto altro. Ho notato che nella tua playlist convivono Braxton e John Lee Hooker, Scelsi e Buddy Guy. Braxton e Scelsi me li aspettavo. John Lee Hooker e Buddy Guy un po' meno.

L.O.: I miei gusti spaziano, ma il blues è sempre stato al centro di quello che ascolto. Quando ero al college conducevo un programma radio interamente dedicato al blues. La stazione del campus aveva un'ottima discoteca. Ho imparato molte cose dal blues. Per questo lo si trova spesso nelle mie playlist, sia in quelle che postiamo sul sito, sia in quelle che ogni due mesi inviamo direttamente a chi è iscritto alla newsletter.

AAJ: Tornando alla musica e a John Coltrane, non si può non parlare del Celestial Septet, formazione che è nata dall'incontro tra i Nels Cline Singers e il Rova. Il disco uscito su New World è strepitoso. Qual è stata la genesi del progetto?

L.O.: Quando nel 2003 è nato Electric Ascension, Nels Cline era con noi. È un musicista che adoro. È stato quasi naturale unire le forze del Rova e dei Singers. Anche perché Scott Amendola, batterista dei Singers, è al mio fianco nel Sax & Drumming Core e nel trio Kihnoua. Di fare qualcosa insieme se ne parlava da tempo. Poi è arrivato un doppio ingaggio in un club di Berkeley, in California. Abbiamo suonato un pezzo di Coltrane alla fine dei due set e la cosa ha funzionato alla grande. Un anno dopo abbiamo chiesto ai Wilco di prestarci Nels per una settimana e ci siamo dedicati a prove e concerti. È stato fantastico. Quando ho finito di mixare il CD ho pensato: ecco, adesso posso andarmene in pensione e starmene sdraiato al sole tutto il giorno. Scherzi a parte, credo che in quel disco ci sia davvero tutto: composizione, improvvisazione, jazz, blues, idee, accordi tonali e atonali, elettronica. C'è tutto ed è perfettamente integrato. Poco importa che ti piaccia il jazz o che ti sfuggano i riferimenti: è semplicemente della splendida musica.

AAJ: Nels Cline e Fred Frith. Generazioni diverse, certo. Eppure credo che entrambi rappresentino quell'idea di musicista totale che si trova perfettamente a suo agio nel complesso panorama musicale dei giorni nostri. Li conosci entrambi molto bene.

L.O.: La cosa più banale da dire è che sono entrambi dei fantastici chitarristi. Con Nels ci conosciamo dalla fine degli anni Ottanta, anche se abbiamo cominciato a collaborare solo dalla fine dei Novanta. Con Fred abbiamo iniziato a lavorare nel 1981. Per il Rova ha composto "Freedom in Fragments," che è stato pubblicato dalla Tzadik. E poi ha suonato il basso in Electric Ascension. Anche se la prima cosa alla quale abbiamo veramente collaborato è stato un sestetto. Era il 1988: il Rova con Frith alla chitarra ed Henry Kaiser al synclavier.

AAJ: Restando in tema "amici di vecchia data," nell'agosto del 2010, per i trentatre anni e un terzo del Rova, avete ospitato il contralto di John Zorn. Un'altra celebrazione finita su disco.

L.O.: Già, quattro dei sei brani che abbiamo suonato quella sera allo Yoshi's di San Francisco sono raccolti in un LP a tiratura limitata. Ne sono rimaste una trentina di copie. A chi fosse interessato consiglio di precipitarsi sul nostro sito e ordinarlo. Ne vale la pena. Anche per la qualità audio della registrazione. Basti dire che è stato premiato dalla rivista per audiofili Absolute Sound. Vi assicuro che il quintetto di sax suona davvero come un'orchestra.

Ma d'altronde non è stato difficile trovare l'intesa con John. Lo conosco dal 1974. È anche un ottimo amico di mia moglie, la scrittrice Lyn Hejinian, che ha lavorato con lui alla prima edizione di Arcana. Lyn Gestisce una casa editrice, la Atelos, che fa parte della galassia Hips Road, l'associazione non-profit di Zorn. Insomma, c'è un legame profondo. Con il Rova la collaborazione è iniziata parecchi anni fa. Nel 1987, per l'esattezza. Diciamo che è come un quinto elemento.

AAJ: E del duo con Don Robinson che ci dici?

L.O.: Con Don ho iniziato a suonare nel '91, quando entrambi eravamo nel Double Trio di Glenn Spearman. Abitiamo a un quarto d'ora di macchina l'uno dall'altro e anche per questo suoniamo spesso insieme. Ma fino a oggi mai in duo. Almeno in pubblico. Era una cosa che non mi interessava. Appena metti insieme un sax e una batteria, ecco che i critici si mettono a fare paragoni con Braxton-Roach e Coltrane-Ali, a dire che assomigli a questi piuttosto che a quelli. Il Sax & Drumming Core è nato anche sulla scorta di queste riflessioni. Aggiungere una batteria ha evitato banalizzazioni e semplificazioni. Ha costretto noi ad andare oltre il formato del duo, ma anche i critici e chi ci ha ascoltati. E poi, cosa non di secondaria importanza, mi ha dato la possibilità di lavorare con più colori.

Questo fino al 2009, quando il Sax & Drumming Core è diventato un quintetto. Poi, nel 2011, siamo saliti a sei elementi, con tre percussionisti. Difficile, quasi impossibile di questi tempi, allestire un tour per un sestetto. E allora io e Don abbiamo iniziato a pensare a qualcosa di più agile. All'inizio solo qualche concerto in duo. Poi, dopo che Eric Moffat si è offerto di registrarci, siamo entrati in studio per tre volte in quattro mesi. La musica è cresciuta e ha preso una direzione ben precisa. Ci muoviamo nella grande tradizione del duo sax-batteria, ma lo sguardo è decisamente rivolto al futuro.

AAJ: Tradizione e innovazione, passato e futuro. Ma Larry Ochs, l'infaticabile esploratore, si sente un musicista jazz?

L.O.: Mi considero un improvvisatore, definizione che comprende anche il jazz. Ma questo non significa che mi vedrete salire su un palco per suonare standard. Non fa parte di me. Anche se credo che non sia più il caso di mettersi a discutere su cosa suonare o cosa non suonare. Ci sono così tanti musicisti e compositori. Il jazz, in fondo, è diversità. Pensate alle conduction di Butch Morris, che purtroppo ci ha lasciati: non sarebbero potute esistere senza il jazz. Stesso discorso per la musica di Anthony Braxton. E anche per il Rova. Non capisco perché ci si debba preoccupare che il jazz possa scomparire. Si è sempre evoluto e ancora sta evolvendo. E lungo la strada che ha percorso ci sono state centinaia di fermate e di musicisti. Tanto più che ai giorni nostri si può ascoltare di tutto. C'è pane per i denti di chi ama Charlie Parker e per chi preferisce cose più sperimentali. Vederla come una battaglia tra chi conserva e chi innova mi pare sciocco. Fermo restando che dovrebbero esserci maggiori opportunità per chi guarda avanti. E questo senza ignorare una sacrosanta verità: la musica nel senso di arte piace solo a una piccola parte del pubblico. Così è sempre stato e così sempre sarà.

Foto di Claudio Casanova (tranne la penultima).

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