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Intervista al Conductus Ensemble. Conversazione con Marcello Fera.
ByConductus Ensemble: L'ensemble si è formato tra il '98 e il '99. In quel periodo si concludevano per me due esperienze professionali parallele che mi avevano assorbito fin dall'inizio degli anni '90: la direzione di una piccola orchestra per turisti e la cura di un quartetto vocale/strumentale con cui, leggermente in anticipo sui tempi, praticavamo un melange piuttosto forsennato di generi musicali. Entrambe le formazioni avevano la caratteristica da me sentita sia come stimolo che come limite, di essere piuttosto distanti dall'ambiente in cui mi ero formato e così la scelta di fondare un ensemble d'archi è stata per certi versi un "ritorno a casa". I membri dell'ensemble dal canto loro erano tutti giovanissimi, appena usciti dal conservatorio, e Conductus offriva loro la possibilità di praticare musica da camera secondo una prospettiva e uno stile di lavoro inedito rispetto sia ai modelli ricevuti a scuola sia a ciò che normalmente può offrire un'esperienza di lavoro in un'orchestra d'archi normale.
L'occasione per cominciare è nata dalla consuetudine precedentemente acquisita, di realizzare periodicamente dei concerti per il Comune grazie all'ospitalità di una chiesa cittadina. A questa base si è sommata l'opportunità di due commissioni importanti: un programma dedicato ad Arvo Part sotto la sua supervisione e insieme a Tonu Kalliuste con l'Estonian Philarmonic Choir offertoci da un festival nell'estate del 1999, e quindi la richiesta di un Weihnachtoratorium di Bach da parte della Comunità Evangelica locale, nel dicembre dello stesso anno. In quell'occasione siamo usciti per la prima volta col nostro nome.
AAJ: Come e perché del nome che avete scelto.
C.E.: All'occasione ho già accennato, il nome Conductus è una sorta di punto focale su cui convergono molteplici contenuti e allusioni: è il nome di una forma musicale medioevale (quindi musicalmente parlando, quasi sovra-storica) destinata alle processioni. E' probabile, anche se non so dirti se comprovato, che in molti casi prevedesse la danza e l'uso di strumenti, quindi una forma che nella prassi già travalicava la concezione ritmica, rituale e puramente vocale del cosiddetto gregoriano. Forse una delle prime forme attestate di musica (anche) strumentale e basate sulla pulsazione come la intendiamo oggi in occidente. Inoltre la parola conductus ha a che fare con convogliare, incanalare. Un'idea che è quasi programmatica del nostro lavoro: ricondurre mondi, esperienze molteplici e lontane ad un terreno comune.
AAJ: I presupposti che vi hanno portato a unirvi sono gli stessi sui quali ancora oggi basate il vostro legame?
C.E.: Sì, ancora oggi la consapevolezza e il piacere di lavorare ad un progetto unico, in parte ancora inedito, secondo modalità che sono intimamente legate a quest'esperienza costituisce la motivazione principale del nostro stare insieme. A questo naturalmente si aggiunge la forza di legami personali consolidati, la condivisione di una storia comune e le soddisfazioni professionali che questa storia ci ha dato.
AAJ: Per quanto riguarda il repertorio, come lo scegliete e come lavorate per l'esecuzione... magari potete raccontarlo a partire da un progetto che avete realizzato che vi sta particolarmente a cuore.
C.E.: Le scelte di repertorio sono di mia competenza, anche se a volte possono essere suggerite dai compagni o richieste da occasionali committenze. Oppure dal desiderio di collaborare con altri artisti e quindi di entrare in contatto con il loro mondo espressivo. In generale però ogni programma viene fuori con un carattere che ci identifica piuttosto chiaramente. Direi che in generale evito scelte che sarebbero ovvie per una formazione come la nostra e quando al contrario affrontiamo singoli brani che vanno in questa direzione sono comunque inseriti in un contesto che ne scardina l'ovvietà. C'è poi una presenza quasi costante di composizioni mie o di elaborazioni di materiali popolari che probabilmente assolvono al doppio ruolo di decontestualizzare ciò che è "dato" e di contribuire al carattere identificativo di cui parlavo.
