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Intervista a Giancarlo Cardini intorno a John Cage

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Giancarlo Cardini è stato interprete speciale del repertorio pianistico di John Cage. Molti lo hanno potuto conoscere grazie alla pubblicazione del documento sonoro allegato al numero monografico della rivista Sonora. Itinerari oltre il suono nel quale erano stati riprodotti alcuni importanti materiali relativi a "John Cage a Firenze". Nel recente volume di Paolo Carradori, Giancarlo Cardini: la musica, il novecento è dedicato ampio spazio alla figura di Cage, costante punto di riferimento nella poetica di Cardini. Ma non solo.

Lo speciale dedicato a John Cage ci è sembrata una occasione importante per intervistare il pianista fiorentino e riproporre alcune delle sue riflessioni sul compositore americano.

All About Jazz: Per questa intervista dedicata alla figura di John Cage, alla sua personale lettura di questo compositore e alle sue interpretazioni della sua opera, vorremmo iniziare dal rapporto personale che lei ha avuto con Cage.

Giancarlo Cardini: Ho conosciuto John Cage a Milano, alla fine degli anni '70. Successivamente l'ho rivisto a casa sua a New York, e inoltre ho suonato Winter Music insieme ad altri musicisti tra cui David Tudor, grande pianista e collaboratore di Cage, John Tilbury e Frederic Rzewski, sia in Germania che a Roma, con Cage che dirigeva ("dirigeva" non è la parola giusta, fungeva da orologio) simultaneamente un suo pezzo per orchestra.

Poi Cage ha presenziato a due mie esecuzioni delle Sonate e Interludi nel 1984 a Ivrea e Torino (dove mi ha donato una foto con dedica: "to Giancarlo Cardini with admiration, gratitude and friendship") e infine io l'ho invitato a Firenze nel 1992 per un concerto a lui dedicato (registrato su CD), fu una delle sue ultime apparizioni pubbliche, due mesi prima della morte.

AAJ: Nel volume Giancarlo Cardini: la musica, il novecento lei riesce a dare una lettura storica di John Cage, uomo del Novecento e nel Novecento, davvero profonda e convincente, forse perché riesce anche a demistificare questa figura. Qual è l'importanza che Cage ha avuto e ha nella musica contemporanea?

G.C.: Una delle cose fondamentali che ci ha lasciato è l'attenzione per i suoni della vita quotidiana, che per lui sono più vitali di quelli che si sentono in una sala da concerto. La sala da concerto si chiude al mondo, mette una barriera fra sé e il mondo, mentre i suoni della vita non escludono nulla, e inoltre sono sempre imprevedibili, a differenza dei suoni di un pezzo da concerto.

Questo rimane vero nonostante il fatto che Cage si sia adoperato per rendere più sorprendenti i suoni di composizioni scritte per essere eseguite in sale da concerto scrivendo musiche indeterminate (parzialmente o totalmente), ciò che comporta alcune cose importanti. Prima di tutto, l'aspetto di queste opere cambia di continuo, a volte poco altre volte molto. In secondo luogo, è permesso sovrapporre alcuni suoi pezzi, ciò che produce un assemblaggio in cui si perviene alla percezione di un'entità sonora proteiforme, ogni volta un po' diversa. Infine, i suoni e rumori dell'ambiente o anche dell'esterno non sono percepiti più come fonte di disturbo, ma entrano nella cornice dell'arte. E questo vale anche e soprattutto per 4'33''.

Questo però genera una difficoltà. Il pubblico dovrebbe avere la possibilità di assistere ad almeno due esecuzioni del pezzo per avvertire la nozione di processo (un oggetto che si forma nel momento dell'esecuzione, e che non dovrebbe in teoria eternarsi) invece che di oggetto definito in tutti i suoi aspetti una volta per tutte. Solo in questo modo esso può accorgersi della differenza tra i vari esiti esecutivi.

Mi piace ricordare una cosa che Cage ha detto in Silence (affermazione capitale): "vedere le cose direttamente quali sono: effimeramente coinvolte in un gioco infinito di interpenetrazioni". Quindi la multi-attenzione, anche nel senso di non separare l'ascolto dalla visione.

Un'altro contributo fondamentale di Cage, che si lega al suo pensiero anarchico, sta nel fatto di preservare le individualità dei suonatori, sia nelle composizioni da camera che (soprattutto) orchestrali. Lo scopo è raggiunto scrivendo parti, non la partitura, dunque mettendo fuori gioco il direttore dell'esecuzione. Le parti quindi si uniscono insieme secondo una flessibilità e una libertà (relativa) sempre diverse. Cage diceva a questo proposito: "Nessun suono rifiuta di stare insieme a qualunque altro suono. Si potrebbe dire, con una metafora erotica, che tutti i suoni si amano, o perlomeno si accettano, in qualunque combinazione".

AAJ: Tutta l'intervista con Paolo Carradori è permeata da riflessioni che si incrociano inevitabilmente con la figura di Cage, la sua musica, la sua filosofia della musica. Personalmente sono interessata alla questione di 4'33'', alle sue interpretazioni, mistificazioni ed esecuzioni, da quelle idealizzanti a quelle opposte, anti-idealizzanti o "concrete".

