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Intervista a Maurizio Brunod

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"Camaleontico," si definisce Maurizio Brunod, quarantunenne chitarrista di Ivrea, per la sua esigenza di suonare con musicisti diversi e su repertori che spaziano dall'avanguardia alla melodia, dai ritmi nordici a quelli latini. E certo, ascoltando i suoi lavori più recenti - Northern Light in solo, Svartisen in quintetto con John Surman, Jeux d'Enfants in quartetto con Enzo Favata, Marmaduke ancora in quartetto con Alexander Balanescu - non si può che concordare con questa autodefinizione.

Eppure, Brunod conserva una sua precisa identità, proprio grazie al suo continuo confronto con il nuovo. Ecco la conversazione che abbiamo intrattenuto con lui.

AAJ: Come hai iniziato la tua carriera musicale?

M.B.: Ho cominciato a suonare le chitarre giovanissimo, ascoltando soprattutto rock. Ma attorno ai diciotto-diciannove anni iniziai ad ascoltare un po' di jazz, soprattutto d'avanguardia. Così, assieme a Massimo Barbiero, mi recai a conoscere il CMC, Centro di Musica Creativa di Torino, capitanato da Carlo Actis Dato e Claudio Lodati - che poi erano anche i fondatori dell'Art Studio, storico gruppo degli anni Settanta del jazz d'avanguardia.

AAJ - Quindi, hai iniziato assieme a Barbiero?

M.B. - Sì, le prime cose le abbiamo fatte assieme. Così come, di lì a poco, fondammo assieme Enten Eller. Nel gruppo originale c'era anche Actis Dato, ma già nella prima tournée incontrammo, tra il pubblico, Giovanni Maier: fu amore a prima vista ed entrò subito a far parte della formazione. Portando innanzi tutto le sue capacità e il suo entusiasmo, ma dando anche una spinta in più in termini di stimolo, perché per noi avere un musicista che se ne partiva dal Friuli per raggiungerci a suonare in Enten Eller fu una ragione in più per credere nel progetto.

AAJ: E poi Maier è un musicista dal grande rigore e dallo spiccato senso per la ricerca...

M.B.: ...infatti ci trovammo subito benissimo, e non è un caso che la collaborazione sia andata avanti per tutto questo tempo. Per rimanere a quegli anni, proprio Claudio Lodati mise in piedi un nuovo gruppo e chiamò proprio me, Massimo e Giovanni alla ritmica: da lì che nacquero tournée, dischi (ne ricordo alcuni con Maria Pia De Vito e con Antonello Salis), idee che poi sviluppammo anche in seguito... Insomma, potrei dire di aver avuto un inizio "col botto"!

AAJ: Quindi, a parte un po' di "ascolti," come musicista ti sei mosso fin dall'inizio nel mondo del jazz, senza passare da esperienze rock?

M.B.: Sì, al massimo qualcosa nel rock progressivo, con qualche band che cercava di emulare i Genesis e i King Krimson, ma non in termini professionali. L'avventura professionale si è avviata con la CMC e con le cose messe in piedi assieme a Massimo Barbiero. Poi Enten Eller è andato avanti, ha mutato formazione includendo anche Alberto Mandarini - che ormai è con noi da quindici anni - e ha accolto moltissimi ospiti: da Giancarlo Schiaffini a Lauro Rossi, da Achille Succi, fino a Tim Berne e - nel prossimo lavoro - Javier Girotto.

AAJ: Quella di Enten Eller mi sembra una musica con una cifra assai caratterizzata, eppure sempre molto "inattesa". Una musica creativa e orientata verso il nuovo, però non eccessivamente "cerebrale".

M.B.: È una musica per noi molto spontanea. Con molti pezzi che hanno una componente melodica, perfino "epica," probabilmente dovuta alla passione proprio per i Genesis e i King Crimson che è comune a me, Massimo e Giovanni. Grazie alla quale, piuttosto che al free, siamo approdati a un jazz un po' "psichedelico".

AAJ: Certo, questo è un elemento comune che probabilmente favorisce la sintesi delle specificità che sono proprie di ciascuno dei membri del gruppo.

M.B.: Lavoriamo poco, facciamo pochi concerti all'anno, anche perché ciascuno di noi ha molti altri progetti in corso. Però, quando ci incontriamo l'interazione è sempre molto forte. È un gruppo che è sempre piaciuto molto anche alla critica, oltre che al pubblico.

AAJ: Effettivamente siete tutti iperattivi...