AAJ: Che cosa vi interessa maggiormente mettere in luce della musica del Novecento? Quali sono gli aspetti sui quali voi come Ensemble ritenete di dover maggiormente lavorare?
C.E.: Più che di musica del Novecento parlerei di musica contemporanea. Per semplificare mi diverte far riferimento a due frasi (vado a memoria) un po' tranchant di Strawinsky: la musica contemporanea è quella che si ascolta e si suona oggi e di Frank Zappa sono un decoratore del tempo.
Le cito per diversi motivi: per il carattere desacralizzante rispetto ad un ambiente che ha vissuto (ed è anche quasi morto) di una sacralità idolatrica, perché condivido l'idea di sincronismo storico che, se già era percepito da Strawinsky 80 fa, è un dato oggi più che mai ineludibile, perché la facoltà di abitare, costruire, esplorare il tempo vivo, facendone qualcosa che è assolutamente originale rispetto all'esperienza che se ne ha nel quotidiano, è, a mio avviso, la caratteristica fondante del nostro lavoro, in tutte le epoche. Detto questo mi sento assolutamente equidistante ed eccentrico rispetto alla querelle falsamente attuale, che in realtà va avanti da almeno 30 anni, tra i sacerdoti della radicalità (strutturalista o anarchica che sia) e i banalizzatori del tutto equivale a tutto. Il pensiero di Cage prima e l'evidenza della realtà poi, hanno segnato irreversibilmente l'emergere di qualità inevitabilmente antigerarchiche, "democratiche," degli eventi sia sonori che musicali. Oggi non credo che si possa più parlare di musica contemporanea ma semmai di musiche contemporanee...
Questo non significa che tutto si equivale ma che ciò che conta è la nostra prospettiva d'ascolto, le nostre scelte. Scelte che hanno a disposizione oggi un campo sterminato di proposte rispetto al passato. E' da qui che partiamo e se anche mi rendo conto che rispetto alla tua domanda può apparire un po' generico. Il Novecento ha aperto una enorme quantità di prospettive i cui frutti sono in larga parte ancora da raccogliere. Aspetti che riguardano tanto la prassi interpretativa quanto la coscienza del ruolo del musicista, sia sul palco che nella vita... ne approfitto per aggiungere che considero parte della produzione novecentesca e contemporanea anche il campo aperto dall'interpretazione della musica antica e barocca su strumenti originali: de facto questa prassi, al di là degli aspetti modaioli, ha introdotto nuovi timbri, nuove pronunce e in un certo senso anche nuove musiche (perché riportate alla luce dall'oblio) andando a coprire con un gesto sostanzialmente creativo, anche se non coscientemente tale, il vuoto creatosi dalla rottura di fiducia tra pubblico e "accademia delle avanguardie". Questo ruolo di supplenza è stato sicuramente assolto anche dalle varie declinazioni di musiche "di popolo" e per alcuni aspetti, dal jazz.
AAJ: Cosa significa per voi improvvisare? L'improvvisazione è una pratica del vostro fare musica insieme? Nel caso, come avviene e quanto peso ha nel vostro lavoro?
C.E.: Alcuni di noi hanno esperienze nel campo dell'improvvisazione relative a generi musicali differenti. Lo spazio dato all'improvvisazione nel repertorio dell'ensemble è purtroppo minimo, si limita ad alcune sezioni solistiche o a piccole strutture poliritmiche. Dico purtroppo perché si tratta di una delle "buone intenzioni" finora mai messe in pratica. Per quanto mi riguarda l'improvvisazione ha avuto un peso molto importante nella mia formazione e nella mia attività solistica. Sono partito da un'idea e da una pratica rigorosamente free, cercando nell'improvvisazione il luogo del tutto possibile, tutto permesso, forse illusoriamente "oltre il sé". Questo solo mi interessava. Nel tempo posso dire di aver (come tutti) codificato una sorta di "repertorio" sia espressivo che di frammenti strutturali, quindi il mio improvvisare di oggi ha più a che fare col lavoro su canovaccio che con un'eruzione di libertà. Ad ogni modo, pur ammirando chi lo sa far bene, non prendo in considerazione o quasi, l'improvvisazione "di genere".
