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James Senese: Un Jazzista a metà

James Senese: Un Jazzista a metà
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Io uso la mia anima, cerco sempre in ogni momento, ed è imprevedibile quello che potrà succedere
Quando tra gli anni ottanta e novanta James Senese andò a suonare negli Stati Uniti i musicisti americani non credettero al fatto che fosse napoletano scambiandolo, per il suo modo unico di suonare, per un sassofonista di Chicago. Un aneddoto che ben fa capire la capacità di James Senese di essere allo stesso tempo portavoce della tradizione partenopea e musicista radicato nei suoni e nei ritmi urbani delle grandi metropoli americane.

Figlio di una ragazza napoletana e di un soldato afroamericano, fin da piccolo— erano gli anni che seguono la fine della seconda guerra mondiale— James Senese ascolta i dischi portati dal padre dagli Stati Uniti in Italia. Un ascolto che segnerà il suo percorso di crescita come sassofonista e cantante prima con il gruppo dei Showmen, tra le prime formazioni a proporre in Italia il genere R&B, e poi con i Napoli Centrale, band seminale del jazz-rock italiano e internazionale.

Il gruppo rappresenterà negli anni '70 un intero movimento di rottura che, ispirato dall'avanguardia jazzistica afroamericana, metterà insieme musica strumentale e testi di forte impatto proletario. Una storia ormai diventata leggenda quella dei Napoli Centrale, portata ancora avanti da James Senese con passione e innovazione in studio e sul palco. Un microcosmo musicale e umano immortalato nel disco antologico Aspettanno 'O Tiempo nel quale il sassofonista napoletano, attraverso i brani di una lunga carriera, si raconta con il suo solito spirito profondo e verace, facendo convivere come per magia le atmosfere mediterranee con la spiritualità esoterica di John Coltrane.

All About Jazz: Per iniziare l'intervista vorrei chiederti un tuo ricodo del batterista e paroliere Franco Del Prete scomparso da poco.

James Senese: Era ancora in attività con me, con il gruppo che porto avanti da tanti anni, i Napoli Centrale. Il dispiacere è molto forte perché eravamo come due fratelli, siamo nati insieme con i Showmen e poi abbiamo fondato i Napoli Centrale. Una perdita così improvvisa fa molto male.

AAJ: Sono ancora attuali i testi di forte impatto e rottura di brani come "Campagna" e "'A gente 'e Bucciano" contenuti nel primo omonimo disco dei Napoli Centrale?

JS: Sono ancora attuali perché come musicista d'avanguardia ancora riesco a dare ai testi una certa vivacità che riflette quello che oggi siamo noi. Ci sono ancora delle cose che abbiamo scritto che sono avanti nel tempo.

AAJ: Infatti nel brano "'O sanghe" ritorni a parlare di un popolo perdente, un tema di cui parlavi anche molti anni fa.

JS: È il linguaggio che uso e che ho sempre usato insieme a Franco Del Prete dall'inizio fino ad oggi. Io non mi sposto dalla dimensione che ho sempre cercato nel guardare ciò che c'è fuori, una parte del mio popolo che poi alla fine è il popolo di tutti, quello che non riesce a realizzarsi, a guardare avanti per come vivere, a cercare una strada migliore per sopravvivere in questa società.

AAJ: Nel secondo disco dei Napoli Centrale dal titolo Mattanza invece la musica si ritagliava uno spazio maggiore rispetto ai testi cantati.

JS: È proprio quello che volevo fare. Il compromesso è stato che io mi sono ritrovato a cantare per forza, però dentro mi sentivo più musicista che cantante. La mia forza è stata stravolgere i Napoli Centrale, non fare più la canzonetta ma mettere insieme musica strumentale e canzone.

AAJ: La prima formazione era formata da due napoletani, te e Franco del Prete, e due americani, Mark Harris e Tony Walmsley. È quell'incontro che ha plasmato il suono della band, almeno dei primi lavori?

JS: I due americani quando componevo seguivano ciò che io facevo e l'ampliavano in un certo modo secondo la loro cultura. Gli arrivava un linguaggio che forse avevano già assimilato dentro di loro. Per me è stato molto immediato mettere fuori ciò che avevo dentro.

AAJ: Negli anni la formazione dei Napoli Centrale è cambiata, è stata un'esigenza per trovare suoni e stimoli diversi o piuttosto un ciclo naturale inevitabile?