M.B.: Sì, è vero. Per quanto mi riguarda la ragione sta nel fatto che sono curioso: ho sempre ascoltato, e poi anche suonato, un sacco di musica diversa - e anche chitarre diverse. Per cui, mi sono sempre ritrovato con sette o otto progetti in piedi contemporaneamente, con repertori che vanno dall'avanguardia al latin. Che devo fare, mi piace così... Anche se poi è molto complesso mantenere lucidità e concentrazione, studiare con attenzione tutti i diversi strumenti e repertori.

AAJ: Ma c'è un comun denominatore?

M.B.: Direi di sì: l'improvvisazione.

AAJ: Personalmente osservo che - almeno nei lavori degli ultimi due o tre anni - al cambiare dei contesti nei quali sei impegnato sei sempre in grado di conservare una tua identità piuttosto ben identificabile. Suoni da solo, e sei tu; suoni con Balanescu e Cojaniz, e sei ancora tu; suoni in Enten Eller, e sei sempre tu; suoni nei gruppi latini, e rimani ciononostante te stesso.

M.B. - Ti ringrazio, perché per me quella che dici è una bella cosa. Pur essendo sempre stato molto istintivo e passionale, e pur essendo - come dicevo prima - curioso e onnivoro, perciò poco identificato su un solo ambito, in effetti cerco sempre di mettere il mio modo di fare musica nei diversi contesti. Forse la cosa mi riesce meglio grazie al lavoro che ho sempre svolto sulla chitarra sola: ho fatto decine e decine di concerti in tutta Europa, oltre quattro album registrati. Si tratta di un lavoro impegnativo, che mi piace molto, ma soprattutto che ha sempre contribuito a farmi crescere. Vi mischio chitarre acustiche ed elettriche, e ne tiro fuori tutte le sonorità che sento mie.

AAJ: Anche nell'ultimo Northern Light esce fuori un musicista dalle molte facce, sebbene il disco abbia una sua logica molto coerente. Forse questo tuo modo di lavorare "con te stesso" in molte direzioni diverse può effettivamente favorire la tua capacità di mantenere unità di stile e identità anche quando ti trovi a mutare radicalmente compagni di strada e repertori.

M.B.: Quello del solo è stato un travaglio lungo, perché i primi lavori erano più elettrici e la sperimentazione era più legata all'overdubbing e ad accessori vari. Man mano - e grazie anche agli incontri con chitarristi acustici come Ralph Towner o Ferenc Snetberger, ma anche all'amore per il jazz modale - sono riuscito a mettere insieme tutti i diversi pezzi, e a collocarli all'interno di un unico edificio. Non è stato facile, ma ne sono molto soddisfatto.

AAJ: Northern Light e Svartisem, i tuoi ultimi lavori, richiamano entrambi al nord: è la tua attuale sensibilità o c'è di più?

M.B.: In primo luogo va detto che ho sempre amato molto non solo il sound nordico, ma anche il nord come luogo geografico: da ragazzo giravo la Norvegia con l'Interrail, magari ascoltandomi in cuffia Jan Garbarek, John Surman e Terje Rypdal. Assieme a quella latina, quella nordica è la cultura musicale che più mi ha influenzato. Per cui, dopo tanti anni, incidere un disco a Oslo, al mitico Rainbow Studio, assieme ad amici che non rivedevo da anni, a musicisti ben noti in Norvegia e a Surman, è stato il coronamento di un sogno.

Poi, va aggiunto che io mi sento comunque di appartenere al nord, perché sono nato e vivo a due passi dalla Valle d'Aosta, quindi a livello di sensibilità, cultura gastronomica, luci, sono un uomo del nord. Northern Light in inglese vuol dire "aurora boreale," però più in generale vuol dire "luci del nord"... cose di casa mia! E anche i titoli dell'album rispecchiano tutto questo - e rispecchiano anche altro, la mia storia, che include anche cose di genere abbastanza diverso...

AAJ : Per rimanere alle tue cose più recenti, mi piacerebbe che ci dicessi qualcosa di Jeux d'Enfants e di Marmaduke.

M.B.: Jeux d'Enfants è un lavoro registrato assieme a Daniele Di Bonaventura ed Enzo Favata dopo un periodo di conoscenza e collaborazione, ma che non documenta un gruppo che fa concerti e tournée. È stata una bellissima esperienza, per la quale ho scritto della musica apposita, ed è anche stata l'occasione per dar vita ad altre esperienze assieme a Favata: sono infatti tornato da poco da una tournée africana, in Togo, proprio con lui, U.T. Gandhi e Danilo Gallo. E ancor più recentemente sono stato in Sardegna a registrare con Enzo in duo, una cosa molto progressive, perché anche lui è appassionato di progressive rock.

