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La vita e la musica di Henry Threadgill - prima parte
Negli ultimi 30/40 anni il numero di solisti-improvvisatori è stato significativamente alto rispetto a quello di artisti orientati sulla composizione, la ricerca e l'organizzazione di nuove relazioni strumentali. Tra questi ultimi, accanto ai vari Anthony Braxton, Richard Abrams, Butch Morris e Dave Holland - Henry Threadgill si colloca ai vertici della categoria, evidenziandosi come uno dei più originali ed eclettici autori e leader della sua generazione. Nonostante sia un sassofonista contralto di alto livello, il suo lavoro spicca per la sorprendente opera di fusione tra stili musicali molto lontani, in organici strumentalmente anomali, apparentemente eccentrici, che però rispondono a precisi indirizzi di ricerca.
Nato a Chicago il 15 febbraio 1944, Threadgill ha assorbito dall'infanzia l'ampio e multiforme universo musicale che animava la Windy City: le varie forme di blues suonato in strada, il gospel della chiesa battista, il jazz dei locali, il country e i generi latini trasmessi in radio. In famiglia, la musica svolgeva un ruolo significativo (tra gli zii c'era un bassista e una cantante d'opera) e da piccolissimo il nonno lo portava a Maxwell Street, in una zona nota come "Jew Town". "Non c'era alcun riferimento alla comunità ebrea -ha ricordato il sassofonista- era solo il nome con cui chiamavamo quel posto. C'era un grande mercato il sabato e la domenica, dove si suonava sempre molto blues. Il quartiere era adiacente alla comunità portoricana, così la musica di Puerto Rico era anch'essa presente".
Anche la zona dove abitava la famiglia di Threadgill, tra la 34esima e la 35esima strada era musicalmente viva: il suo stabile era frequentato da Dinah Washington, Nat King Cole e Sam Cooke mentre poco distante abitava Lil Hardin. Nella chiesa della comunità cantavano Mahalia Jackson e Rosetta Thorpe e nei club del quartiere s'esibivano Charlie Parker, Billie Holiday e altri grandi del jazz.
Supportato da un naturale talento musicale, il piccolo Henry iniziò a rielaborare quegli stimoli ed all'età di sei anni era già in grado di suonare al pianoforte semplici brani di boogie-woogie.
Pur con queste premesse, l'infanzia di Threadgill non fu diversa da quella dei coetanei del quartiere, attratti più dal basket che dalla musica. La svolta avvenne attorno ai sedici anni, quando i dischi di Charlie Parker, Lester Young ed Illinois Jacquet ascoltati in casa lo colpirono profondamente, spingendolo verso il sassofono.
"Non avevo ancora deciso di diventare un musicista -ha ricordato Threadgill- era un'idea troppo sofisticata. Sapevo solo che volevo suonare. I miei genitori mettevano quella musica tutto il giorno, sapendo che mi piaceva. Ma non si può capire quale sarà il futuro di un ragazzo. Gli adolescenti cambiano e loro cercavano solo di incoraggiarmi. Fu un bene perché, crescendo nella comunità nera di Chicago, era facile diventare un fuorilegge. In un certo senso lo ero già ma la musica mi ha salvato. Ora potrei essere morto o vivere rinchiuso in qualche penitenziario nella casa dei prodi". (Nota 1)
Iniziò così a studiare il sax contralto e in questo fu aiutato da John Hauser, suo insegnante di scuola media. Era un musicista di un certo rilievo che aveva suonato con Charlie Parker e dette a Threadgill anche una buona conoscenza dei metodi di scrittura per piccolo gruppo. Questo gli fu utile nei primi complessini con cui, appena sedicenne, inaugurava la sua attività di musicista interpretando per le strade blues, musica latina o da banda. In uno di questi c'era il suo amico Joseph Jarman.
Il primo vero laboratorio musicale per il giovane Threadgill fu il Wilson Junior College. "Essere in quella scuola -ha ricordato- era come frequentare la 52° strada di New York nei primi anni del be-bop. Musicisti che in seguito avrebbero spinto in avanti le frontiere musicali, come Anthony Braxton, Jack DeJohnette o Joseph Jarman".
