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Le avventure di un jazzista-filosofo
By
Arrigo Cappelletti
191 Pagine
ISBN: 978-88-6231-907-2
Arcana Jazz
2016
Laureato in filosofia e per alcuni anni insegnante della materia nei licei, il pianista Arrigo Cappelletti è anche un'ottima penna, come aveva avuto modo di mostrare in varie sue pubblicazioni, tra le quali spicca un'ottima biografia di Paul Bley. In questo libro l'autore raccoglie una serie di articoli e riflessioni, per lo più brevi, scritti all'incirca nell'arco di dieci anni, suddivisi in tre categorie: "Appunti per una filosofia del jazz," "Letture, viaggi, incontri, esperienze" e "Improvvisazione e didattica: un ossimoro?."
Cappelletti afferma del resto che jazz e filosofia siano due passioni tra le quali ha cercato invano di scegliere, tanto da arrivare a sostenere una tesi che giustificasse la sua duplicità: "che il jazz stesso sia una filosofia, sia pure di un genere particolare, una filosofia per spiriti inquieti, anarchici, ribelli, nemici di ogni spirito di sistema e di ogni assolutismo ma innamorati paradossalmente della verità" (p. 15). Di conseguenza in tutte le tre parti di questo scritto lo sguardo del musicista si mescola a quello del filosofo, dandogli -come lui stesso afferma -"un enorme vantaggio: quello di essere sempre altrove" (p. 9). Cosa che, pur nella (relativamente) disorganica varietà degli argomenti e nella frammentarietà del lavoro, gli consente di disseminare le centonovanta pagine di osservazioni, tesi, spunti, suggestioni estremamente interessanti.
Per chi, come chi scrive, è filosofo e appassionato di jazz -sebbene non musicista -le parti più interessanti sono la prima e la terza, quelle cioè dove identità e struttura del jazz vengono indagati con lo sguardo e gli strumenti del filosofo. Così, per esempio, l'analisi dell'improvvisazione alla luce della fenomenologia di Husserl, anche nelle letture datene da Enzo Paci e Giovanni Piana, che si trova in uno dei primissimi capitoli, offre molte suggestioni per la comprensione di questa pratica anomala e per trovare risposte a un problema che si pongono da sempre critici e appassionati, ma che negli ultimi anni occupa anche i filosofi (clicca qui per la recensione del libro "Il pensiero dei suoni," del filosofo Alessandro Bertinetto): il criterio di valutazione di una improvvisazione riuscita. Ma molti altri sono in temi indagati in questa prima parte da Cappelletti, sempre sul crinale, che appare davvero sottile, che separa il jazz dalla filosofia: il contraddittorio rapporto con il pubblico da un lato e con la "verità" dall'altro; le relazioni non meno complesse con l'errore e con il gioco; soprattutto, la contrastata e multiforme dialettica tra tradizione e innovazione, tra scrittura e agire creativo istantaneo, tra musica come "cosa" e musica come "azione." E poi, nella terza parte, i molti paradossi di una didattica che deve insegnare nientemeno che a "creare," e a farlo attraverso una pratica impossibilitata ad avere un metodo. Sono pagine dense, queste, forse per qualche lettore non prive di difficoltà, ma comunque fruibili, grazie alla brevità delle riflessioni e al fatto che Cappelletti evita opportunamente di eccedere in tecnicismi linguistici.
Lo sguardo del filosofo pervade comunque anche la parte centrale e più corposa del libro, nella quale si parla di musica nel modo in cui l'appassionato è più abituato, cioè raccontando esperienze, ricordando alcune delle sue molte collaborazioni, commentando alcuni dei musicisti più amati, riflettendo -magari dopo anni -sul modo in cui sono nate composizioni o progetti. Lo spirito del filosofo rimane perlopiù in filigrana, nel modo spesso un po' spiazzante in cui le osservazioni vengono sviluppate, ma emerge qua e là in forma più diretta, per esempio nella riflessione, a partire da Paul Bley, sul "suonare male" (p. 113), oppure laddove Andrew Hill viene paragonato al disegnatore e grafico Escher, o ancora quando un piano solo dal vivo su musica di Monk evoca un percorso personale di matrice nicciana.
In conclusione, "Le avventure di un jazzista-filosofo" è un libro atipico nel panorama della letteratura sul jazz, perché il suo andamento più critico-riflessivo che descrittivo ne fa non solo un libro (in parte) di filosofia, ma anche e soprattutto un libro di (e non "sul") jazz -e, proprio per questo, altamente consigliabile.
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