AAJ: ... e per quanto riguarda l'elettronica?
C.E.: Poca o nulla. Abbiamo fatto alcuni lavori che ne prevedevano l'uso, anche consistente, vorrei a questo proposito citare il nome del torinese Andrea Chenna, di cui abbiamo eseguito una splendida riscrittura del schubertiano Winterreise in cui l'elettronica è preponderante. Ma in generale non è mai diventato un nostro strumento. Scherzando ci diciamo che siamo un gruppo "bio". Quando le condizioni lo permettono ricorriamo invece all'amplificazione, che se usata come vero strumento per agire sulla prospettiva del suono, amo molto, ma motivi sostanzialmente economici e organizzativi non ne hanno mai reso possibile un uso sistematico e approfondito.
AAJ: Essendo All About Jazz una rivista dedicata al jazz, quanto pensate il vostro lavoro abbia a che fare con questo genere? Che cosa vi interessa in particolare del jazz?
C.E.: Beh, una delle prime produzioni Conductus fu un progetto con Maria Pia de Vito e lo scorso maggio abbiamo cominciato una collaborazione con Gabriele Mirabassi che prevede degli sviluppi interessanti, così come abbiamo più volte collaborato con Michael Loesch e Helga Planckensteiner...
Per uno strumentista ad arco credo che imparare la responsabilità ritmica sia delle pronunce che nell'organizzazione delle frasi sia fondamentale. E sono cose che nei conservatori mi sembra vengano ignorate. Almeno era così ai miei tempi. E' il campo su cui credo di aver lavorato di più con l'ensemble anche se non ancora con i risultati che avrei voluto raggiungere. Un altro aspetto che ci avvicina forse un po' al jazz è il modo in cui lavoriamo sui pezzi. Cerchiamo un approccio concreto, pragmatico e fisico alla scrittura, lasciando il più possibile aperti all'improvvisazione e alla realtà del concerto gli aspetti riguardanti dinamica e timbro e, nelle parti solistiche, anche le pronunce. Questa libertà ovviamente si può perseguire laddove la partitura lo consente ed è, per esempio, una caratteristica dei miei pezzi. Il jazz oggi, e lo dico da ignorante, da uno che lo frequenta solo sporadicamente e quasi per caso, mi pare una realtà molto diversa da ciò che per ottant'anni si è inteso con questo nome. Credo che da una parte si siano aperti spazi molto stimolanti, di zona franca, per il lavoro creativo di strumentisti/compositori e dall'altra esista il pericolo di involuzioni verso un accademia manierista del tutto analoga a quella in cui si sono costretti gli interpreti legati alla musica classica.
AAJ: Portate avanti un lavoro teorico (letture, discussioni sulla metodologia, studi o ricerche, seminar) a livello di Ensemble oppure la formazione e la ricerca sono un percorso individuale da condividere solo in un secondo momento insieme?
C.E.: Sì, la formazione e la ricerca seguono percorsi individuali, che per fortuna ci sono e portano nel nostro lavoro comune contributi importanti.
AAJ: Qual è il campo di ricerca musicale imprescindibile per un ensemble che si occupa di musica contemporanea?
C.E.: Come forse si è già intuito noi non siamo un ensemble specializzato in musica contemporanea in senso stretto. Se lo fossimo potrei rispondere che gli aspetti imprescindibili sono molti, dalla conoscenza approfondita delle scritture non convenzionali, alle tecniche di improvvisazione, l'esplorazione del repertorio delle avanguardie storiche, le posizioni estetiche delle scuole e dei compositori a queste relativi ecc... Noi non abbiamo la pretesa di rappresentare un punto di riferimento per un campo di interpretazione, miriamo piuttosto a portare il nostro contributo "particulare" tra quello che si muove oggi nella creatività musicale e interpretativa.
AAJ: Lavorate anche per fare formazione ai giovani? È importante e in quale misura il coinvolgimento delle istituzioni (conservatori, scuole musicali ect.)?