In quella scuola (che frequentavano anche Eddie Harris, Malachi Favors e Roscoe Mitchell) insegnava un eccellente corpo docente e operavano giovani scrittori, poeti e pittori che contribuirono alla formazione intellettuale del giovane sassofonista. All'alba degli anni sessanta i suoi coetanei erano prevalentemente attratti dall'hard-bop di Art Blakey ed Horace Silver ma Threadgill già guardava con interesse al nascente free jazz di Ornette Coleman e Cecil Taylor ed ai musicisti innovativi di Chicago, come Sun Ra e Muhal Richard Abrams. Nel 1962, appena diciottenne, Henry fu tra i primi jazzmen della sua generazione a suonare nella famosa "Experimental Band".
"I primi sono stati Jarman, Raphael Garrett, Eddie Harris -ricorda il sassofonista-. C'erano quelli degli Earth, Wind and Fire e un sacco di altra gente. Allora, quando Muhal mi ha invitato a suonare e a portare le mie composizioni, non c'era ancora nessuno di quelli che poi sono stati nell'A.A.C.M. tipo Anthony Braxton, Lester Bowie o Roscoe Mitchell, che allora era militare. Non ho visto neanche Malachi Favors".
L'American Conservatory Of Music fu la tappa successiva della sua formazione teorica, stavolta incentrata in ambito classico. Studiò il clarinetto e si specializzò in flauto sotto la guida di Stella Roberts, allieva della famosa Nadia Boulanger, che lo influenzò molto anche sul versante della scrittura. Quando, nella metà degli anni sessanta, dall'Experimental Band nacque l'Association for the Advancement of the Creative Musicians, Henry Threadgill non era a Chicago. Per qualche anno si esibì ai camp-meeting delle associazioni evangeliste (assorbendo nello stile del contralto e nella scrittura la particolare enfasi del gospel) e fu poi mandato in Vietnam, dove restò due anni e mezzo (prima come combattente, poi come musicista nelle bande militari). Nel 1969 tornò a Chicago, riallacciando i rapporti con Muhal Abrams ed entrando nell'AACM. Fu il pianista a portarlo per la prima volta in sala d'incisione, nell'estate di quell'anno, per incidere Young at Heart, Wise in Time, dove Threadgill evidenziava le doti di sassofonista (un fraseggio angolare, un sound aspro e penetrante) e di compositore.
IL TRIO AIR
In quei mesi vari musicisti della prima AACM, lasciarono Chicago per emigrare in Europa o a New York. Threadgill restò in città alcuni anni, entrando a far parte di una cooperativa di attori e ballerini che operava nel North Side: scriveva le musiche per le rappresentazioni teatrali e fu una di queste che propiziò la nascita del suo primo grande progetto musicale, il trio Air. Doveva eseguire in scena una rielaborazone del repertorio di Scott Joplin, ma il budget non permetteva di pagare più di tre musicisti.
Evidenziando da allora la preferenza per gli organici anomali, Threadgill scartò l'idea di usare un pianoforte e chiamò con sé il bassista Fred Hopkins e il batterista Steve McCall, con cui già collaborava: nasceva così uno dei gruppi chiave del post-free. L'ispirazione per quel progetto venne dalla musica di Ahmad Jamal (evidente nell'eleganza del segno e nella levità delle dinamiche) ma la sintesi definitiva era originale. Anche rispetto ai trii senza pianoforte di Rollins (uno dei pochi ad aver lavorato con quell'organico) l'estetica era diversa: non c'era più uno strumento protagonista ma un lavoro collettivo a forte integrazione reciproca, in equilibrio tra stilemi tradizionali, libera improvvisazione e meticolosa cura della forma. Un jazz variopinto e inventivo, in grado di passare da quadri di limpida o astratta classicità ad altri contrassegnati da forte urgenza espressiva. Il tutto senza alterare la propria identità di musica liberamente improvvisata, cromaticamente duttile, a suo agio con tempi irregolari e strutture ritmico-melodiche complesse, in continuo svolgimento. Threadgill aveva scelto bene i suoi partner. Il bassista Fred Hopkins aveva ricevuto un'educazione accademica ma s'era ispirato alla vecchia scuola di Wilbur Ware, Ray Brown e Jimmy Garrison, che esaltava il suono caldo e possente dello strumento. Steve McCall era uno dei fondatori dell'AACM e un batterista dalla scansione ritmica frammentata e interattiva.
