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Matt Penman e la sua "James Farm"

Quando sei sul palco, la gente ti guarda e dice 'Ah, come vorrei essere un musicista. Vorrei davvero essere come lui.' E non si rendono conto che fanno comunque parte del gioco. Senza un pubblico che ti sostiene, la cosa non può funzionare.
Intervista di R.J. DeLuke

Negli ultimi anni, Matt Penman e il suo contrabbasso hanno calcato le scene di una gran varietà di ambiti musicali, tutti di altissimo livello. E ciò testimonia sia della sua bravura sia della sua capacità di adattarsi alle situazioni più disparate, nelle quali emergono il suo tocco armonioso, il suono ricco ed equilibrato e la melodia ritmata. Eccolo quindi suonare con il Double Quartet di Joshua Redman e con il SFJAZZ Collective. Ha anche contribuito al successo dei progetti musicali di Joe Lovano, John Scofield, Kurt Rosenwinkel e molti altri.

Il musicista neozelandese si è trasferito negli Stati Uniti nel 1994 e pur non avendo ricevuto un'educazione musicale formale è riuscito ad ottenere una borsa di studio al "Berklee College of Music" di Boston; e nel frattempo ha stretto e coltivato molte solide collaborazioni. Una di queste ha dato vita ad una band che, viste le premesse, ha le carte in regola per imporsi autorevolmente sulla scena musicale: si tratta della James Farm, che ha esordito nel 2009 al Montreal Jazz Festival e che ha da poco pubblicato l'album omonimo di esordio.

La band riunisce alcuni dei musicisti più ispirati del panorama odierno, musicisti per i quali l'arte e la creatività sono le aspirazioni più alte. Il sax di Redman, il piano di Aaron Parks e la batteria di Eric Harland danno voce al loro spirito musicale. Sono formidabili presi singolarmente, e quando suonano insieme si può davvero parlare di 'collettivo.' E la loro musica è notevole, non solo per l'ottimo livello, ma anche per la potenzialità che ha di esplorare nuove strade. Sarà interessante vederne la crescita.

"Abbiamo fatto un paio di tour fino ad oggi," dopo l'esordio a Montreal, dice Penman. "Una sorta di prova generale, un provino per la nostra musica per scoprire le nostre diverse dinamiche. Abbiamo un sacco di lavoro che ha fatto seguito alla pubblicazione dell'album. C'e' davvero molto da fare."

La band si è sviluppata, "proprio a partire dalle relazioni tra di noi," dice il contrabbassista. "Eric ed io suoniamo insieme da molto tempo. Abbiamo suonato con Aaron Parks nel suo disco Invisible Cinema (Blue Note, 2008). Abbiamo fatto un tour in Giappone con la band di Eric. Eravamo in sintonia, avevamo un feeling, un'affinità nel modo di concepire la musica. Lo stesso senso della melodia. Suonare insieme è stato fantastico. E nello stesso periodo suonavamo anche molto con Josh, e l'affinità era molto simile. Lavoravamo ai diversi progetti in parallelo. Josh ha messo tutto insieme, gettando le basi per la James Farm."

"Eravamo molto in sintonia anche nel modo di comporre. Una gran cosa quando si mette su una band, perché in questo modo ottieni un risultato complessivo che è maggiore della somma delle parti. Puoi essere un compositore molto valido. Ma quando condividi il tuo lavoro con il resto della band, questo diventa ancora migliore, grazie ai suggerimenti degli altri. Ed è di grande aiuto anche quando ti esibisci. Siamo stati fortunati ad avere già molte date in calendario prima di aver pubblicato il primo disco, ci ha permesso di affinarci e abbiamo ottenuto uno splendido risultato. Una volta in studio, tutto è andato al posto giusto."

Aggiunge Penman, "La band è solo agli inizi. C'è ancora un grande potenziale da esprimere." A dir poco. Quattro validissimi elementi, aperti alla collaborazione e all'esplorazione: in una parola, sinergia.

