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Marc Ducret Trio
Nonostante molte barriere siano cadute e il mondo della musica - come il mondo in generale - sia ormai globalizzato, per un musicista europeo entrare nell'entourage musicale statunitense (e in particolare in quella scena newyorkese erede del movimento downtown) rimane difficile, e soprattutto è difficile farne parte organicamente e stabilmente.
Uno di quelli che c'è riuscito è Marc Ducret, chitarrista francese attivo da anni nei progetti di Tim Berne (in particolare in quella punta di diamante del jazz ibridato dal suono rock che sono i Science Friction), di Bobby Previte e di altri ancora.
Ad accompagnarlo nel progetto a suo nome Ducret ha però scelto due musicisti francesi; naturalmente non due a caso: Bruno Chevillon (basso) ed Eric Echampard (batteria) sono fra i migliori musicisti della loro generazione. Con essi Ducret ha fondato un trio che è già attivo da anni, anche se finora non ha lasciato molte tracce discografiche. Il concerto ha confermato, se ce n'era bisogno, che si tratta di una formazione che fa scintille e che in questo momento è senz'altro in ottima forma.
Come prevedibile, il solismo del leader è in primo piano nel suono del trio, ma anche Chevillon ed Echampard, oltre a fornire una ritmica coi fiocchi, hanno modo di emergere.
Il fraseggio di Ducret è complesso e ritmicamente molto articolato; la sua paletta stilistica e timbrica varia da momenti più impressionisti e astratti (con l'uso del volume e di micro-bending) a parti ritmiche estremamente sincopate e dinamiche con suono pulito ma tagliente, fino a soli distorti e atonali. Mescola inflessioni strettamente jazzistiche ad altre più rock e aggressive, sempre tendendo però all'atonalità. In qualche passaggio non ha mancato d'inserire alcune inflessioni bluesy, (suonando come una sorta di Scofield ipersaturato).
Molto interessanti i momenti solistici di Chevillon, in questa occasione alle prese con un contrabbasso elettrico upright: in particolare un solo basato sulla ripetizione ostinata e veloce di una frase con un suono iperdistorto ma a basso volume, a cui poi si è aggiungta, come macchie di colore sul colore, la chitarra di Ducret.
Echampard alle pelli è molto duttile, modulando il suo tocco dal leggero e impressionista al roccioso, con un drumming elaborato e nello stesso tempo potente.
Indubbiamente sui brani di Ducret si sente l'influenza di Tim Berne, per quanto riguarda la concezione compositiva: brani lunghi, a volte con un'articolazione in sezioni, a mo' di mini suite; successione spesso invertita fra soli e tema rispetto alla forma canonica del jazz, con la cellula tematica che scaturisce come esito finale su cui sfocia l'improvvisazione al suo acme, anzichè esserne il trampolino; temi che di solito partono da ostinati della sezione ritmica, a cui si aggiunge la chitarra, o a cui si contrappone a mo' di contrappunto; improvvise accelerazioni cinetiche con raddoppi di ritmo che creano forti crescendo dinamici; articolazioni ritmiche complesse.
Sicuramente però, a differenza dei brani di Berne, c'è una minore elaborazione melodica e una minore autosufficienza del materiale tematico rispetto ai soli del leader.
Il trio ha aspettato il bis per sparare il pezzo da novanta della serata: un lungo brano con un incipit in lenta assolvenza, iniziato con la chitarra che suonava un ostinato ritmico completamente senza volume, per poi crescere gradualmente insieme alla sezione ritmica, intrecciando con essa un gioco d'incastri complessi e articolati, per arrivare infine alla saturazione e a un tema che aveva la potenza penetrante di un riff rock ma nello stesso tempo il feeling atonale del jazz contemporaneo. Una conclusione migliore e più incisiva non avrebbe potuto esserci...
Foto di Claudio Casanova.
Ulteriori immagini di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini
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