Per alcuni anni quel progetto restò in ombra e solo il 10 settembre 1975, grazie all'etichetta giapponese Why Not, il trio potè incidere Air Song, primo di nove dischi (altri lavori verranno dal 1983 dopo la scomparsa di Steve McCall, sostituito da Pheeroan akLaff). Solo sette anni dopo, la chicagoana Nessa lo pubblicherà negli Stati Uniti. Con gli Air, Threadgill ebbe modo d'imporsi sia come autore che in veste di polistrumentista: nel primo caso va evidenziato lo stretto rapporto con la tradizione afro-americana, reinterpretata a partire dai suoi valori fondanti; nel secondo caso la ricchezza dello spettro strumentale, capace di spaziare dai flauti alla famiglia dei sassofoni fino all'hubkaphone, oggetto percussivo creato da lui con borchie d'automobile.
Il 22 maggio 1976 gli Air parteciparono al Festival Wildflowers, allo Studio Rivbea di New York, entrando nella famosa serie Douglas, ed il 15 luglio incisero Air Raid, ancora per la giapponese Why Not. Due pregnanti brani registrati al Rivbea il 1° luglio e altri due ripresi l'anno dopo all'Università del Michigan verranno pubblicati dalla Black Saint col titolo Live Air. Negli anni successivi Threadgill alternò l'attività con il trio a quella di sideman con i colleghi di Chicago: nel settembre 1976 lo troviamo con Chico Freeman in Morning Prayer; il 22 gennaio 1977 nell'organico che incise Nonaah di Roscoe Mitchell; il 22 settembre con Braxton in For Trio ed ancora nel novembre/dicembre con Muhal Abrams in 1-OQA+19. Sempre in novembre, Threadgill ritornò a incidere con gli Air (Air Time, Nessa) ed in febbraio il complesso e avventuroso Open Air Suit, per l'etichetta Arista.
Nel luglio 1978 il trio debuttò con successo in un festival europeo (Montreux) c'era Giuseppe dalla Bona, inviato da "Musica Jazz": "La qualità principale è la disciplina che s'impongono -scrisse- Le fasi concertate sono articolate con estrema perizia. Specie dal punto di vista ritmico, la flessibilità e l'empatia hanno del miracoloso. Le improvvisazioni sono generalmente pilotate da Threadgill, brillantissimo al tenore e al baritono, superlativo al clarinetto".
Da quel momento il nome del sassofonista cominciò ad acquisire notorietà. Nel gennaio 1979 l'Arista/Novus gli fece incidere il primo disco a suo nome X-75 Volume 1 (non ci sarà mai un volume 2) e nel mese di maggio quello che sarà il disco più leggibile del trio, Air Lore, dedicato alle musiche di Scott Joplin e Jelly Roll Morton. Registrato con quattro flauti (Threadgill, Jarman, Ewart, McMillan) quattro contrabbassi e Amina Myers come cantante, il disco inaugurava la presenza della voce femminile nei gruppi di Threadgill (poi verranno Cassandra Wilson ed Asha Putli), confermando la preferenza del leader per gli organici singolari. Un lavoro variopinto in cui spiccano la complessa "Sir Simpleton", la coinvolgente ballata "Celebration" e una nuova, dolce, versione di "Air Song".
Mentre nei primi anni ottanta continuava la produzione discografica degli Air, Henry Threadgill iniziò a progettare qualcosa di nuovo, stimolato dai medi organici con cui collaborava. Uno di questi era l'ottetto di David Murray (con cui incise nel 1980 Ming e nei due anni seguenti Home e Murray's Steps) ma ricordiamo anche l'organico di Muhal Abrams, i Material di Bill Laswell (con cui incise Memory Serves) e propri gruppi di taglio popolare come la New York Dance Band.
NASCE IL SEXTETT
Nacque così il Sextett, una formazione che traeva la sua identità (da cui il nome) sulle parti strumentali (sei) più che sul numero dei musicisti (sette) e composta dalle ance e flauto del leader più tromba o cornetta, trombone, violoncello, contrabbasso e due batterie. Dal 1982 alla fine del 1988 il Sextett incise sei opere, ospitando differenti artisti: i trombettisti Olu Dara, Rasul Siddik e Ted Daniels, i trombonisti Craig Harris, Ray Anderson, Frank Lacy e Bill Lowe, la violoncellista Deidre Murray, il contrabbassista Fred Hopkins ed i batteristi John Betsch, Pheeroan AkLaff e Reggie Nicholson. Occasionalmente l'organico ha ospitato una cantante o di un contrabbasso "piccolo". Rispetto alla ricerca effettuata con gli Air, Threadgill dispone ora di un'ampia tavolozza espressiva, che gli permette di rappresentare il suo diversificato universo musicale. La musica del Sextett si presenta come un'interazione di tempestosi episodi, entro una struttura fondata sul chorus esteso, dove si rincorrono i materiali più diversi: blues, fanfare, gospel, ragtime, rhythm & blues, il fuoco di Charles Mingus, il mood ellingtoniano, il grido di Albert Ayler, riferimenti accademici ed altro ancora. L'effetto sull'ascoltatore è quello di un moto incessante, spesso concitato, ricco di umori e colpi di scena, dove convivono gli aspetti popolari e leggibili della tradizione afro-americana con la dissoluzione della forma. Una musica spesso drammatica, caratterizzata da un marcato e asimmetrico dinamismo ritmico, che si lega alle lunghe e complesse esposizioni tematiche dei fiati.