"Per quanto riguarda la musica, ogni decisione è condivisa, collettiva," spiega Penman. "Un approccio leggermente diverso da quello, ad esempio, dell'SFJAZZ Collective, nel quale l'ultima parola spetta a chi ha proposto la musica o l'arrangiamento. Nella James Farm tentiamo tutti di far rendere al meglio la musica, anche se questo significa fondere insieme due diversi contributi. Lasciando da parte il proprio ego. E questa è una delle cose che mi piace di più. La mentalità della band—cosa non comune, nel Jazz—è davvero molto dinamica. E si può andare ancora oltre. Unire le forze per ottenere la miglior musica possibile."

Penman, che ha un senso dell'umorismo molto discreto ma sempre pronto ad emergere, puntualizza, ammiccando e parlando seriamente allo stesso tempo, che essere onesti fino in fondo in un ambito collaborativo non è sempre tutto rose e fiori.

"Infatti ci sono anche momenti nei quali un membro della band propone qualcosa che proprio non funziona; in un caso del genere bisognerebbe poter dire 'No, non funziona. Non possiamo suonarlo.' Per fortuna a noi non è ancora capitato. Ma potrebbe succedere. Io sono per l'onestà musicale, punto. Non c'è spazio per il politically correct," dice. "Bisogna andare d'accordo, ma quando hai una band penso che alla base di tutto ci debba essere un'onestà e una schiettezza per il bene di tutti, e per il bene del sound... Si mettono insieme delle band, si lavora su diversi progetti; ma penso che, come in una famiglia, si debba parlare apertamente. Almeno bisogna provarci."

Da un punto di vista ritmico, la James Farm è forte e risoluta, ma anche flessibile. Il contrabbasso di Penman accompagna e sostiene, e Harland dispensa un turbinio di ritmi variopinto. Entrambi suonano con gusto, rassicuranti e tecnicamente ineccepibili. Un'intesa che deriva dai tanti anni passati a suonare insieme.

"Sin dalla prima volta che suonammo insieme mi sono detto, 'Ecco il mio gemello del ritmo.' Dal punto di vista del beat siamo molto simili, "dice Penman parlando di Harland. "E poi c'è il vocabolario ritmico. Parliamo un linguaggio molto simile, così come simile è il senso del ritmo. E non è qualcosa che ti insegnano. Siamo in sintonia, non importa che sia swing o funk. Al di fuori del Jazz ci piacciono gli stessi generi musicali. Il gospel e il funk, ad esempio. Insomma, ci siamo trovati. Entrambi cerchiamo di fare un tipo di musica che vada in diverse direzioni. E ci piace suonare con chi è aperto a questo approccio... per noi è una cosa molto naturale. Se, dopo aver suonato con Eric, suono con un altro batterista, devo fare una specie di reset perché il tipo di dialogo che ho con Eric è così naturale che potrebbe non funzionare al meglio con un altro."

Parlando di Parks dice "Ho un rapporto analogo, ma più dal punto di vista melodico. Per lui la melodia è molto importante. La prima volta che ho suonato con lui mi sono detto, 'Wow. Credo che suonerò parecchio con lui.' Ecco perché è fantastico averli entrambi in questo progetto. Facciamo anche altre cose, ma scrivere per persone del genere è proprio divertente. Sono due dei migliori musicisti in circolazione.

"E Josh," aggiunge con lo stesso entusiasmo, "è un mostro. Ci sono pochi altri capaci di improvvisare come lui: spontaneo, comunicativo e veloce. Capace di creare un dialogo davvero notevole.

"Suoniamo quello che scaturisce dal nostro mix di stili: quel che sentiamo, lo suoniamo. Interpretando il momento," afferma Penman. "Siamo tutti influenzati dalla musica groove, e ci viene naturale suonare basandoci su di essa. Penso che molti tentino di fare lo stesso: mescolano tutto insieme per vedere cosa viene fuori, pur mantenendo prioritaria l'improvvisazione. Ma secondo me questo da solo non basta. Io ed Eric usiamo la sezione ritmica per dare una carica groove. Ma il groove lo devi guidare. È flessibile e duttile, va bene come base, ma poi devi costruirci sopra il tuo brano."

