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Intervista a David Tronzo (parte prima)
Byla prima volta che ci ho provato si è rotta la prima corda e mi si è infilata nella mano, me la son dovuta cavar fuori... e questa è la prima lezione che impari sulla musica: che è un'esperienza molto dolorosa [ride], che fa male... Dovrai sputare sangue.
Da allora David vive a Newmarket, nel New Hampshire, insegna chitarra al Berklee College of Music di Boston e partecipa a progetti di altri amici musicisti, in particolare a quelli del bassista Mike Rivard e del suo gruppo Club D'Elf, uno dei segreti meglio custoditi della nuova musica americana. Senza dimenticare le sua collaborazioni con il bassista genovese trapiantato a New York Giacomo Merega e con il gruppo dell'eterno batterista Jerry Granelli.
Da molti anni non escono dischi a suo nome e questo è un chiaro segnale di come il merito sia una componente sempre più trascurata dalle case discografiche. Al di là di tutto, in questa intervista Tronzo racconta cose molto interessanti e quindi crediamo sia finalmente giunto il momento di pubblicarla, approfittando anche del decennale di All About Jazz Italia. Abbiamo deciso di non fare edit per attualizzarla. Meglio lasciarla così com'era nella sua spontaneità, una chiacchierata fra un grandissimo musicista e quattro giornalisti alle prese con un web magazine nato da pochi mesi. Buona lettura.
(Maurizio Comandini)
David Tronzo è stato intervistato a Tivoli da Maurizio Comandini (con l'assistenza fotografica di Claudio Casanova) ai primi di Luglio del 2001 e nuovamente a Saalfelden a fine Agosto dello stesso anno. In questa seconda occasione l'intervista era condotta da Maurizio Comandini, Luigi Santosuosso e Francesco Bigoni, con Claudio Casanova nei paraggi. Erik Bjorkland ha curato la trascrizione dalla registrazione originale su cassetta. La traduzione dall'inglese è invece di Stefano Commodoro.
Parte prima
All About Jazz: David, parlaci dei tuoi inizi, perché non ci sono in giro molte informazioni sul tuo conto.
David Tronzo: Sono nato a Rochester, nello stato di New York, Stati Uniti, che è a 400 miglia a nord di New York... e nella casa dove sono cresciuto non c'era molta musica... in compenso c'erano molte espressioni di arte visiva. Eravamo tutti artisti, incluso il sottoscritto, ma ho cominciato ad interessarmi di musica intorno agli undici anni: ho sentito un brano di chitarra, non sapevo cosa fosse ma mi prese così tanto che cominciai...
AAJ: In che anno sei nato?
D.T.: Nel '57.
AAJ: Ah, nel '57...
D.T.: Già, il 13 Dicembre del '57. Un Venerdì 13 [ride]... e andando avanti con questa cosa della chitarra, ho cominciato a capire cosa volevo fare.
AAJ: Allora, vediamo un po': sei nato a fine 1957, quindi gli 11 anni li hai fatti a fine 1968!
D.T.: Già, Sly Stone...
AAJ: Jimi Hendrix...
D.T.: Sì, tutta la storia... mi stavo appassionando, ma ancora non suonavo. Mi ci vollero un paio d'anni per capire quel che stava succedendo... pensavo di ascoltare una steel guitar ma invece su quei dischi era una slide guitar... comunque mi piaceva un sacco, ma c'era un problema: prima ancora di prendere in mano la chitarra, cominciai a pensare di suonare come suono adesso - ma non avevo ancora mai suonato! A 12/13 anni già pensavo "accidenti, è davvero forte... ma come si fa a suonare così?" In casa c'era una chitarra, la suonava mio fratello. Mio padre mi aiutò a capire come fare e a realizzare quel che serviva... Abbiamo preso una bici e tagliato dei pezzi di manubrio... avevo un paio di foto di J.B. Hutto e di altri... insomma, alla fine avevo questa chitarra, ma non sapevo come accordarla - la prima volta che ci ho provato si è rotta la prima corda e mi si è infilata nella mano, me la son dovuta cavar fuori... e questa è la prima lezione che impari sulla musica: che è un'esperienza molto dolorosa [ride], che fa male... Dovrai sputare sangue... È una continua battaglia... Insomma, cominciai a provare a capire come suonare, ma anche come riuscire ad esprimere ciò che avevo in testa...
AAJ: Come rendere in musica quello che ti frullava per la mente...
D.T.: Esatto! Avevo un'idea che mi si stava formando in testa, e non riuscivo a spiegarla... e quando hai 12 anni ti senti solo dire: "oh, devi imparare questo, devi imparare quello"... e io che dicevo "sì, vabbè" e intanto studiavo chitarra e tornavo a casa con la lezione su cui esercitarmi, cominciavo ma mi distraevo quasi subito. Insomma, non ero proprio uno studente modello. Mi svegliavo ed era la prima cosa cui pensavo, ci lavoravo su e mi addormentavo la sera pensandoci. E intanto arriviamo al 1970, no?
AAJ: Credo di sì.
D.T.: Insomma, a 14 anni sapevo suonare un pò, ma continuavo ad esercitarmi. E a 15 anni suonavo 5 sere la settimana in una band.