C.E.: No, molti di noi sono insegnanti negli Istituti musicali che qui hanno tutto un altro peso rispetto al resto d'Italia ma come Ensemble non si è mai profilata una collaborazione con le istituzioni scolastiche.
AAJ: Nei vostri concerti eseguite autori contemporanei, ma anche pezzi vostri. Come costruite un concerto e attorno a quali aspetti puntate maggiormente?
C.E.: Penso di aver già in gran parte risposto nella domanda relativa al repertorio. Aggiungerei che per tutti noi è estremamente importante l'aspetto della comunicazione. Pulsioni, idee, emozioni, in una parola vita, fanno indiscutibilmente parte della narrazione musicale, che è sempre tale anche quando programmaticamente lo nega. Il vantaggio della musica rispetto alle altre forme di linguaggio è che il lavoro "costruttivista" da parte di chi la recepisce è molto più importante e quindi il messaggio più multiforme, imprendibile. Anche se contemporaneamente preciso. E' il suo mistero.
AAJ: Il pubblico è importante? E in che forma, dimensione, misura...?
C.E.: E' fondamentale. Ma non perché vada compiaciuto o contraddetto. Semplicemente perché è un attore reale del concerto. Non si dà relazione senza interlocutore.
AAJ: Vi appoggiate ad una casa discografica? Ne avete fondata una vostra?
C.E.: No, abbiamo pubblicato per Bottega Discantica e per RAI Trade ma i lavori più rappresentativi li abbiamo prodotti in casa con estratti dai concerti. Proprio in casa: computer e stampante...
AAJ: Dal punto di vista economico, come avete provveduto fino ad ora a finanziare i vostri progetti? Quali margini di autonomia avete rispetto a chi/coloro che vi sovvenziona/no?
C.E.: Circa 60% soldi pubblici e 40% incarichi, sponsor, mecenatismo. L'autonomia è totale.
AAJ: Pensi che ci sia una politica in Italia attenta agli Ensemble e/o su cosa dovrebbe sostenere realtà come la vostra la politica (locale, nazionale)?
C.E.: E' noto che in Italia la situazione sia desolante, non solo per gli ensemble, ma per la musica in generale. L'Alto Adige per fortuna fa eccezione, ci sono più risorse e vengono distribuite con un certo senno. Non avrei potuto realizzare in altre parti del Paese quello che ho fatto qui. Detto questo facciamo fatica ad avere interlocutori, tra gli amministratori, che ad esempio sappiano distinguere tra una tra un'associazione che produce, come la nostra, e una che semplicemente ospita concerti. E non è possibile far riconoscere il proprio status professionale rispetto ad associazioni che organizzano il tempo libero.
A livello nazionale, data per persa ogni speranza di sostegno pubblico, aiuterebbe già molto che fiscalità, previdenza e burocrazia attualmente regolate sulle grandi istituzioni, prendessero atto della specificità di realtà più piccole che non sono equiparabili a enti lirico-sinfonici o ai grandi festival e che rappresentano un motore fondamentale per la vita culturale italiana. E poi, dopo trent'anni che ipocritamente si invoca l'intervento dei privati nel sostegno alla cultura, che ci si decidesse a renderne davvero realistico l'impegno. Non si è stati capaci di rendere detraibili le sponsorizzazioni col risultato che uno sponsor o ti fa l'elemosina perché gli sei simpatico oppure devi essere un divo che gli garantisce un ritorno in termini pubblicitari. La via di mezzo non c'è. Per non parlare di una legislazione che punisce sistematicamente la libera iniziativa dell'operatore culturale e l'acquisizione di aiuti privati.
AAJ: Un ensemble è un archivio di memoria storica musicale oppure, diversamente, lavora sul vivo della musica intervenendo nella quotidianità in tempo reale?
C.E.: Penso che i due aspetti, in una certa misura, possano convivere.
