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Intervista all’Interensemble. Conversazione con Bernardino Beggio.

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Interensemble è nato come attività indipendente di ricerca musicale, a seguito di una forte esigenza di novità e rinnovamento. Venne fondato nel 1983 per iniziativa del pianista e compositore Bernardino Beggio, riunendo buona parte di quei musicisti che in ambito veneto si dedicavano alle esperienze contemporanee. Da allora la ricerca e la sperimentazione sono state le linee che hanno condotto l'attività dell'Ensemble attraverso molti degli itinerari possibili della musica colta dell'ultimo secolo: da Cage e Stockhausen a Berio e Donatoni, da Glass e Nyman a Reich e Piazzolla. I generi trattati e proposti spaziano dalla Computer Music al teatro musicale, dalla musica di derivazione popolare all'esperienza minimalista, fino all'ultima generazione di compositori italiani e alle nuove tecnologie. Vanta al proprio interno la possibilità di intercambiare gli elementi in numerose formazioni strumentali per eseguire i repertori più diversi. Gli organici sono costituiti dal solista fino a 10 e più elementi, con possibilità di modifiche e integrazioni (da formazioni più classiche come il quartetto d'archi e il quintetto flauto-clarinetto-violino-violoncello-pianoforte, fino alle più inconsuete con l'ausilio dell'elettronica).

Dal 1984 organizza il Computer Art Festival, una vetrina internazionale per le nuove produzioni di musica, video e nuove tecnologie. L'edizione 2011 si svolge in tre giornate presso il Centro Culturale Altinate. Come nelle ultime edizioni, il filo conduttore principale è costituito dalle opere video e di cyber art selezionate nell'edizione 2011 del Prix Ars Electronica di Linz, la più importante rassegna mondiale del settore.

L'intervista che segue è stata condotta con Bernardino Beggio, attuale direttore di Interensemble.

All About Jazz: Inizierei da una domanda banale, ma importante: cos'è per voi un ensemble?

Interensemble: Un ensemble è prima di tutto un gruppo di persone. Sono persone che condividono passioni e obiettivi, e nel caso dell'Interensemble la passione è la musica e l'obiettivo principale è stato fin dall'inizio la ricerca del nuovo. Il percorso fatto dal 1984 ad ora è lungo. Alcune persone del gruppo sono cambiate, ci sono stati molti nuovi inserimenti, ma è rimasto un nucleo originario di 5 o 6 fondatori, che hanno trasmesso agli altri l'entusiasmo per l'avventura del nuovo.

AAJI: Avete voglia di raccontare come, quando e dove si è formato il vostro Ensemble?

I.E.: Bisogna risalire al 1982, quando un gruppo di studenti "anziani" e alcuni docenti del Conservatorio di Padova sentirono l'esigenza di suonare la musica d'oggi. Organizzammo per due anni consecutivi un ciclo di seminari e concerti intitolati "Suonare la musica d'oggi" appunto. L'ultimo di questi seminari fu condotto da Sylvano Bussotti, che partecipò con tutti noi, studenti e docenti, al concerto finale. Si trattò di una mega improvvisazione sulla partitura grafica Autotono. Un vero e proprio happening multimediale, con tanto di proiezione della partitura sulla scena. Il gruppo di musicisti che partecipò a quell'evento costituì il primo nucleo dell'Interensemble [In una lunga intervista audio per una radio di Padova Bernardino Beggio ricostruisce la storia dell'Interensemble].

C'è da dire che Padova allora non era proprio "terreno vergine" per quanto riguarda la musica contemporanea. Al Conservatorio esisteva da alcuni anni lo studio di Musica Elettronica fondato da Teresa Rampazzi, una dei pionieri italiani, e all'Università era già una realtà il Centro di Sonologia Computazionale. Quello che mancava era un gruppo di strumentisti e compositori decisi a produrre e ad organizzare il nuovo musicale.

L'Interensemble è nato tra il 1983 e il 1984 per mia iniziativa, dal confronto con un gruppo di musicisti che ruotavano intorno al Conservatorio di Padova. Io venivo da un'esperienza di studio di tre anni in Polonia, precisamente all'Accademia di Musica di Cracovia, che allora era diretta da Krzysztof Penderecki. Erano gli anni della nascita di Solidarnosc, ed erano anni anche di grande fervore culturale e artistico, oltre che politico. Tornando in Italia da quella Polonia non era possibile rimanere con le mani in mano. L'impulso del fare e del cercare il nuovo era fortissimo. Così questo impulso, l'ambiente culturale della Padova di allora e il gruppo di amici musicisti che circolavano nell'ambiente del Conservatorio e dell'Università furono gli elementi che diedero vita all'Interensemble.

