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Matthew Shipp Quartet

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Area Sismica - Forlì - 14.2.2009

Dopo le scorribande degli anni scorsi al confine fra jazz ed elettronica, Matthew Shipp è ritornato alla fonte primaria della sua ispirazione: la grande stagione del free jazz classico, con la sua carica di urgenza espressiva e profondità spirituale.

Il suo attuale gruppo è formato da musicisti che condividono pienamente questa eredità e sensibilità: Joe Morris al contrabbasso e Whit Dickey alla batteria danno vita dalla fine del 2007 al Matthew Shipp Trio (che ha realizzato un paio di album per la Blue Series della Thirsty Ear). A loro si aggiunge di tanto in tanto un altro dei pilastri del jazz contemporaneo erede del free: il poliedrico Daniel Carter ai fiati. Come Matthew Shipp Quartet la formazione ha pubblicato nel 2008 per la NotTwo Records un'opera (Cosmic Suite) che, nel formato imponente come nella profondità di respiro, si riallaccia direttamente ai monumentali capitoli della stagione d'oro del free.

Il concerto è partito dal formato e dal canovaccio della Suite, ulteriormente ampliata, per un'improvvisazione serrata e vibrante: un'ora e un quarto d'ininterrotta tensione emotiva, concentrazione, energia, ispirazione.

Shipp inizia da solo, con alcune frasi e accordi che, come le cellule tematiche delle opere monumentali del free (si pensi ad Ascension), hanno lo scopo di fissare il mood, la tonalità emotiva di fondo che farà da sostegno e base d'appoggio per il contributo dei quattro musicisti alla creazione collettiva: un mood liricamente epico, con un carattere solenne e assertivo; c'è un'eco della lirica potenza di McCoy Tyner in questi accordi e in queste note.

Dopo Shipp entra Morris, con uno sgocciolìo di note acute che rincorrono quelle del piano, e vanno poi a sfociare in un lavorìo incessante e perpetuo sui registri bassi.

Carter esordisce al flauto, e la profondità spirituale della sua personalità musicale è subito percepibile: note lunghe ed essenziali, come scolpite nell'aria e nel cuore, intrise di lirismo (e di echi dolphyani) e di un velo di malinconia (o forse è solo concentrato raccoglimento in sé).

Quello che risalta in tutta la performance di Carter è proprio questo quieto fuoco, caldo ma non incandescente, composto, che rimane tale mentre passa da uno strumento all'altro, seppur con sfumature diverse (una punta di acidità nella tromba con la sordina, più corposo e vigoroso al sax). E' come se in qualche modo, pur essendo in armonia e sintonia con gli altri, Carter fosse come sospeso in aria, al di sopra del fiume lavico creato dagli altri tre.

Morris e Dickey infatti producono una pulsazione profonda e incessante, un rollìo tellurico che travolge, che scava in profondità, come la corrente che scava il letto di un fiume.

E il fiume è quello di Shipp e del suo fraseggio incessante: un flusso continuo, un torrente di note, che periodicamente s'ingrossa e diventa una corrente turbolenta e impetuosa, oppure si riversa bruscamente sull'ascoltatore; accordi e cluster ripetuti, martellati che precipitano infine come una cascata verso le note gravi.

Sia Morris e Dickey hanno regalato anche un ottimo momento in solitudine: Morris con un solo assolutamente essenziale e altrettanto efficace, basato su pochissime note e su ipnotici ostinati ripetuti ossessivamente, evocativi di stilemi africani; Dickey con l'energia e l'impatto travolgente di una pietra rotolante o di un treno in corsa.

Forse proprio "scolpire" è il verbo adatto per descrivere questa musica: che sia una scultura leggera ed eterea come quella di Carter, o possente e vigorosa come quella di Shipp, che sia un piccolo scalpello o piuttosto un martello massiccio, c'è in questa musica una chiarezza d'intento, una risolutezza e una nettezza di gesti che fanno pensare all'opera di uno scultore che dà forma con decisione alla materia informe.

Anche perché, come già detto, questa musica possiede un consapevole carattere di classicità e si nutre pienamente della lezione musicale ed umana dei maestri che fecero della "new thing" non solo un profondo rinnovamento musicale del jazz, ma anche un modo di essere e d'intendere la vita.

Foto di Claudio Casanova

Ulteriori immagini di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.

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