Nel nostro caso convivono anche se la mia sensazione è che sia decisamente prevalente il secondo aspetto. Starei comunque attento a non enfatizzare troppo concetti come quotidianità o tempo reale, nel senso che sono accezioni oggettivamente relative, rispetto al policentrismo assoluto del nostro presente. Cosa si può considerare oggi, veramente rappresentativo dello "spirito del tempo": il grande centro di ricerca musicale parigino? Le discoteche più underground o quelle più "in" di mezza Europa? Il mega festival di "musiche del mondo" o quello che ecumenicamente dà conto di mille generi? Il cervello di un oscuro compositore ancora da scoprire o la grande pop star "intellettuale" che mette d'accordo professori e teenager?
Se vogliamo essere seri, una risposta non c'è.
Siamo di nuovo alla citazione di Strawinsky... aveva visto lungo. Sono queste e molte altre opzioni insieme che formano il nostro quotidiano musicale e a me, semplicemente, interessa stare dalla parte di chi inventa e produce piuttosto che da quella di chi consuma e riproduce. Se ci sta, mi permetto anche una divagazione fuori tema sul concetto di tempo reale: è possibile che non esista, ma sicuramente, se c'è, sono pochissimi i momenti i cui nell'esperienza comune lo si percepisce. Per esempio durante una caduta o un incidente automobilistico, a volte facendo l'amore. Ai musicisti è dato durante l'esecuzione musicale, se sussistono lo stato di "rischio" e "verità" sufficienti.
AAJ: Il vostro ensemble è composto da un nucleo stabile di 12 archi. In cosa siete simili o eventualmente diversi dagli altri ensemble di musica contemporanea italiani?
C.E.: Intanto il tipo di organico è inconsueto per la musica contemporanea che di solito prevede organici più variegati. Poi credo che una nostra particolarità sia legata al rapporto con l'invenzione musicale: Conductus non è né un gruppo che si mette incondizionatamente "a disposizione" per rappresentare la produzione contemporanea né è tout court lo strumento per eseguire le musiche del sottoscritto. Il nostro repertorio è particolare anche se spiegarlo in due parole è sempre difficile.
Si può riassumere un po' sbrigativamente insistendo sulla compresenza di antico e contemporaneo "popolare" e "colto," ma può essere fuorviante perché detta così, può richiamare più una moda che l'originalità di una posizione. Per quanto riguarda le possibili somiglianze si possono sicuramente trovare punti di contatto con altre realtà. Se devo far nomi mi vengono in mente per es. Sentieri Selvaggi di Milano e l'Ensemble Kaleidoskop di Berlino. Ogni tanto trovo "tracce" comuni, nelle esperienze altrui e credo che in generale siano in aumento gruppi che percorrono strade parallele alla nostra.
AAJ: Nel vostro profilo si insiste sul fatto che i vostri lavori ruotino attorno a dei "temi," piuttosto che dei compositori. Credo che questo aspetto sia molto interessante e meriti di essere approfondito.
C.E.: Ecco, questo è un aspetto, per esempio, che vedo diffondersi sempre di più in altre realtà e che sempre più frequentemente si rintraccia nella pianificazione di festival e stagioni. In sé non è una necessità insita nel far musica, ma personalmente considero preziosa l'opportunità, attraverso progetti musicali, di stimolare riflessioni intorno a punti di vista o di proporre percorsi di lettura sulla realtà in cui viviamo, siano questi percorsi poetici o concettuali. E' un atteggiamento che mi ha sempre istintivamente accompagnato, un approccio per me naturale. Bisogna però tener conto che comporta almeno un paio di pericoli: uno è quello che certe intenzioni possano rivelarsi troppo superficiali, semplicemente pretestuose, l'altro, su cui rifletto da un po,' è quello che il muoversi intorno a delle idee possa diventare un muoversi dietro o meglio un nascondersi dietro, musicalmente parlando. Immettere, costruire senso nel mondo e per le nostre vite, credo che sia lo scopo più importante di chi fa arte e di chi la organizza. Ma questo è uno scopo che si può raggiungere benissimo anche rimanendo al puro fatto musicale, alla pura forza erotico-poietica del concerto. Quello che davvero è mortifero è fare le cose per consuetudine, nell'idiota confronto agonistico con la tradizione interpretativa consolidatasi attorno a un repertorio reiterato all'infinito, questo proprio non m'interessa.