AAJI: Come e perché del nome che avete scelto.

E.I.: Il prefisso inter che sta davanti alla parola ensemble racchiude molti significati che si incrociano, e anche un certo mistero. Devo confessare che già da qualche anno esisteva a Parigi l'Ensemble Intercontemporain, ed in un certo senso volevamo riferirci a quell'esperienza lanciata in Francia da Pierre Boulez. Noi però volevamo davvero intrecciare i percorsi di altre arti contemporanee con le contorte traiettorie della musica d'oggi. Nel nucleo originario dell'Interensemble c'erano, oltre a strumentisti e compositori, anche poeti, artisti di grafica e video, danzatori e coreografi, un architetto, un mimo e alcuni informatici.

AAJI: I presupposti che vi hanno portato a unirvi sono gli stessi sui quali ancora oggi basate il vostro legame?

E.I.: Il presupposto che certamente rimane valido per tutti è la ricerca del nuovo. Quasi tutti nell'Interensemble provengono da studi classici di Conservatorio, ma riteniamo che produrre e proporre la "musica dell'oggi" equivalga ad immettere aria fresca nel circuito della musica colta, che rischia di ammuffire proponendo nelle sale da concerto quasi esclusivamente il passato, più o meno remoto. Possiamo dire che, oltre alla passione per il nuovo, quello che ci spinge avanti è anche, in un certo senso, un principio etico.

AAJI: Per quanto riguarda il repertorio, come lo scegliete e come lavorate per l'esecuzione...magari potete raccontarlo a partire da un progetto che avete realizzato che vi sta particolarmente a cuore.

E.I.: Guardando ora in retrospettiva il quarto di secolo della nostra attività, direi che le modalità per la scelta del repertorio sono state le più varie. All'inizio, l'idea del "nuovo per il nuovo" e la voglia di stupire rompendo gli schemi hanno guidato le nostre scelte. Davamo grande spazio alla gestualità, alla teatralità, all'improvvisazione libera e in genere a tutto ciò che gli altri non facevano. Abbiamo addirittura dedicato un festival ad un "minimalista estremo," quel Tom Johnson che ha la paternità del termine minimalismo applicato alla musica. L'avevo conosciuto qualche anno prima quando tenne una conferenza a Cracovia, e ne ero rimasto affascinato. Mettemmo in scena nel 1984 la sua esilarante opera lirica The Four Note Opera, un'ora e mezza di musica rigorosamente tutta su quattro note: La, Si, Re, Mi. E poi presentammo praticamente l'opera omnia di Johnson. Fu un grande successo, e il pubblico davvero numeroso si rese conto che c'era della musica contemporanea divertente.

Poi, a partire dalla realizzazione del nostro primo CD Interensemble, prodotto dalla mitica Edipan di Roma nel 1990, ci siamo dedicati alla musica scritta da compositori che lavoravano in stretta collaborazione con i nostri strumentisti. Alcuni di questi compositori erano parte attiva del gruppo, e ne hanno condiviso le scelte. Mi riferisco a Carlo de Pirro, Stefano Bellon, Michele Biasutti e al sottoscritto. La scelta del repertorio per il secondo CD 10 per 10 è stata invece dettata da alcune collaborazioni internazionali. Eravamo nel 1994, e volevamo celebrare il decennale della nostra nascita commissionando varie lavori ad alcuni compositori europei che erano anche leader di gruppi simili al nostro. Nacque così un CD eclettico con pezzi di Jesus Villa Rojo, Jean Louis Petit, Piotr Lachert, oltre a pezzi miei, di Michele Biasutti, di Bruno Maderna e Franco Donatoni.

Alcune delle scelte successive furono anche legate al caso. Per esempio l'incontro con Astor Piazzolla, di cui dirò più avanti. Altre scelte invece, pur dovute inizialmente al caso, sono poi state definitivamente sposate e ampliate nel corso degli anni fino ad oggi. Penso per esempio al rapporto musica-poesia, iniziato nel 1997 con un progetto (pensi!) su Leopardi. Era l'anno del bicentenario leopardiano, e commissionammo a vari compositori dei pezzi pianistici per la lettura di alcuni dei più famosi testi del poeta di Recanati. Questo progetto mi vide impegnato personalmente sia come pianista che come compositore. Ne nacque un CD che gode tuttora, dopo più di 10 anni, di un certo successo. Poi venne Poesia e Musica dell'Oggi, e successivamente altri progetti che, partendo dal testo scritto e recitato in scena, si allargarono sempre di più alla multimedialità. Fino agli ultimi due che stiamo ora portando in giro per l'Italia: In vino veritas con testi variegati sul mondo e la cultura del vino, e l'altro reading.concert su Wislawa Szymborska, la grande poetessa polacca premio Nobel nel 1996.

