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John Zorn Special Edition a Jazz em Agosto, Lisbona

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John Zorn Special Edition [Prima parte]
Jazz em Agosto 2018
Lisbona, Portogallo
10-15.07.2018

Da oltre un decennio John Zorn offre la sua musica dal vivo solamente acquistando un pacchetto composito di esibizioni. Vengono convocati diversi solisti, si compongono repertori e organici, si stabiliscono alcune giornate di documentazione sonora. Per affrontare queste imprese organizzative ci vogliono risorse, efficiente lavoro umano, luoghi accoglienti e acusticamente all'altezza.

Tutto questo offre in abbondanza "Jazz Em Agosto" a Lisbona, festival prestigioso assai, che ha potuto destinare a Zorn credo per la prima volta al mondo la bellezza di dieci giorni di festival, battezzato "Special Edition." Venti combinazioni zorniane, due gruppi portoghesi ispirati al maestro, 5 film collegati, hanno di sicuro soddisfatto la vanità bulimica di Zorn, mai visto così felice e disponibile in anni recenti.

Sia l'anfiteatro all'aperto che il grande auditorium della fondazione Calouste Gulbenkian hanno garantito la perfetta riuscita dell'evento.

All About Jazz Italia era presente nelle prime quattro giornate e soltanto di quelle si può riferire brevemente. Annunciata con anticipo una grave defezione: il grande Milford Graves era indisposto e non ha potuto partecipare al trio che lo avrebbe visto insieme a Zorn e al chitarrista Thurston Moore.

Sicchè Zorn ha deciso di coinvolgere tutti i presenti del primo venerdi, 7 solisti, combinandoli in una scelta di configurazioni, sul modello delle Improv Nights dello Stone a New York. E già in questa prima serata c'è stato un eloquente compendio del puzzle sonoro restituito dallo Zorn attuale che, incredibile a dirsi e a vedersi, corre per i 65 anni.

Direi che ormai si dovrebbe mettere da parte qualsiasi osservazione sul ruolo di Zorn nell'ambito della musica di ricerca o di avanguardia. Questa collocazione poteva essere pertinente molti anni fa. Ora ciò che consolida l'enorme bagaglio di conoscenze di Zorn sono l'energia, la forza, la passione, la generosità, la condivisione, il culto della bellezza. Certo, bisogna simpatizzare per un sistema musicale del tutto autoreferenziale, che quasi mai si pone problemi in relazione al sociale, concentrato in pratica sull'auto perpetuazione, sulla quantità abnorme di testi—molti dei quali non importanti -, che assolve insomma nel nostro tempo una vocazione per il potere dell'arte per l'arte, un po' come poteva essere, mutatis mutandis, per certe correnti di inizio Novecento. Inutile fare le pulci ai singoli episodi delle opere del compositore-improvvisatore. È la sua concezione complessiva che, o affascina, o respinge. Certo fanno sensazione a volte certi cicli di brani che seducono con troppe carinerie o melodie arcadiche di attonita stucchevolezza. Ma nel festival lisbonese sono state accantonate, a vantaggio di esibizioni sanguigne, cariche di adrenalina, spesso brevi per sprigionare maggiore intensità.

Dunque già nelle improvvisazioni della prima serata si sono ritrovate tutte le coordinate tipiche zorniane: il free a volte catatonico a volte neurotico, le microsequenze centrifughe a comporre quadri sonori ipercubisti, il profumo di film noir che impreziosisce da sempre il linguaggio di Zorn.

Memorabili, tra le brevi esibizioni, quelle dei trii Mary Halvorson-Drew Gress-Thomas Fujiwara e John Zorn-Greg Cohen-Tomas Fujiwara. Le chitarre di Thurston Moore e di Matt Hollenberg hanno fornito all'insieme una consistenza acida, per palati forti.

Nella seconda serata era molto atteso il quartetto di Mary Halvorson, con l'altra chitarra di Miles Okazaki e ancora la ritmica Gress-Fujiwara. Un recente repertorio dei "Book of Angels" aveva entusiasmato su disco; ed ha confermato la sua freschezza dal vivo. Le chitarre si interfacciano mantenendo carattere e autorevolezza, i temi sono felici, ritmicamente si vola.

E poi ecco il Masada storico, quello acustico con Dave Douglas, Greg Cohen, Joey Baron. Sarà per le esibizioni ormai centellinate, ma anche solo quaranta minuti di tale classe e furore non si dimenticano facilmente. Come strumentista, Zorn è più facondo che mai, le sue volate, le sue frullate, le sue urla alternate a lievi sonorità cool, lo mostrano ancora come sassofonista unico, che piaccia o no.

Su di un versante opposto, il recital per organo a canne ha proposto più la curiosità di Zorn per lo strumento, davvero un esemplare anomalo, singolare, che un progetto compiuto e convincente, per quanto un blocco centrale lirico e quasi bachiano sia rimasto impresso nella memoria. Accanto a Zorn, una Ikue Mori impassibile, a tracciare modulazioni di computer music.

Evento collaterale importante: il secondo docufilm di Mathieu Amalric sul musicista, "Zorn 2016-2018," ha ricevuto un'accoglienza trionfale. Si tratta di un amorevole pedinamento con videocamera a spalla, in momenti diversi, fortemente frammentato, che mette in luce soprattutto il legame intenso di Zorn con i suoi interpreti, come in una deliziosa scena che documenta le prove con un quartetto d'archi. Poi ci sono squarci ripresi a Parigi e Sarajevo, in un work-in-progress tuttora in divenire.

Un altro acme musicale è arrivato dal quartetto Nova: John Medeski al piano, Kenny Wollesen al vibrafono, Trevor Dunn al contrabbasso e Joey Baron alla batteria sono uno spettacolo solo così, a vederli interagire. Se poi le musiche di Zorn sono così brillanti e acuminate, tra complessità godardiane e un irresistibile r&b degno di Aretha Franklin, allora il gioco è fatto. Prendere nota delle qualità notevolissime di Wollesen come vibrafonista. Zorn poi è rientrato in scena per dirigere a suo modo il repertorio appena sfornato di Bagatelle, cucito su misura per Asmodeus, il trio con Marc Ribot alla chitarra, ancora Dunn stavolta al basso elettrico e un indemoniato Kenny Grohowski alla batteria. Se queste sono bagatelle...: un muro di suono che espande climi alla King Crimson, quelli più granitici, verso un doom metal implacabile e ridondante, Ribot che guarda negli occhi Zorn che sembra volergli cavare il sangue, fino alla catersi finale, con abbracci e risate. È tutto un gioco, in fondo.

Giusto per la cronaca, nelle giornate successive erano in programma: il quartetto di Kris Davis, Ikue Mori, Simulacrum, Robert Dick, John Medeski Trio, trio Craig Taborn-Ikue Mori-Jim Black, Dither, Insurrection, Craig Taborn solo, Brian Marsella Trio, Julian Lage & Gyan Riley, Secret Chiefs 3.

Foto: Petra Cvelbar [per gentile concessione di Jazz em Agosto]

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