Marmaduke nasce dopo la conoscenza di Alexander Balanescu, alcuni anni fa in Sardegna - dove facemmo alcuni concerti ancora con Favata e Zlatko Kaucic. Visto che era nato un certo feeling, gli chiesi se era disposto a registrare qualcosa, cosa avvenuta lo scorso anno con Massimo Barbiero e Claudio Cojaniz. Il disco l'abbiamo registrato in quattro ore, senza nessuna struttura a tavolino, in una bellissima atmosfera. Con Cojaniz ci conosciamo in realtà da molti anni, ma questa è la prima volta che registriamo assieme. Il disco ha ricevuto grandi giudizi dalla critica e stiamo facendo diversi concerti, siamo molto contenti. Peccato che, nonostante recensioni perfino imbarazzanti quanto ad elogi, sia stato clamorosamente dimenticato dalle classifiche dei dischi dell'anno...

AAJ - Beh, questo è un vecchio discorso...

M.B. - Sì, purtroppo. Non che non ci dorma la notte, ma tutto sommato mi sembra che, nonostante le molte ed apprezzate cose che faccio, rimanga sempre un po' marginalizzato. Quest'anno, ad esempio, ho inanellato tre dischi di una certa qualità - Northern Light in solo, Svartisen con John Surman e Marmaduke con Balanescu - eppure l'attenzione della critica e dei media si sofferma sempre sui soliti noti...

AAJ: Hai altri progetti per cercare di "sfondare" anche questo "muro"?

M.B.: Ma sì, visto che non mi faccio certo demotivare, anche quest'anno avrei in programma forse addirittura quattro dischi, sempre molto diversi l'uno dall'altro. Il primo è quello in duo con Favata di cui parlavo prima. Poi andrò in sala di registrazione con Enten Eller, assieme a Javier Girotto - una conoscenza recente ma assai ricca di affinità. Poi ho in ballo un progetto con Pierluigi Balducci, contrabbassista barese, e Marta Raviglia, cantante romana talentuosa ed eclettica. Ed infine, dopo quasi vent'anni di interruzione abbiamo rimesso in piedi la collaborazione con il mio vecchio maestro, Claudio Lodati, e dovremmo registrare in duo.

AAJ: Sul versante festival?

M.B.: Domanda dolente! È oggettivamente molto difficile penetrare nelle programmazioni, quelle davvero assediate da una rosa ben determinata di nomi. Non è facile neppure con collaboratori di nome come quelli con cui ho registrato quest'anno. Anche se a novembre sono stato a Padova con Marmaduke e a marzo a Ivrea con Enten Eller e Girotto.

AAJ: Enten Eller è davvero poco presente nei festival...

M.B.: Sì, ma qui credo che il primo motivo sia il fatto che abbiamo tutti molti altri impegni e siamo privi di un agente... In questo modo è davvero casuale che ci capiti di avere una data. Comunque, a luglio saremo in Spagna, vicino a Madrid.

Personalmente, poi, ho qualche proposta per presentare il mio solo.

AAJ - Per concludere: hai realizzato il tuo sogno di registrare un disco in Norvegia, tuo paese d'elezione; hai realizzato quello di registrare con Balanescu assieme al tuo vecchio amico Cojaniz; adesso quale sogno ti resta da mettere in pratica?

M.B.: Mah... non ho grandi desideri... Direi piuttosto che mi aspetto di incontrare musicisti stimolanti - com'è avvenuto negli ultimi anni con Favata, Balanescu, Girotto - e di fare con loro cose interessanti, nuove.

AAJ: Questo tuo interesse verso il "nuovo" piuttosto che verso il "venerato" mi fa pensare ancor più a un musicista "senza maestri," che avanza "sulla strada" ascoltando, conoscendo e crescendo giorno per giorno. Infatti, non mi hai parlato di "miti" o "punti di riferimento," tanto meno tra i chitarristi. È un'immagine che ti senti corrispondere?

M.B.: Beh, sì, sono forse un po' un chitarrista anomalo. Ho sempre ascoltato tantissima musica e direi di essere stato influenzato più da Keith Jarrett o Peter Gabriel che non da un chitarrista in particolare. Però è anche vero che musicisti come Ralph Towner, Egberto Gismonti o Bill Frisell hanno sicuramente avuto una grande importanza per me. Ma non ho mai lavorato cercando di emulare modelli, preferendo rimanere - come dicevi tu - "on the road," cercando di ascoltare, conoscere musicisti e lavorare con loro. Forse è anche per quello che sono così camaleontico!

Foto di Luca D'Agostino (la terza, quarta e sesta).

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