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NewYorkestra Big Band: Urban Soundscapes / Mike Holober: Thought Trains / Westchester Jazz Orchestra: All In / Pierre Van Dormael - Octurn: North Country Suite / Wrong Object: Platform One
Eppure la tentazione è forte e speriamo riesca a mantenersi più alta rispetto alle considerazioni acide che i “bottom-liner” (i cinici manager che guardano solo all’ultima riga del bilancio economico, ignorando tutto quello che sta sopra) spargono senza tregua, come sale sulle nostre ferite.
NewYorkestra Big Band
Urban Soundscapes
Sea Breeze
(2007)
Urban Soundscapes della NewYorkestra Big Band (pubblicato da Sea Breeze) è il biglietto da visita di una nuova formazione newyorkese che raccoglie una quindicina di musicisti, già ben affermati, sotto la guida del saxofonista Rob Middleton e del trombonista Peter McGuinness. Il loro approccio è moderno e raffinato, senza eccessive forzature rispetto al linguaggio delle orchestre di jazz degli ultimi quarant’anni. Diciamo che siamo più nel solco di George Russell e Bob Brookmayer che non in quello di Gil Evans, anche se la rilettura delle milesiane “Eighty One" e “It’s About That Time”, legate assieme da un arrangiamento prudente e dilatato, potrebbe far pensare il contrario.
Ci sono punti di contatto con il lavoro eccellente di Maria Schneider (anche per l’utilizzo comune di musicisti come l'ottimo saxofonista Steve Kenyon) ma la componente onirica e poetica di Maria non è facile da duplicare e non sembra sia comunque nell’agenda di questa formazione. Gli arrangiamenti sono molto curati da un punto di vista timbrico ma non riservano particolari sorprese nella costruzione della trama strutturale. L’ottima competenza strumentale dei musicisti che compongono questa formazione ci fa ascoltare assoli sempre ben a fuoco e un lavoro di ensemble molto preciso e attento alle dinamiche, senza alcuna paura di forzare la componente esplosiva della miscela. Non mancano variazioni in territorio latino, sempre ben sostenute dalle percussioni dell’ospite Bobby Sanabria e dalle ottime tastiere di Mike Holober. Basterebbe un pizzico di coraggio in più'...
Mike Holober
Thought Trains
Sea Breeze
(2007)
Thought Trains di Mike Holober e della Gotham Jazz Orchestra (pubblicato da Sons of Sounds) sembra mostrare per l’appunto quel pizzico di coraggio in più di cui si parlava sopra. Il materiale è stato registrato nel 1996 e solo recentemente è stato mixato e finalizzato per poi essere pubblicato da una piccola casa discografica. Si potrebbe dire insomma che le strade del signore sono infinite, ma i tempi sono spesso biblici. Ci sono punti di contatto nelle due formazioni, a cominciare dal leader di questa orchestra, il tastierista Mike Holober. E non mancano punti di contatto, come sopra, con l’orchestra di Maria Schneider.
La musica appare ariosa, ben arrangiata e ben eseguita, le composizioni e gli arrangiamenti sono tutti di Holober, un musicista che si dimostra competente ed ispirato, con molte cose da dire. Il sax di Tim Ries è spesso in evidenza, con ottime escursioni solistiche. Al contrabbasso troviamo il veterano Ron Carter, sempre attento a sottolineare i passeggi armonici e ritmici, con il suono eccellente che da sempre lo caratterizza. Il chitarrista Dave Gilmore si ritaglia piccoli spazi all’interno degli ensemble e una efficace sortita solistica nel brano “Big Sky”. Musica organica, per niente artificiosa, nella quale fondono il loro lavoro diverse generazioni di musicisti newyorkesi.
Westchester Jazz Orchestra
All In
Autoprodotto
(2007)
All In della Westchester Jazz Orchestra (autoprodotto) vede ancora impegnato Mike Holober, questa volta nelle vesti di direttore artistico e conduttore. In questo caso non scende in campo come strumentista, lasciando il pianoforte a Ted Rosenthal. Le registrazioni sono del febbraio 2007 e quindi è come se con una macchina del tempo ci fossimo spostati in avanti di una decina d’anni rispetto al disco precedente, anche se molti dei protagonisti rimangono solidamente ancorati al loro posto. In questo caso vengono eseguiti standard e gli arrangiamenti sono suddivisi fra diversi componenti dell’orchestra. Mike Holober tiene per sè le partiture di "Naima" e di "Here Comes the Sun" (scritta da George Harrison), facendo vedere che la distanza fra la spiritualità intensa e quasi dolorosa di Coltrane e quella più mondana (seppure vissuta con molta partecipazione, almeno da Harrison) dei baronetti di Liverpool non è poi così ampia. Il trombettista Tony Kadlek arrangia “Caribbean Fire Dance” di Joe Henderson. Il saxofonista Jay Brandford arrangia la deliziosa “Ping Pong” di Wayne Shorter e si ritaglia un apprezzabile assolo nella conclusiva “Here Comes the Sun”. Nel menu ci sono anche due brani di Horace Silver e la raffinata “Turn Out the Stars” scritta da Bill Evans. Il trombettista ospite Marvin Stamm si mette particolarmente in luce nella bellissima “Peace” (uno dei due brani di Horace Silver). Nello stesso brano troviamo un bell’assolo di un altro veterano, il bravissimo bassista acustico Harvie Swartz, che adesso si firma molto più semplicemente Harvey S.