Questo approccio è chiaramente percepibile nella James Farm, dove tutti i brani sono orientati alla melodia. Non provano a cimentarsi in musica inutilmente complessa. E tuttavia grazie alla perizia del gruppo il risultato è davvero di spessore...

"Coax," il brano di Penman, presenta un motivo ritmico, sostenuto dalle percussioni vellutate di Harland, portato avanti dal contrabbasso e dal pianoforte, sui quali interviene il sax di Redman a movimentare il brano, prima di un contributo molto posato del piano di Parks. Quando poi l'azione diventa corale, colpisce la precisione del crescendo. Redman, come sempre, è tagliente come un rasoio nell'improvvisazione, come solo lui sa fare. "If By Air" è una composizione di Redman, centrata sul ritmo, nella quale Harland—bravissimo in ogni pezzo, è fondamentale per creare la tensione e l'eccitazione. Il morbido assolo di contrabbasso di Penman è sublime. "1981," composta da Penman, si apre con un riff stoppato di Parks, sul quale Harland sviluppa un ritmo swing. Redman naviga tra queste onde sonore, con Penman che scivola in sottofondo, creando pulsanti frasi armoniche. Parks dà prova di tutta la sua maestria melodica; il suo fraseggio splende. Poi Harland cambia il ritmo, dolcemente e apparentemente senza sforzo.

"Bijou," brano di Parks, sottende una dolce melodia che diventa maestosa, quasi sacra, coronata dal meraviglioso sax tenore di Redman. "Low Fives," di Penman, è una ballad eterea, la cui voce principale è proprio il suo contrabbasso, in una danza deliziosa. Il sax soprano di Redman mette in risalto il fraseggio di Penman: davvero azzeccato. Redman è uno dei pochi capaci di suonare il sax in un modo così completo, pastoso e senza asperità. Affronta il brano di Penman in maniera molto riflessiva, suonandolo magnificamente.

L'album è incantevole dall'inizio alla fine, uno dei migliori degli ultimi anni. Non hanno la pretesa di offrire composizioni troppo intense né variazioni ardite, ma questo non va a discapito della creatività, dell'intensità e della profondità delle emozioni che ne derivano. Grandi melodie. Non è un caso isolato parlando di Jazz. Autori quali Kendrick Scott, Chris Potter e Ambrose Akinmusire si cimentano in analoghi esperimenti con grande successo. La James Farm ha però una marcia in più—come anche la Oracle Band di Kendrick Scott—e di certo ha ancora molte gemme da regalarci.

"Sono proprio soddisfatto di questo disco. Cercavamo di dare una sensazione speciale, di trascinare l'ascoltatore e coinvolgerlo in un'esperienza particolare," dice Penman. "Penso che il disco offra un che di familiare, qualcosa che anche l'appassionato di Jazz più navigato può apprezzare. Volevamo creare una diversa ambientazione per ogni pezzo, e sorprendere. Ci abbiamo messo il cuore e l'anima."

Il futuro ha sicuramente in serbo molti successi per questa band sempre che, a differenza di molte altre formazioni Jazz, si mantenga unita nel tempo. Penman è fiducioso. "Sono convinto che andremo avanti. Non è una band 'a progetto' che sta insieme un paio d'anni per andare in tour e partecipare ai festival. La vedo come un luogo. Un luogo dove andare, cui tendere. Portando le proprie idee e sperimentando. Durando nel tempo. Certo, non si può mai sapere, ma la consideriamo una vera band che cresce e si sviluppa... Qualcosa con un sound vero, reale. Con un vibe."