AAJI: Che cosa vi interessa maggiormente mettere in luce della musica del Novecento? Quali sono gli aspetti sui quali voi come Ensemble ritenete di dover maggiormente lavorare?

E.I.: Penso che la cosa più interessante dell'ultima parte del Novecento e di questo primo scorcio del Duemila sia la varietà. Pur in ambito colto, la produzione musicale degli ultimi 30 anni rivela un'infinità di stili e tendenze che è bello rivelare e proporre. Per questo l'Interensemble non è mai stato legato a particolari scuole o tendenze della musica contemporanea: ci piace spaziare da Donatoni a Piazzolla, da Glass e Reich all'elettronica. Siamo in un certo senso eclettici, e lo rivendichiamo con un certo orgoglio. Ma voglio ribadire la cosa che per noi è fondamentale: la comunicazione. Non c'è musica che tenga se non comunica qualcosa a qualcuno. Per questo ci teniamo ben lontani da qualsiasi accademia.

AAJI: Tra gli scopi della vostra attività si legge che c'è quello di "diffondere la musica innovativa colta e di confine del XX e XXI secolo". Come si concretizza?

E.I.: La risposta alla domanda "cos'è innovativo?" fa il paio con l'altra "cos'è contemporaneo?". Personalmente penso che la cifra distintiva della contemporaneità sia il guardare al futuro. O meglio, sia il tentativo di collegare l'idea di futuro alla storia. Per questo è sempre necessario avere uno sguardo rivolto in avanti, ma anche riflettere un po' sul passato. E il XX secolo è il passato recente. Ci sono cose estremamente innovative in tutto il Novecento, da Satie in poi, senza dover risalire al dopoguerra. Per questo a volte siamo partiti dalla musica dell'inizio del secolo per presentare poi nello stesso concerto anche lavori in prima esecuzione assoluta.

AAJI: Cosa significa per voi improvvisare? L'improvvisazione è una pratica del vostro fare musica insieme? Nel caso, come avviene e quanto peso ha nel vostro lavoro?

E.I.: Si può dire che i primi concerti dell'Interensemble furono in gran parte esperienze improvvisative. Ricordo che preparammo la nostra prima tournée polacca con una lunga serie di laboratori di improvvisazione. Erano passati pochi mesi dalla già citata esperienza con Sylvano Bussotti, e stavamo elaborando i frutti di quell'esperienza. Ci siamo poi progressivamente allontanati dall'improvvisazione, e l'abbiamo utilizzata a volte inserendola in progetti compositivi strutturati che prevedevano finestre d'improvvisazione. Ultimamente però abbiamo collaborato con qualche jazzista inserito nei nostri progetti multimediali. Per esempio nello spettacolo "Andrea da Padoa, el Palladio" prodotto per il quinto centenario Palladiano, il sassofonista Maurizio Camardi ha avuto un ruolo importante suonando con noi e scrivendo alcune musiche.

AAJI: ... e per quanto riguarda l'elettronica?

E.I.: Sì, l'elettronica in generale, e la computer music in particolare costituiscono da sempre un capitolo importante della nostra esperienza. Basti pensare che nel lontano 1984 demmo vita ad un festival di musica e nuove tecnologie di cui realizziamo quest'anno (10, 11 e 12 ottobre) la 25° edizione. All'inizio, e fino a metà degli anni Novanta, si chiamò Computer Music Festival. Successivamente cambiammo la denominazione in Computer Art Festival, perché accanto alla computer music cominciarono a prendere sempre più spazio le rassegne di computer video, computer poetry e computer dance. Così in tutti questi anni abbiamo suonato decine e decine di pezzi con l'uso dell'elettronica, dai classici pezzi per "strumento and tape" degli anni Ottanta e Novanta, per poi passare al "live elctronics" negli ultimi 15 anni. Nel nostro CD Computer Art Festival 1986-96 abbiamo messo una selezione di 10 anni di produzioni con l'elettronica presentate al festival. Anche nell'ultimo CD prodotto per Taukay Contemporanea 2010, il pezzo vincitore del Concorso Internazionale Città di Udine è un brano per quartetto d'archi ed elettronica di Marco Marinoni.

