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Irreversible Entanglements al Teatro Ariosto di Reggio Emilia

Irreversible Entanglements al Teatro Ariosto di Reggio Emilia

Courtesy Andrea Mazzoni

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Irreversible Entanglements
Teatro Ariosto
Aperto Festival 2025
Reggio Emilia
17 ottobre 2025

Imperdibile l'apparizione degli Irreversible Entanglements all'interno del composito festival reggiano, nell'unica data del loro tour europeo. La formazione di Filadelfia, animata da motivazioni protestatarie e comunitarie fin dalla sua nascita nel 2015, è divenuta uno dei gruppi più in vista e caratterizzati dell'attuale panorama jazzistico statunitense.

A ben vedere c'è molto di antico nell'Afrofuturismo di questo quintetto: l'incipit della performance nel segno di frammentarie trame percussive da parte del collettivo, anche utilizzando strumenti di origine etnica, la costante e scura pulsazione del contrabbasso di Luke Stewart, la pronuncia free, acida e ondivaga, del sassofonista Keir Neuringer, forse preferibile al contralto piuttosto che al soprano, la cadenza sdrucciola con inflessioni vagamente latine del trombettista Aquiles Navarro, il saltuario utilizzo da parte dei due fiati di tastiere elettroniche con effetti liquidi ed evocativi, il modo di concepire il drumming esposto da Tcheser Holmes, libero e sfrangiato, mai stentoreo, il soffermarsi su aree di decantazione introspettiva o su lunghe note sostenute con la respirazione circolare, i progressivi crescendo e l'esplicita ritualità... Il tutto mi ha ricordato molto le apparizioni dell'Art Ensemble Of Chicago delle origini.

Vero è che in questo contesto strumentale ad emergere è la presenza centrale di Moor Mother (all'anagrafe Camae Ayewa), poetessa, attivista e performer, portabandiera di una certa espressione dell'attualità nero-americana, che quest'anno i fan europei hanno potuto apprezzare in varie occasioni con diverse formazioni: da Jazz em Agosto di Lisbona a Londra, da Berlino e Francoforte alla Biennale Musica di Venezia... Sostenere che nel concerto all'Ariosto ho compreso tutto della sua partecipata declamazione sarebbe commettere un'impropria millanteria, tuttavia sono riuscito a cogliere qualche frase particolarmente significativa ripetuta ossessivamente. Ciò che soprattutto si è potuto percepire e ammirare sono gli aspetti vocali e gestuali della sua performance: il respiro, l'andamento dinamico del suo eloquio, le progressioni espressive ed emotive, capaci di raggiungere picchi di relativa veemenza oppure di calarsi in accorate, sofferte perorazioni, il timbro naturale, brunito e accalorato della sua voce...

Il bis, in cui è stata ripresa una trama percussiva poliritmica, minuta e claudicante, conclusasi con un graduale smorzamento della tensione e con un colpo perentorio sulla grancassa verticale, ha ribadito il messaggio socio-politico "Peace and Love," slogan tanto semplice quanto potente in quanto universale e unitario, ancora carico di rivoluzionaria e visionaria utopia, esprimendo nel contempo una proclamazione identitaria di orientata appartenenza culturale. Non è anche questa, con la consapevolezza di oggi, una volontaria adesione ad una delle peculiarità distintive dell'Afrofuturismo storico?

Nell'impostazione complessiva di questa prova concertistica—caratterizzata da un sound prettamente acustico e formicolante, da un procedere imperterrito in un flusso continuo senza soste, tanto più senza presentazione dei brani, oltre che da un'animata, imprevedibile sommatoria dei contributi dei singoli—è prevalsa indubbiamente una dimensione comunitaria e rituale d'impronta appunto antica, talvolta quasi ancestrale, testimoniata dagli abbracci che tutti i membri della formazione si sono scambiati a fine concerto, accompagnati dagli applausi del pubblico. Perché non sostenere a tale proposito che tutto questo è ascrivibile a un approccio autenticamente jazzistico?

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