Penman ci racconta della James Farm mentre è in tour con un'altra formazione, il SFJAZZ Collective, che è un altro gruppo molto valido anche se composto in maniera diversa (Harland ne è attualmente il batterista e Redman è un ex-membro). Nato nel 2004, ogni anno il SFJAZZ Collective esegue composizioni di un grande artista. Ognuno degli otto membri arrangia un pezzo diverso basandosi sul tema dell'anno, e in più contribuisce con un brano originale. Lo scopo è quello di onorare i giganti del passato e allo stesso tempo offrire nuova musica esplorando nuove direzioni. Negli anni passati hanno tributato il loro omaggio, tra gli altri, a John Coltrane, Thelonious Monk e McCoy Tyner. Per quest'anno hanno scelto un artista al di fuori del Jazz, Stevie Wonder.

"Il Collective va alla grande," dice, definendolo con piacere "un'altra bella, incasinata democrazia. Ogni anno ci cimentiamo con un bel po' di musica. Sedici brani, abbastanza ambiziosi, che portiamo in tour dopo averli adeguatamente provati. È una cosa eccitante, la musica prende proprio vita. E credo che il pubblico lo senta. La band funziona davvero alla grande. Parliamo un linguaggio comune e c'è un feeling profondo. E la musica di Stevie Wonder di certo aiuta."

Così come aiuta avere Penman al centro del ritmo. Penman è spontaneo, e il suo modo di suonare, in qualunque condizione, è sublime. Considerando i suoi esordi—un ragazzo di Auckland, in Nuova Zelanda, immerso in un mare di musica ma con poca esposizione al Jazz—pare davvero un caso fortuito che Penman sia arrivato dove è oggi. Ma in realtà la sorte è solo uno dei fattori. Il talento ha certamente il ruolo predominante. L'eccellenza emerge sempre.

"Il Jazz c'è, e ci sono anche bravi musicisti," dice Penman parlando della Nuova Zelanda, da dove cominciò con il contrabbasso, all'età di 14 anni. "In qualunque Paese occidentale ti trovi, esiste una qualche 'comunità' interessata al Jazz. E la Nuova Zelanda non fa eccezione. Non molte persone, ma ci sono. Certo, in Nuova Zelanda il Jazz è considerato un genere di nicchia... Ho avuto la fortuna di crescere suonando con un gruppo di musicisti appassionati di Jazz. Componevamo insieme, provavamo e facevamo concerti. Un movimento modesto, che è finito quando ci siamo quasi tutti trasferiti negli Stati Uniti. Ma sono certo che ce ne siano stati altri in seguito."

Penman ricorda con piacere gli anni della sua formazione. "Facevamo un sacco di cose. Fu allora che cominciai a comporre. Era un bel modo di crescere, perché mi permetteva di acquisire esperienze musicali molto vaste. Non solo Jazz. Suonavo ogni volta se ne presentasse l'opportunità. Ci sono ottimi musicisti per tutti i gusti laggiù. Groove, Funk, Rock. Ho suonato di tutto. E tutto contribuisce alla tua educazione musicale."

Pochi musicisti facevano tappa in Nuova Zelanda, quindi gran parte della sua conoscenza deriva dai dischi. I dischi non erano particolarmente economici allora. "Quando ne avevi uno, te lo godevi davvero. Non che fossimo un paese del Terzo Mondo. Ma i dischi erano qualcosa di un po' più speciale. Li consumavi a forza di ascoltarli. E arrivava solo il meglio, i grandi classici. Gran parte della mia educazione musicale di quegli anni è nata suonando insieme ai dischi. E suonando con i ragazzi più grandi di me ad Auckland. Un'esperienza formativa davvero notevole."

Come contrabbassista si è da subito ispirato a Ray Brown e Ron Carter. "In seguito ho cominciato a seguire Gary Peacock e Dave Holland, Marc Johnson e Charlie Haden. Praticamente tutti. Mi piacciono tutti. Eddie Gomez. E solo più tardi cominciai ad ascoltare Paul Chambers. Mi ero perso la sua musica del primo periodo, ma qualcuno mi raccomandò, 'Fai un passo indietro e ascolta Paul Chambers.' e, ovviamente, aveva assolutamente ragione."