I primi tre dischi del Sextett furono registrati per l'etichetta About Time tra il 1982 ed il 1984 (When Was That?, Just the Facts and Pass the Bucket e Subject to Change) contemporaneamente all'ultima produzione col trio Air (Air 80° Below '82) ed alle due incisioni con l'organico rifondato (Live at Montreal e Air Show N° 1). Nei cinque anni seguenti verranno You Know the Number , Easily Slip into Another World e Rag, Bush and All tutti pubblicati dalla RCA/Novus. In un corpus di opere così articolato e inventivo è difficile stabilire graduatorie di valore. Il lavoro più organico è comunque l'ultimo, dove s'evidenzia in modo esemplare l'equilibrio tra parti scritte e improvvisate, in una coerente e personale opera di concettualizzazione della tradizione in generale e del ragtime in particolare. È questa la differenza chiave tra la sintesi di Threadgill e le molte opere che nel jazz contemporaneo hanno accostato tradizione e modernità.
In quegli anni emerse qualche incomprensione sulla musica del sassofonista. Una riguardava "Run Silent, Run Deep, Run Loud, Run High", un ampio lavoro per 28 musicisti e cantanti premiato l'11 dicembre 1987 al Brooklyn Academy of Music Festival. Trovando poche categorie per interpretare un'opera che integrava elementi sinfonici, percussivi e vocali, un critico scrisse che non era jazz, provocando l'appassionata risposta dell'autore su Wire Magazine.
"Migliaia di dollari sono stati spesi in pubblicità, interviste e programmi che evitavano qualsiasi riferimento al jazz. Nonostante non abbia mai detto che si trattava di un'opera jazz sono stato attaccato con questo motivo, nel senso che non ci sono gli elementi tipici come tema, assolo, tema eccetera. Io vengo dalla tradizione di Jelly Roll Morton, Charlie Parker e altra gente del jazz..., li ho amati per tutta la vita ma quello che noi chiamiamo jazz è solo un modo di operare, tutti gli idiomi sono modi di operare ed io non abbraccio un solo modo. Ma i critici cercano di confinarti all'interno di etichette e quindi mi tocca sprecare tempo per occuparmi di tutta questa merda. Ad esempio ho visto dozzine di critici chiamare i miei brani inni funebri quando non c'è niente di questo in tutto quello che ho scritto".
Effettivamente molti dei brani pubblicati nei primi tre dischi del sextett hanno intense richiami ai temi funebri di New Orleans, ma l'originalità della scrittura pone una forte distanza dal modello, che Threadgill ha inteso rimarcare: "NON SCRIVO ALCUN DANNATO INNO FUNEBRE -continuava nell'intervista- Alcuni critici dicono che i miei brani sono marce, ma essi non sono marce (...) I critici dovrebbero dire che alcune cose rammentano marce o inni funebri altrimenti questo diventa un fatto documentato, sebbene sia falso".
A parte eccezioni come queste, la considerazione della critica internazionale per Henry Threadgill crebbe enormemente alla fine degli anni ottanta: nel 1988 e 1989 al referendum critici promosso da Down Beat fu votato al primo posto tra i compositori (nei due anni precedenti vinse il referendum per la stessa categoria, ma tra i talenti meritevoli di maggiore considerazione). Sempre per il 1989 oltre che dai lettori di Down Beat fu acclamato anche dal Top Jazz della critica italiana (come miglior musicista e gruppo).
E' LA VOLTA DEL VERY VERY CIRCUS
Invece di godersi il successo, Threadgill chiuse bruscamente con il Sextett e varò un nuovo progetto, cogliendo tutti di sorpresa per l'eccentricità della formula strumentale. Nei primi mesi del 1991 la Black Saint pubblicò Spirit of NuffNuff, del Very Very Circus, un settetto composto da due fiati (il leader e Curtis Fowlkes al trombone), due chitarre elettriche (Brandon Ross e Masujaa), due tube (Edwin Rodriguez e Marcus Rojas) e una batteria (il portentoso Gene Lake, figlio di Oliver).