AAJ: A Rochester... e suonavi la slide?
D.T.: Sì, e i ragazzi mi dicevano "beh, mica puoi fare tutto con la slide," ed io - spiacente, questo è quel che avrete! Continuavo a dirgli "ci sono tutti quei suoni, lì dentro, dobbiamo solo tirarli fuori"... e loro - "no!". Insomma, non avevo pace... mettevo su le mie band, e arrivato a 16 anni avevo i miei gruppi. Essere il leader di una band è una bella sfida - è dura, sei tu che devi comporre i brani...
AAJ: ...il tuo primo gruppo è stato un trio?
D.T.: No, un quintetto... c'è da comporre, fare gli arrangiamenti, organizzare le prove, dirigere la band, devi anche motivarli... ottenere gli ingaggi, portarci la band e fare in modo che tutto funzioni... farti pagare, e le cose da fare non finiscono mai... e prima di cominciare il concerto stai già pensando "ah, speriamo davvero che vada tutto bene"... e questo è quel che facciamo - semplicemente suonare, suonare e ancora suonare... e per me è sempre stato così: prima di ogni concerto mi dico " oh mio Dio - spero vada tutto bene..." Voglio dire, come quando perdi il filo e ti chiedi "cosa stavo pensando?"... insomma, non è possibile - prima di ogni concerto mi trovavo a pensare... "Non ce la posso fare... ho il vuoto"... ma poi dici "ok, andiamo," cominci a suonare e va tutto alla grande... e quando sei in ballo, devi ballare. E' come nuotare nell'oceano. Il peggio è tuffarsi, ma quando sei lì è il massimo... E alla fine del concerto hai quella sensazione... come uno smemorato che di colpo si ricorda tutto, e tutto quanto è andato bene, e anche la band che ti fa "sì, dobbiamo suonare, siamo grandi, e..."
AAJ: Insomma, è come un flusso di coscienza...?
D.T.: Assolutamente sì. Non è qualcosa di tangibile, che puoi dire "sì, ce l'ho". E' una cosa buffa anche fisicamente, usare il bottleneck con la slide, perché non tocchi la chitarra, sai, la storia dei microtoni...
AAJ: E' fluttuante, più fluttuante...
D.T.: ...e letteralmente è più fluttuante il senso della connessione tecnica. Certo, ci si illude che l'istinto ci possa sempre venire in aiuto, ma non è sempre così. Ultimamente ho lavorato su un sacco di cose - scale Marocchine, altre Indiane, e alcuni tipi di fingerpicking staccato veloce... insomma, mi sono dato degli obiettivi ambiziosi, per far crescere il mio vocabolario musicale sempre di più... il contrappunto, l'armonia... ora devo mettermi a scrivere, ho un sacco di idee in testa, mille cose da fare e devo sistemare tutto quanto.
AAJ: Quando ti sei trasferito a New York?
D.T.: La prima volta è stato nel 1976, ma la prima volta che mi ci sono trasferito - e l'ho fatto per restarci - è stato alla fine del 1979. New York è stata la mia scuola, perché non ci sono andato, a scuola. Non sono andato al college, né ad una scuola di musica. New York è stata per me sia una scuola di musica sia una scuola di vita - ovviamente - xhe è la cosa più importante... Ma la cosa più incredibile di New York è che la comunità dei musicisti è per la gran parte un movimento estremamente interattivo...
AAJ: Ogni sera una cosa diversa...
D.T.: Sì, e dipende molto dal carattere delle persone, c'è poco spirito di competizione, c'è un senso di inclusione... "dai, vieni, questa è proprio una cosa forte..." e alla fine incontri sempre le stesse persone...
AAJ: E' una comunità.
D.T.: Esatto. Sai, ormai ci vivo da 22 anni. E si va a ondate: arrivano musicisti più giovani, e io non suono neanche quel granché, in città. Voglio dire, suono più che posso, ma molti locali hanno chiuso, da quando ci vedemmo al Tonic... (nota dell'intervistatore: David fa riferimento ad un concerto al Tonic di New York in una benedetta serata attorno al Thanksgiving Day del 1999). E per me, per Michael Blake e molti altri non è facile organizzare serate. Una al mese se va bene...
AAJ: E che ci dici della Knitting Factory? Si sentono strane voci...
D.T.: Sì, non ci lavoro più da 4 o 5 anni, ma le cose sono cambiate di recente, e sto pensando di suonarci ancora: così ci abbiamo fatto un concerto per vedere come andava, ed è andata bene.
AAJ: ...insomma, siamo arrivati al 1979...
D.T.: [ride]
AAJ: ...quando ti sei trasferito a New York. Sarebbe interessante ripercorrere velocemente le tappe più importanti della tua carriera, che ti hanno portato qui a Saalfelden, poi possiamo parlare dei tuoi progetti, dei tuoi...
D.T.: OK, dovrò sintetizzare 20 anni in davvero poco tempo... [ride]
AAJ: Già, e ricordati che la MMW sta per cominciare a suonare...
D.T.: Giusto! [ride] Non possiamo mancare!
Foto di Claudio Casanova (la prima, seconda e quarta)
Continua: seconda parte - terza parte - quarta parte.
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