AAJI: Essendo All About Jazz una rivista dedicata al jazz, quanto pensate il vostro lavoro abbia a che fare con questo genere? Che cosa vi interessa in particolare del jazz?

E.I.: Mi dispiace deludere le aspettative della rivista che ci ospita, ma il nostro non è un gruppo di jazzisti. Alcuni di noi hanno avuto esperienze jazzistiche, e sporadicamente abbiamo ospitato jazzisti nei nostri progetti. Quello che più mi piace nel jazz, ammesso che si possa generalizzare, è la grande vitalità di questa musica da una parte, e la grande bravura o sapienza tecnica della maggior parte dei jazzisti dall'altra. Ed è indiscutibilmente "musica contemporanea".

AAJI: Portate avanti un lavoro teorico (letture, discussioni sulla metodologia, studi o ricerche, seminar) a livello di Ensemble oppure la formazione e la ricerca sono un percorso individuale da condividere solo in un secondo momento insieme?

AAJI: Lavorate anche per fare formazione ai giovani? È importante e in quale misura il coinvolgimento delle istituzioni (conservatori, scuole musicali ect.)?

E.I.: Devo dire che abbiamo sentito spesso l'esigenza di formalizzare le discussioni che naturalmente scaturiscono dalla nostra pratica musicale. Fin dalle prime edizioni del Computer Art Festival mettemmo in programma incontri con i compositori, presentazioni di libri e riviste. In particolare, celebrando il decennale dalla nostra fondazione, nel 1995, abbiamo organizzato un convegno alla Fondazione Cini di Venezia che aveva per tema Verso il Duemila: compositori a fine Millennio. Per una decina d'anni abbiamo fatto lezioni concerto e seminari nelle scuole, fino a quando questo lo si poteva fare con un certo respiro, vale a dire con qualche fondo a disposizione. Ora la disastrata situazione delle scuole italiane di ogni ordine non ci permette di fare più nulla. Però continuiamo la nostra opera di divulgazione nel quartiere di Padova in cui abbiamo la nostra sede, grazie ad una convenzione con il Comune. Ogni anno organizziamo cicli di guide all'ascolto musicale che introducono e spiegano i nostri concerti in città. Abbiamo formato il nostro affezionato pubblico anche grazie a questa iniziativa.

AAJI: Qual è il campo di ricerca musicale imprescindibile per un ensemble che si occupa di musica contemporanea?

E.I.: Penso che prima di tutto non si possa fare a meno di osservare il mondo che ci circonda e porsi il problema della comunicazione. Cioè, quello che suoniamo nei nostri concerti e registriamo nei nostri CD, che cosa comunica? È un problema complesso, che implica ricerche sulla percezione, e sconfina nella psicologia e nella sociologia. Spesso una mano alla comunicazione viene dalla parola e dall'immagine, che aiutano a veicolare i significati puramente musicali. O anche perché testo e immagine assumono significati diversi in funzione della musica. Le soluzioni al problema comunicativo possono essere molteplici, ma è sempre necessario porsi il problema. Poi, se si intende la parola ricerca in senso tecnico, penso che chi fa musica contemporanea non possa prescindere dall'elettronica e dalle nuove tecnologie che ampliano a dismisura le possibilità degli strumenti tradizionali. Il vero problema è l'effettivo controllo delle nuove possibilità, e il loro utilizzo "comunicativo".

AAJI: Nei vostri concerti eseguite autori contemporanei, ma anche pezzi vostri. Come costruite un concerto e attorno a quali aspetti puntate maggiormente?

AAJI: Il pubblico è importante? E in che forma, dimensione, misura...?

E.I.: L'Interensemble fin da subito si è fatto organizzatore di concerti. I concerti organizzati a Padova e dintorni sono ormai più di 300. Per chi organizza i concerti il l'affluenza e la reazione del pubblico determinano il successo o l'insuccesso di un progetto. Il pubblico deve essere messo in grado di capire e apprezzare ciò che ascolta e vede. A volte bisogna prenderlo per mano offrendogli delle chiavi di lettura (o meglio d'ascolto), altre volte è necessario stimolarlo magari con un po' di mistero. Penso sia importante che anche il pubblico faccia la sua parte di ricerca del nuovo, che riesca a stupirsi ma anche scoprire le trame di un percorso. In questo senso, chi confeziona i programmi e chi li suona ha la responsabilità di poter avvicinare o allontanare il pubblico dalla musica nuova.