L'idea di raddoppiare gli strumenti traslava dalle batterie del Sextett a tuba e chitarra, con una qualche influenza del Prime Time di Ornette Coleman. Ma anche stavolta la prospettiva era assolutamente unica. "In un certo senso -diceva il leader nelle note del disco- questa band è come un circo ma non nel senso che suona musica circense. È come un circo a tre piste dove si svolgono differenti cose contemporaneamente".
Apparentemente i tre livelli che caratterizzavano la formazione erano quello percussivo della batteria, quello contrappuntistico delle due coppie strumentali e quello prettamente solistico dei fiati. Ma in Threadgill le cose non sono mai semplici e le piste del circo vanno viste come piani in cui si collocano gli strumenti a seconda delle situazioni, in una stratificazione sonora in continuo mutamento, senza ruoli rigidi. Tre piste intercomunicanti che consentono relazioni, ogni volta nuove, anche all'interno dei singoli set (brani). Un carosello variopinto e sorprendente, che non dimentica il passato e rinnova la dimensione bandistica del jazz arcaico, spingendo verso nuovi spazi di libertà. Tutto questo nella conferma della poetica ambivalente di Threadgill, dove convivono elementi (e sentimenti) opposti nello stesso momento, quasi a parafrasare l'incompiutezza, il senso e non-senso, della vita.
Come scrisse Claudio Sessa nella recensione del disco, una musica "altamente drammatica nel doppio significato di "teatrale" e di "intensamente emotiva"; mentre la sua raffinatissima scrittura, ricca di livelli espressivi differenti, è scrittura da sceneggiatore, da narratore che parla di e con i sentimenti: da regista appunto". Alla luce di un'analisi musicologica, Stefano Zenni scoprì nuove dimensioni, legate all'Africa. "Con il Very Very Circus -scrisse- Threadgill abbandona le forme più estese di Rag, Bush and All: non muove più in senso orizzontale (un tema dopo l'altro, un episodio dopo l'altro) ma in senso verticale, un motivo o riff sopra l'altro. In ogni brano erige un modello ritmico-melodico, articolato ai diversi livelli degli strumenti (batteria, tube, chitarre) che gira su se stesso e su cui i fiati o una chitarra solista dipanano i loro assoli. Questo principio architettonico è fondamentalmente africano, in particolare della musica per tamburi dell'Africa Occidentale". (2)
Ma anche questo non era un modello esclusivo e la musica del Very Very Circus s'è strutturata anche in forme astratte e non convenzionali, lasciando ampi spazi all'improvvisazione e alla libera relazione tra le parti, come dimostrano lo straordinario "Bee Dee Aff".
Il 1991 ha visto Threadgill partecipare ad un nuovo capitolo dei Material (The Third Power, Axiom) e nel mese di maggio incidere dal vivo col Very Very Circus alla Koncepts Cultural Gallery di Oakland (Live at Koncepts, Taylor Made Records). Sette composizioni nuove presentate da un organico che vide Larry Bright sostituire Lake alla batteria e il cornista Mark Taylor prendere il posto di Fowlkes. Il lavoro è interessante per cogliere il passaggio della musica di Threadgill verso le nuove esaltanti dinamiche dell'album successivo Too Much Sugar for a Dime.
Questo disco inciso in studio presumibilmente nel 1993 è infatti uno dei capolavori di Threadgill e presenta quattro nuovi brani con il Circus e due con una formazione ampliata a due voci femminili, tre violini, un'altra batteria, una tuba e due percussioni venezuelane. Come nel disco live il corno francese modifica gli equilibri timbrici ma è soprattutto sul versante ritmico che s'evidenziano novità: in particolare dallo scontro tra le variopinte scansioni (ora funky ora latine) e l'incedere statico e maestoso delle tube. I due brani con la formazione ampliata ("In Touch, Better Wrapped/Better Unrapped") confermano poi la straordinaria capacità dell'autore far coesistere mondi musicali eterogenei, apparentemente inconciliabili.
NOTE
1) "...Henry Threadgill as told to Steven Buchanan" in Be-bop and Beyond, marzo/aprile 1986 [clicca qui per tornare al testo di partenza].
2) Stefano Zenni, "Henry Threadgill - Il circo contemporaneo", Musica Jazz, agosto/settembre 1994 [clicca qui per tornare al testo di partenza].
Foto di Claudio Casanova
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