Per Penman, che si cimentava con ogni tipo di musica, fu molto importante non solo il lato acustico. Afferma, "non facevo molte distinzioni tra musica elettrica e acustica. Per me era un'unica grande mescolanza di bassi. E allora via con Jaco [Pastorius], Stanley Clarke e Marcus [Miller], e in seguito Me'shell Ndegeocello. Tutti contribuirono alla mia educazione. Suonavo sia il contrabbasso acustico sia quello elettrico. Mescolando gli stili. Penso che il mio interesse di oggi per la musica Groove sia dovuto al fatto che suonai molto elettrico agli esordi. Suonavo in così tante band, nelle quali cercavo di buttar giù il groove più tosto possibile."

Negli anni Ottanta e Novanta, ad Auckland non c'erano scuole dove poter studiare la musica contemporanea. Penman imparò sul campo, serata dopo serata. Ricorda che fu grazie ad un'audiocassetta spedita per posta che riuscì ad entrare al prestigioso "Berklee College of Music". "Probabilmente hanno ascoltato un paio di note e hanno sentenziato 'OK. Contrabbassista,'" commenta con ironia. "Prima di arrivare al Berklee non avevo idea di cosa fosse un'educazione accademica al Jazz. E fu meglio così. Ti dà l'opportunità di interagire con la musica e con il tuo sound, sin dall'inizio. O almeno questo è il modo in cui l'ho affrontata io. Non ebbi scelta."

Penman non vi rimase a lungo, e dopo circa un anno lasciò la scuola. Ma intanto era approdato negli Stati Uniti, così che entrò in contatto con una moltitudine di spiriti creativi e affamati di musica.

"Arrivando negli Stati Uniti ti rendi conto che lo swing non è retaggio esclusivo di questo o di quello," dice il Penman ammiccando. "Al di fuori di New York c'è comunque un bel microcosmo, nel quale incontri gente diversa con la quale divertirsi registrando ad ogni ora. Passando il tempo a parlare di musica. Ho molto apprezzato il mio periodo a Boston, davvero una bellissima esperienza. Ma sono anche contento di non esserci stato troppo a lungo e di essere approdato a New York."

New York può suscitare sentimenti molti diversi: può intimidire e confondere. Ma il ventenne Neozelandese sapeva il fatto suo: non si cresce dal giorno alla notte, bisogna dare tempo al tempo.

"Insomma, mi misi di impegno per imparare il più possibile. Ero molto acerbo dal punto di vista musicale quando arrivai a New York. Dovevo lavorare sodo, imparare moltissimo. E quello feci nei primi tre anni. Mi buttai a capofitto nella musica e nella composizione. E intanto cercavo di conoscere più gente possibile, per capire con quali musicisti fossi in sintonia. Uscivo ogni sera, una cosa frenetica, incredibile."

Ricorda una conversazione avuta con George Garzone a proposito di una registrazione. "Mi diceva, 'So che è dura, ma finché ti diverti...' Voleva intendere che sì, è una corsa ad ostacoli, ma se non ti diverti, allora è meglio lasciar perdere. Devi amare il tuo lavoro. Devi farti piacere la sfida. Sulla carta sembra un viaggio difficile, ma in realtà dovresti renderlo il più piacevole possibile. Anche se sei al verde. È un atteggiamento valido non solo per la musica, ma anche per affrontare la vita in generale." A poco a poco cominciò a esibirsi, ampliò la rete dei contatti e la cosa cominciò a girare, "suonare con così tanti musicisti diversi fu un modo per farsi conoscere ed essere chiamati per altri spettacoli. È stato un processo lento." L'apprezzamento per la sua bravura crebbe. La strada cominciava ad essere in discesa. Una decina di anni fa Penman entrò nella Root 70, la band del trombonista Nils Wogram, sodalizio attivo tuttora. (La band ha recentemente pubblicato un album e ne ha un altro in cantiere per l'anno prossimo).