Pierre Van Dormael - Octurn
North Country Suite
De Werf
(2007)
North Country Suite è un bellissimo album (pubblicato dalla belga De Werf) firmato dal chitarrista Pierre Van Dormael e dal gruppo Octurn, un collettivo musicale che sta dando costantemente ottime prove da ogni punto di vista. La loro ricerca è coraggiosa e priva di remore, capace di rimuovere i paletti che spesso una troppo stretta osservanza delle regole pre-costituite pone sul cammino delle giovani formazioni allargate. Il gioco di ensemble è sempre in grande evidenza, anche quando, come in questo caso, si sforza di mettere in luce il lavoro solistico del chitarrista Van Dormael che per una volta esce dal gruppo e se ne sta in testa solitario, a guidare la corsa. Il clima è spesso brumoso, meditativo e introverso, ma allo stesso tempo la musica scorre con fluidità ed eleganza, pronta ad evocare scenari elettrici pieni di luce soffusa ma ben evidente, dove il desiderio di contestualizzare in maniera originale l’impulso del momento crea le condizioni migliori per lasciare crescere l’improvvisazione. Il gruppo è composto da una decina di musicisti che hanno già alle spalle una mezza dozzina di lavori importanti fra i quali si segnala in particolare la collaborazione con l’arrangiatore americano Patrick Zimmerli uscita per la Songlines con il titolo The Book of Hours. Si segnalano in particolare le ottime prove dei saxofonisti Guillaume Orti e Bo Van Der Werf e di Jozef Dumoulin al piano elettrico. La sezione ritmica è fresca e solida, perfettamente in grado di dirigere i lavori dal retro del palco. Su tutto sta ovviamente la chitarra di Pierre Van Dormael che firma tutte le composizioni e si prende tutto lo spazio solistico che gli serve per illustrare compiutamente le sue nordiche sensazioni che spesso sfumano in solari emozioni.
Wrong Object
Platform One
Voiceprint
(2007)
Platform One del gruppo belga Wrong Object con gli inglesi Annie Whitehead e Harry Beckett solisti ospiti (pubblicato da Jazzprint) non rientra apparentemente nell’ambito della musica orchestrale. La considerazione è solo legata al numero dei componenti del gruppo (con la Whitehead e Beckett siamo comunque a otto elementi, senza contare l’ospite Frank van der Kooij che aggiunge il suo sax baritono alla conclusiva “Hello Max”) ma se si ascolta la musica e si tiene conto degli impliciti riferimenti, si può tranquillamente lasciare da parte la matematica per accogliere questa proposta a braccia aperte.
Infatti questo album è un dichiarato omaggio a Frank Zappa e alla sua scrittura per un largo ensemble all’epoca di Waka Javaka e di Grand Wazoo. Anzi per essere ancora più precisi si potrebbe dire che il grande compositore e chitarrista americano ha sempre scritto per un largo ensemble, anche se poi spesso venne costretto ad adattare le sue intuizioni e la sua verve creativa in formati compatibili con gruppi meno ampi. Anche qui l’abbondante esposizione delle parti riservate ai fiati lascia intendere come l’orizzonte sia quello della big band. E l’eccellenza degli interpreti consente di moltiplicare le suggestioni e di ricavare un’illusione sonora che nulla ha da invidiare ad altri contesti più ‘ricchi’ di voci.
La scrittura di Michel Delville, vero leader del gruppo, è assolutamente in grado di fornire elementi di contiguità molto evidenti con quella di Zappa e quindi il progetto assume una unitarietà molto evidente, ben messa in luce dalla coesione che il palco sa fornire. L’album è stato infatti registrato dal vivo e il concerto è davvero godibile e riuscito, con ampio spazio riservato ai solisti, ma senza mai abbandonare il compito auto-assegnato di costruire un coerente tessuto dalle trame zappiane che non si vergogna di abbracciare anche influssi provenienti dal rock progressivo inglese e dal jazz-rock meticcio che ha preso piede a partire da Canterbury, da Robert Wyatt e Ian Carr e da altri spiriti liberi europei.
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