AAJ: Nel vostro repertorio presente e passato musicale spesso si intersecano in modo proficuo e interessante. Penso ad esempio al progetto Il suono e la parola o al CD Sacrae Cantiones (anchse se forse sviluppato con presupposti diversi).
C.E.: Per rispettare i classici bisogna fottersene mi pare dicesse più o meno Carmelo Bene. Contrariamente a quanto possa sembrare, questa frase invita a mettersi in gioco nel confronto diretto col meglio che ci viene dal passato. Senza nascondersi vigliaccamente dietro ad attributi adulatori come sublime, inarrivabile, immortale che comunemente affibbiamo ai grandi maestri. Accostare la contemporaneità al patrimonio del nostro passato genera inevitabilmente prospettive nuove che illuminano di significati inattesi tanto quel patrimonio quanto le proposte che gli vengono affiancate. Personalmente non ho alcun interesse a congetturare su quale sarà la durata nel futuro di un nuovo lavoro, o sulle ragioni che hanno determinato la longevità di un classico. Quello che ritengo fondamentale è ciò che mi pare vitale, utile alla vita, oggi.
In Sacrae Cantiones il confronto non era con gli autori, ma con alcune forme del passato. Qui il discorso è un po' più sfumato e forse complesso. C'entra il mio approccio alla scrittura e al tema affrontato -quello della musica sacra. Mi sa che qui non ci sia lo spazio per dilungarmi a questo proposito.
AAJ: La vostra attività concertistica dal vivo è di gran lunga superiore e più fiorente di quella di esecutori "da studio". Sono infatti relativamente poche le vostre incisioni. Casuale? Avete altri progetti? Frutto di una certa politica?
C.E.: Questa cosa dipende dalla posizione assolutamente particolare nella quale ci troviamo ad agire.
Noi abbiamo un'attività prevalentemente "stanziale" e siamo una realtà produttiva. Vale a dire che agiamo per un pubblico relativamente ristretto di fronte al quale ci presentiamo di frequente. E' l'esatto contrario di ogni buon senso economico perché siamo costretti a produrre continuamente nuovi progetti che si esauriscono in poche esecuzioni. Normalmente si mette in piedi un programma e lo si porta in giro per il mondo ottimizzando e ammortizzando l'investimento. Noi non possiamo agire così perché non abbiamo né rappresentanza né una rete di contatti sufficiente a garantirci delle tournée e così, siccome la nostra posizione locale ce lo permette, dobbiamo produrre continuamente. Questo fa sì che non abbiamo proprio il tempo materiale per produrre CD! Ora le cose per noi stanno cambiando ma resta il fatto conclamato che oggi, senza un'adeguata promozione, non è più una registrazione che ti fa vendere dei concerti ma semmai il contrario. Comunque abbiamo parecchio materiale registrato dal vivo che stiamo preparando per la diffusione in rete, un DVD che dovrebbe esser pronto per Natale e progettiamo un paio di CD con etichette di rilievo che spero si concretizzino nel giro di due anni.
AAJ: Su quali progetti state lavorando recentemente?
C.E.: Attualmente il lavoro più intenso e emozionante, forse, è U cantu di l'acqua, che quest'estate è stato presentato e trasmesso da Radio France. E' il frutto di una collaborazione con gli straordinari cantori corsi di A Filetta, in evoluzione da tre anni e che dovrebbe raggiungere la forma definitiva la primavera prossima. Poi abbiamo in cantiere un programma con Gabriele Mirabassi con brani del compositore (e jazzista) brasiliano André Mehmari, del sottoscritto, di Marco Decimo e di Mirabassi stesso. Quindi la ripresa di 6° Zona, una sorta di oratorio o grande melologo sulla resistenza che è già stato portato in tournée quest'estate e infine, la programmazione della nostra stagione concertistica: SONORA 2012 su cui non posso ancora fare anticipazioni per prosaiche questioni di bilancio...
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