AAJI: Vi appoggiate ad una casa discografica? Ne avete fondata una vostra?

E.I.: Il nostro primo CD l'abbiamo prodotto con la storica Edipan di Roma nel 1990. Ancora si discuteva se era più opportuno usare il vinile o il Compact Disc come supporto. Poi venimmo contattati da Artis Andromeda, che aveva da poco acquisito e riversato in CD molte registrazioni storiche di Demetrio Stratos, Battiato, Area, Giusto Pio. Con questa etichetta producemmo il nostro 10 per 10. Ci legammo poi all'etichetta veneziana Rivoalto, con cui abbiamo prodotto i due CD monografici su Piazzolla (selezionati e ripresi anche da Naxos),i due CD sulla poesia e altri due progetti, l'ultimo dei quali ha il titolo emblematico di Venezia velata: compositori in Veneto tra due Millenni. Ora il nostro editore di riferimento è la TEM—Taukay Edizioni Musicali di Udine, con il quale iniziammo a collaborare alla fine degli anni Novanta.

AAJI: Dal punto di vista economico, come avete provveduto fino ad ora a finanziare i vostri progetti? Quali margini di autonomia avete rispetto a chi/coloro che vi sovvenziona/no?

E.I.: Fin dall'inizio il nostro sponsor più fedele è stato il Comune di Padova, che ci ha fornito spazi e sovvenzioni in denaro. Poco denaro a dir il vero, ma forse la cosa più significativa è stata l'attenzione rivoltaci e la continuità degli aiuti. La Regione Veneto ci ha spesso sovvenzionato progetti quali il Computer Art Festival, il Ministero dei Beni e Attività Culturali quasi nulla, solamente qualche sovvenzione per le tournées all'estero tra il 1997 e il 2003. Sponsor privati quasi nulla, solo alcune fondazioni bancarie locali hanno finanziato, saltuariamente, i nostri progetti. D'altra parte è impensabile, in una città di piccole dimensioni come Padova, di sostenerci con i soli proventi degli incassi dei concerti e della vendita di CD. Nessun condizionamento ci è mai stato imposto, se non quello di dover fare una grande quantità di cose con pochi fondi. Ora invece subiamo il terribile condizionamento di non avere più fondi a disposizione, e stiamo seriamente meditando di sospendere l'attività organizzativa, continuando con un'attività concertistica, magari ridotta e magari solo all'estero.

AAJI: Pensi che ci sia una politica in Italia attenta agli Ensemble e/o su cosa dovrebbe sostenere realtà come la vostra la politica (locale, nazionale?)?

E.I.: Per la nostra esperienza, devo dire che abbiamo conosciuto molte realtà politiche locali attente. In Veneto c'erano delle leggi regionali per la cultura che hanno funzionato bene per una ventina d'anni e uno staff preparato che riusciva a sovvenzionare progetti valutando il merito. Ora anche queste leggi sembrano polverizzate e l'arbitrio dei politici la fa da padrone. Il Comune di Padova continua ad essere attento, nonostante subisca, come tutti i comuni, tagli al limite della vergogna. Bisogna distinguere comunque, perché gli amministratori di sinistra hanno sempre prestato maggiore attenzione al nuovo in arte che non quelli di destra. Credo invece che a livello nazionale la politica non abbia nessun interesse alle nostre questioni e alla cultura in genere, tantomeno per le idee innovative.

AAJI: Un ensemble è un archivio di memoria storica musicale oppure, diversamente, lavora sul vivo della musica intervenendo nella quotidianità in tempo reale?

E.I.: Per quanto ci riguarda è ambedue le cose. Potremmo dire che siamo un archivio di memoria storica nel quale la maggiore attenzione è dedicata alle "memoria breve," vale a dire suppergiù quella che ricorda l'ultimo secolo. Ma è soprattutto sulla quotidianità che ci piace intervenire. Anzi, il bello sarebbe intervenire ancor prima che le tendenze siano chiare, tracciando i nuovi percorsi. Raramente però si riesce.

AAJI: Uno degli aspetti che caratterizza Interensemble è "la possibilità di intercambiare gli elementi in numerose formazioni strumentali per eseguire i repertori più diversi". Come si traduce questo nella vostra pratica del fare musica?