JS: È cambiata per un fatto di logica. Io ho creato un linguaggio che non assomigliava a nessun altro, non aveva nessun canone, non era blues, non era jazz, non era rap, non era Be-bop, e dopo aver fondato il gruppo con Franco Del Prete e i due americani è stato molto difficile trovare la giusta dimensione perché gli altri musicisti erano abituati a fare il proprio genere. Noi mettevamo insieme la napoletanità da dove io venivo e l'America. Però negli anni sono riuscito a mettere tutto insieme scrivendo e facendo capire ai vari componenti del gruppo qual era la musica giusta da suonare, da far uscire fuori. Ecco perché ci sono stati molti cambiamenti.

AAJ: Nel brano "Ll'America" contenuta nel disco antologico Aspettanno 'O Tiempo c'è una frase che dice "l'America sta qua, dentro questo cuore e dentro questo sassofono": quale rapporto hai con "l'America" musicalmente e umanamente parlando?

JS: Il rapporto con l' America è sempre vivo dentro di me, anzi io la sto ancora cercando l'America! In realtà avrei voluto fare il jazzista ma ho dovuto soccombere e fare il "jazzista a metà," però dentro di me cerco sempre la mia America perché è quella che sento di più.

AAJ: Quali sono le circostanze che ti hanno portato a scoprire il jazz?

JS: All'età di 13 anni mentre gli altri ascoltavano Carosone o Natalino Otto io ascoltavo quello che mi apparteneva come DNA, i musicisti americani, tutta quell'avanguardia che in Italia non c'era ancora. Tutto è cominciato quando ho sentito i primi gemiti della musica americana gospel, blues e più avanti il jazz.

AAJ: L'album Alhambra del 1988 conteneva un brano dal titolo "Love Supreme." Quanto è stata importante la figura di John Coltrane nella tua crescita musicale?

JS: Io vivo ancora con John Coltrane perché non riesco a sentire nulla oltre quello che lui è, quello che lui è stato e sarà per l'eternità. Oltre la sua tecnica mi ha entusiasmato la sua voce, il suo sentimento. Gli altri sono imitabili ma Coltrane è inimitabile, perché lui rappresenta un mondo, una dimensione tecnica che nessuno mai ha raggiunto.

AAJ: Insieme a Napoli Centrale hai creato un sound che unisce la tradizione napoletana con i suoni provenienti dal mondo, in particolare del jazz elettrico, una fusion partenopea: pensi che le nuove generazioni di musicisti napoletani e non possano portare avanti lo stesso spirito racchiuso nella tua musica?

JS: Io penso di essere unico perché la mia capacità è molto forte. Ho sempre cercato nella dimensione musicale e non lo fanno tutti perché è molto difficile. Come cultura musicale mi sento di essere il Miles Davis napoletano.

AAJ: Importante nella tua carriera è stato anche il tuo legame con Pino Daniele: che cosa l'uno a dato all'altro?

JS: Io ho dato più a lui di quello che lui ha dato a me. Quando è entrato nei Napoli Centrale gli ho dato tutta la mia cultura musicale, perché lui prima era più rockettaro. Però in seguito con lui ho trovato la mia dimensione napoletana vera e propria. Con lui sono riuscito a suonare come non suonavo con i Napoli Centrale e poi questo mi ha permesso di creare con il mio gruppo un linguaggio finalmente unico e riconoscibile. Io ho buttato addosso a Pino Daniele tutta la musica d'avanguardia e la sua fortuna è stata che dentro di sé aveva questa voglia di comunicare al popolo il suo amore, il suo linguaggio facendo delle cose egregie che mi hanno commosso.

AAJ: Quali sono i prossimi progetti che hai in programma?

JS: Oltre alle diverse date in programma per i concerti tra pochi giorni sarò in studio per registrare il disco nuovo. Come sarà questo nuovo lavoro non lo so perché quando compongo spesso mi chiedo " ma dove sto andando?." È sempre una scoperta ma poi escono delle cose meravigliose, perché la strada è sempre quella, tra Napoli e l'America, le due entità che ho dentro di me, capito! Io uso la mia anima, e la ricerca che ho dentro di me ce l'ho anche sul palco, non riesco ad essere meccanico, cerco sempre in ogni momento. Ed è imprevedibile quello che potrà succedere

AAJ: Quali sono i musicisti che ti stanno accompagnando in questa personale ricerca?

JS: Sono ritornato indietro nel tempo a quei musicisti che hanno più rispetto per il linguaggio musicale dei Napoli Centrale: il bassista Rino Calabritto, che aveva in precedenza suonato con il gruppo per dieci, quindici anni, il batterista Fredy Malfi e un nuovo pianista, molto dotato.

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Salomea

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