Giancarlo Cardini: Vorrei riprende quanto ho già detto nel mio libro:

"Il silenzio è stato celebrato da Cage specialmente con il suo famoso brano 4'33''. Molto è stato scritto su questa composizione, e molte sono state le interpretazioni critiche. La prevalente è quella che - oltre a sottolineare l'aspetto legato allo Zen, la celebrazione del vuoto e quindi del silenzio come controparte ugualmente importante del pieno e del suono - ne mette in rilievo da una parte il legame con l'esaltazione dell'elemento temporale preso come valore in sé e dall'altra la sua caratteristica di mezzo utile ad aprire le porte della percezione ai suoni e ai rumori assunti distrattamente, o non assunti per niente, quelli ambientali, per così dire fuori cornice. Questa interpretazione, che ha una certa tendenza a sublimare (lo Zen, la metafisica) centra sicuramente un aspetto del Silent piece, come a volte viene chiamato 4'33'', ma non ne esaurisce tutti i significati. Io sono convinto per esempio che il pezzo in questione possieda anche e soprattutto un lato ludico, di spettacolarizzazione dell'assurdo, che lo avvicina a certe azioni performative del teatro futurista. Il teatro sintetico, il teatro di varietà, il teatro della sorpresa, come pure agli eventi Fluxus. Mi riesce difficile infatti non scorgere un po' del tanto celebrato humor cageano in questa opera, considerando in essa il suo taglio formale classico in tre tempi, la cerimonia del pianista immobile, inattivo (una sorta di Buster Keaton metafisico) e la collocazione del brano all'interno della sfera sociale dei concerti, seppure d'avanguardia, dove il pubblico, anche quello di addetti ai lavori, non è detto che sia a conoscenza dei presupposti di poetica a monte di ciò che sta ascoltando. Direi infine che, essendo 4'33'' un'opera di fisionomia plurima, un po' ambigua, sono ammissibili di essa interpretazioni opposte, idealizzanti (troppo) da parte di certa critica e più concrete come la mia o quella del pubblico "innocente," che ne coglie benissimo l'aspetto estremistico, trasgressivo, che poi è la violazione, pur fatta ritualmente, del codice concertistico e non solo di quello (io parteggio, inutile dirlo, per l'opzione anti-idealizzante" (Carradori, Giancarlo Cardini: la musica, il novecento, pp. 52-53).

AAJ: Ha eseguito varie volte, e in diversi periodi della sua vita, pezzi del repertorio di Cage per due piani, penso al CD Cage a Firenze insieme a Daniele Lombardi e ad un recente concerto insieme a Emanuele Torquati, Music for Piano 53-68 (1956) e Winter Music (1957). Quali sono le specificità di questo repertorio sul quale è ritornato più volte nel corso della sua carriera?

G.C.: Sui pezzi per due pianoforti, quelli che cita, la particolarità è che le due parti procedono indipendentemente l'una dall'altra, cosicché è molto emozionante suonarli, perché non sai mai quali suoni ti arriveranno dall'altro esecutore.

AAJ: Pensando all'importanza che Cage ha dato al gesto, come si prepara questo tipo di repertorio, che apparentemente smorza un'attenzione estrema sull'esecutore unico? Come lavora con il suo compagno?

G.C.: Non c'è bisogno di lavorare e provare insieme, appunto perché ognuno procede indipendentemente.

AAJ: Ha scritto un articolo a mio avviso molto interessante sul concetto di "alea" nella musica per piano di John Cage ["Gli usi dell'alea nella musica pianistica di Cage" in AA.VV. John Cage, Lucca 2003]. Mi pare necessario tornare ancora su questo tema, provando a illustrare quale significato gli abbia dato Cage e quale esso abbia poi avuto successivamente nella ricezione della sua musica.

G.C.: Rimanderei ancora a quanto dico nel volume: "Secondo Cage, e anche Feldman, il materiale sonoro è stato assoggettato, dai compositori classici, al dominio dei concetti di ordine, organizzazione formale, architettura discorsiva, concetti estranei alla vita interna del suono. Il proposito di creare una musica esente da un marchio riconoscibile di un compositore è stata una grande utopia, molto questionabile sia nelle premesse che nei risultati. Se si era fedeli alle premesse non si dovevano firmare i pezzi, come aveva pur fatto un altro compositore americano, Lukas Foss, in occasione di una parte del suo lavoro indeterminata, quindi non autoriale. È stato contradditorio battersi per una musica anonima per poi assistere alla costruzione del mito Cage, o del mito Feldman, cioè due figure presentate come grandi compositori. Ognuno con un proprio stile personale (contraddizione evidente!). Devo dire che il fatto di cogliere una nota personale nelle musiche di questi due compositori - nota personale che senz'altro c'è, soprattutto in Feldman - è un fatto positivo, mentre in Cage è ancora aperta la questione quanto Cage c'era nelle opere firomate Cage e partorite dal caso. Ma l'impersonalità è forse un difetto? Di solito un artista impersonale è un epigono, un mediocre. E con molta sincerità devo riconoscere che ci sono opere di Cage molto impersonali che non sanno di nulla, come le Musics for Piano 1-84. L'impersonalità si è vendicata... Aggiungerei questo: il compositore, nella storia musicale, ha sempre proceduto per scelte, non si è mai accontentato della prima soluzione, ma ha lavorato di cesello, modificando, aggiungendo, togliendo. [...] Torno un momento sulle Musics for Piano 1-84 di Cage, che consistono in note singole prive di sintassi, durata, intensità. Qui la rinuncia a istituire delle relazioni tra suoni è esiziale, e si traduce purtroppo nell'insignificanza. Ma si sa che a Cage, come già detto, i risultati non interessano, e qui il discorso si arresta." (Carradori, Giancarlo Cardini: la musica, il novecento, pp. 62-64).

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