E.I.: Un ensemble che si dedica alla musica d'oggi, anche se di piccole dimensioni come il nostro (arriviamo al massimo a 10-12 elementi), deve per forza avere al suo interno dei sottoinsiemi che siano funzionali alla infinita varietà d'organico delle partiture. Abbiamo spesso lavorato in quintetto, quello definito in gergo "quintetto Pierrot" perché è l'organico del Pierrot Lunaire di Schoenberg: flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte. E' una specie di orchestra in miniatura, con archi, fiati e il piano che fa da percussioni e sostegno armonico: ha grandissime possibilità espressive. Quante tournée abbiamo fatto con questo organico e quanti nuovi pezzi ci sono stati scritti! Spesso utilizziamo altre formazioni classiche come il quartetto d'archi e il trio con violino, violoncello e pianoforte. Ma mi piace far notare che abbiamo delle formazioni veramente inusuali, come il nostro E-quartet, con chitarra elettrica, pianoforte, clarinetti e flauti diritti. Perché tra i nostri strumentisti c'è anche chi, pur essendo un virtuoso del flauto diritto, con il quale suona prevalentemente musica antica, con noi suona questo strumento antico combinandolo spesso con i suoni elettronici. Con questo organico abbiamo realizzato due progetti, uno su Frank Zappa e uno su Galileo Galilei.

AAJI: Nel vostro repertorio di CD ci sono due "serie" che mi hanno colpito: quella dedicata a Astor Piazzolla e quella dedicata alla musica "contemporanea" (inter/-mente). Mi piacerebbe approfondire peculiarità e scelte di entrambi.

E.I.: Incontrai la prima volta Astor Piazzolla una domenica di novembre del 1987, quando tenne un concerto a Padova con il suo storico quintetto. Il caso volle che in un concerto matinée di quella stessa domenica io e il violoncellista Luca Paccagnella avevamo presentato in prima esecuzione italiana il suo Le Grand Tango, già dedicato a Rostropovich, ma ancora ineseguito in pubblico. Piazzolla ne fu stupito quando lo andai a trovare in camerino dopo il concerto e gli mostrai il programma. Così gli chiesi se aveva altra musica da camera che potesse andar bene per il nostro gruppo. Mi mise in contatto con alcuni dei suoi editori, e così in un paio d'anni mettemmo in piedi il repertorio per due i due CD monografici che gli abbiamo dedicato: da Five Tango Sensations, a Cuatro Estaciones, da Four For Tango a Trois Preludes, includendo alcuni pezzi giovanili che sono delle vere e proprie chicche. Ora, a vent'anni dalla morte di Piazzolla, quando tutti suonano la sua musica in tutte le salse, l'Interensemble rivendica con orgoglio di averla suonata in versione originale nei festival di musica contemporanea, quando quasi nessuno la proponeva, perché veniva "snobbata" e considerata mera musica pop. Personalmente poi come pianista partecipo sempre ai nostri concerti "piazzolliani," perché suonare la sua musica mi dà sempre una grande gioia.

Per quanto riguarda invece la serie "Contemporanea" devo fare una premessa. Nel 1996 venimmo contattati da Vittorio Vella, giovane editore di Udine e fondatore di TEM— Taukay Edizioni Musicali, che lanciò l'idea di un concorso di composizione, e ci propose di eseguire e di registrare le partiture premiate. Nacque così il primo CD della serie "Contemporanea". Da allora, ogni due anni, l'Interensemble è invitato a suonare e registrare le opere premiate ad Udine. Ogni due anni ci sottoponiamo a quello che è una specie di "tour de force," perché le partiture sono quasi sempre ostiche e al limite dell'ineseguibile. Così abbiamo registrato con TEM ormai 7 CD della serie, l'ultimo dei quali è Contemporanea 2010, e nel frattempo il Concorso di Udine è diventato davvero una realtà internazionale, tanto che all'edizione 2010 hanno partecipato circa 500 compositori da tutto il mondo. Per alcuni anni ho fatto anche parte delle giuria del concorso, e mi sono reso conto di quanta "pura accademia" venisse spacciata per musica dai compositori che vi partecipano. Partiture magari di una perfezione e bellezza grafica assoluta, ma che "non suonano". Virtuosismi esecutivi richiesti agli interpreti per il puro gusto della difficoltà. Quest'esperienza di ormai 15 anni è stata però estremamente importante per noi, perché ci rendiamo conto dello "stato delle cose" e anche di quali sono le cose da evitare se veramente si vuole comunicare con la musica. I pezzi che si sono poi sedimentati e sono entrati a far parte del nostro repertorio non sono più di tre o quattro su circa 60 eseguiti e registrati.

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