Altri progetti lo vedono collaborare con Rosenwinkel, Kenny Werner, Brad Mehldau, Chris Cheek, Mark Turner, Guillermo Klein, Nicholas Payton e Madeleine Peyroux. Si esibisce con i migliori e, come tutti i musicisti in gamba, impara sempre qualcosa di nuovo, poco o tanto che sia.

"Suonare con Scofield e Lovano, apprezzarne il livello di dedizione all'improvvisazione, è stata una grande fonte di ispirazione. Capire che anche due mostri sacri come loro ti ascoltano quando suoni e che ciò provoca in loro delle reazioni. Trovo che questo tipo di dialogo sul palco sia davvero una grande ispirazione. Salire sul palco e affrontare la sfida, sera dopo sera. È bellissimo.

"Sono davvero fortunato a poter lavorare con questi grandi musicisti, così attivi nel fare musica creativa. Quando stai insieme a qualcuno per così tanto tempo, sempre in giro per concerti, deve essere qualcuno che ammiri, che ti dà qualcosa, con cui sei in sintonia. In questa fase della mia vita sono soddisfatto: sono circondato da ottime persone, il tipo di persone con le quali ho sempre voluto essere. Bisogna vivere la vita e vivere la musica. Ispirandosi a vicenda, che è quello che tentiamo di fare. Sì, sono davvero fortunato."

Penman si dedica con passione alla musica improvvisata, e questa è la via maestra che vuole battere, sia con la James Farm Band sia con gli altri progetti.

"Si tratta di creare un flusso di energia. Non solo sul palco, anche se ovviamente è sul palco che questa si esprime ai massimi livelli. Cerchiamo tutti di convogliare un'energia e specialmente grazie alla musica improvvisata si ha l'opportunità di canalizzarla verso il pubblico, che te la rimpalla e tu la rimbalzi a tua volta. E se si innesca la reazione, ti dà delle sensazioni incredibili. Riesci a sentire l'energia che entra in circolo, tra te e loro. Gliela leggi negli occhi. Si diventa un tutt'uno, si è tutti parte della stessa esperienza. E ti dà la forza per continuare," dice con assoluta convinzione.

"Questo tipo di musica ti consente di vivere un'esperienza nuova ogni volta che ti esibisci, sempre con persone differenti. Talvolta non funziona. Allora devi rimediare in qualche modo e ti chiedi, 'OK, adesso come faccio a creare l'energia?' Ma fa parte del gioco," dice. "La gente ti guarda e dice 'Ah, come vorrei essere un musicista. Vorrei davvero essere come lui.' E non si rendono conto che fanno comunque parte del gioco. Senza un pubblico che ti sostiene, la cosa non può funzionare."

Di certo Penman fa la sua parte, sempre e comunque.

Discografia Selezionata

James Farm, James Farm, (Nonesuch, 2011)

Jonathan Kreisberg, Shadowless (New For Now Music, 2011)

SFJAZZ Collective, Live 2010: 7th Annual Concert Tour (SFJAZZ, 2010)

Nils Wogram/Root 70, Root 70 (2nd Floor, 2009)

Matt Penman, Catch of the Day (Fresh Sound New Talent, 2008)

Ari Hoenig, Bert's Playground (Dreyfus, 2008)

Aaron Parks, Invisible Cinema (Blue Note, 2008)

Root 70, Heaps Dub, (Nonplace, 2006)

Chris Cheek, Vine (Fresh Sound, 2004)

Matt Penman, The Unquiet (Fresh Sound New Talent, 2001)

Foto di Roberto Cifarelli (la prima, terza, quarta e quinta), Davide Susa (la sesta) e C.Andrew Hovan (la settima).

Per vedere una galleria fotografica dei James Farm in concerto clicca qui

Traduzione di Stefano Commodaro

Articolo riprodotto per gentile concessione di All About Jazz USA.

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