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Intervista a Corrado Beldì, Direttore Artistico di NovaraJazz

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Tra i festival nazionali NovaraJazz sta sempre più guadagnandosi un posto di rilievo, vuoi per l'originalità delle proposte artistiche, spesso arricchite da produzioni originali, vuoi per il modo singolare in cui vengono realizzati gli spettacoli, disseminati nel tessuto cittadino e negli spazi naturali che lo circondano. Abbiamo intervistato uno dei direttori artistici, Corrado Beldì, per sapere qualcosa di più sull'edizione 2018 della rassegna.

All About Jazz Italia: NovaraJazz torna spesso nelle conversazioni con i musicisti come esempio virtuoso di festival che non lascia tutto lo spazio ai nomi più noti e alle formazioni più affermate —come troppo spesso succede altrove —ma che invece promuove, anche proponendo loro la realizzazione di progetti innovativi, i giovani musicisti e le proposte più originali. Come nasce questo festival e come arriva alla sua attuale identità artistica?

Corrado Beldì: NovaraJazz nasce quando io e Riccardo Cigolotti, incontrandoci una sera, scopriamo le nostre affinità di interessi e la comune volontà di realizzare qualcosa nel campo delle manifestazioni jazzistiche, decidendo di unire le forze e di fare un festival a Novara. Inizialmente il progetto prevedeva una serie di concerti invernali orientata principalmente verso il jazz nero americano, ma pian piano si è evoluto, ampliando quei concerti a un'intera stagione dedicata all'improvvisazione contemporanea e aggiungendo un vero e proprio festival in maggio e giugno. Quest'ultimo ha un obiettivo: portare la musica nei luoghi più belli della città e della provincia, giocando sul fatto che i luoghi deputati alla musica —auditorium e teatri —sono sempre più difficili da avvicinare per chi vuol fare musica di ricerca e che quest'ultima ha un effetto performativo molto forte che può essere viceversa esaltato dalla sua esecuzione in luoghi atipici e suggestivi o in situazioni particolari, come la compresenza di mostre d'arte o degustazioni di prodotti gastronomici tipici. Fattori, questi, che possono al tempo stesso catturare l'attenzione del pubblico anche sul nome meno conosciuto e favorirne l'ascolto attento.

AAJ: Quindi NovaraJazz dedica una cura particolare alla scelta degli spazi nei quali ospitare la musica: puoi dirci quali criteri seguite per scegliere e per accoppiare luoghi e musiche?

CB: Abbinare la musica ai luoghi non è mestiere facile, a maggior ragione quando si invitano musicisti che fanno improvvisazione e che spesso sono per la prima volta ospiti in Italia. Ci vuole un po' di intuito ed è necessario prendersi dei rischi, investendo artisticamente su musicisti che abbiano loro stessi voglia di lavorare sui suoni contestualizzati nell'architettura o nella natura, che non si tirino indietro di fronte a questa sfida e che non si limitino alla performance ordinaria. Per esempio, quest'anno faremo un solo di contrabbasso di Silvia Bolognesi in mezzo al bosco del parco del Ticino e due concerti, uno di John Surman e l'altro di Hank Roberts, sotto la cupola di San Gaudenzio, luogo che da qualche anno dedichiamo ai soli di sassofono o violoncello per sfruttarne il suono molto particolare. Ma facciamo anche dei soli di contrabbasso in una sala della Galleria Giannoni, di fronte al quadro Sinfonia del mare di Filiberto Minozzi. Così, pian piano, un anno dopo l'altro, abbiamo capito che certi luoghi si adattano meglio a certe poetiche, cosicché la ricerca che facciamo —diversamente da quella tipica di una programmazione fatta tutta in un teatro —è volta a individuare i musicisti adatti ai luoghi. Si tratta quindi, molto semplicemente, di un approccio diverso da quello di altri festival, che io trovo assai affascinante. Tanto che ogni volta che vedo un solo alla Galleria Giannoni davanti a quel quadro penso subito a quali altri contrabbassisti potrei invitare gli anni successivi!

AAJ: Quali altri luoghi suggestivi utilizzate?

CB: Innanzitutto la cosiddetta Sala del Compasso, che si trova sopra la cupola di San Gaudenzio e nella quale c'era un grande compasso servito all'architetto Alessandro Antonelli per tracciare dei rilievi delle curve della cupola. Poi il chiostro medievale della canonica, il Museo di Storia Naturale Faraggiana Ferrandi —una sorprendente raccolta di animali impagliati creato da un novarese che, nell'ottocento, tornava in città dai suoi viaggi con le giraffe —e vari luoghi del parco del Ticino: il mulino vecchio di Bellinzago, ancora funzionante (tanto che vi faremo un laboratorio per insegnare ai bambini a fare il pane), Villa Picchetta, dimora seicentesca e sede del Parco del Ticino sponda piemontese, e alcuni spazi sull'acqua, come la centrale elettrica Orlandi —facciamo i concerti nella sala interna, proprio sull'acqua —e il Cascinale dei Nobili di Casalbeltrame, circondato da risaie a perdita d'occhio. In questi luoghi a fine Maggio c'è acqua dappertutto e suonarci crea un'atmosfera davvero speciale.

AAJ: Da quel che dici NovaraJazz è un festival pensato fin dall'inizio a contatto con il territorio.

CB: Sì, il festival è strettamente legato a una città forse poco conosciuta dal punto di vista turistico, ma molto bella dal punto di vista architettonico, non solo grazie all'Antonelli ma anche per la stratificazione di molti interventi avvenuti nel corso dei secoli, e che vanta anche alcuni capolavori della storia della pittura: per esempio è attualmente aperta una grande mostra su Gaudenzio Ferrari, che si snoda tra Vercelli, Novara e Varallo e che a Novara ha i quadri della Natività e uno splendido polittico. Accanto a questo ci sono i prodotti della nostra terra, che ci interessa valorizzare assieme alla musica e al patrimonio artistico: il riso, perché siamo in mezzo alle risaie che, tra Novara e Vercelli, producono l'80% del riso italiano; il gorgonzola, che a Novara ha il consorzio produttivo più grande; i vini dell'alto Piemonte, storicamente un po' sottovalutati ma che invece spesso hanno un'altissima qualità, come per esempio nei casi di Fara, Sizzano e DOC delle Colline Novaresi. Infine abbiamo quello che è un po' il nostro simbolo: il biscottino di Novara, che a seguito della sua industrializzazione fatta dal signor Pavesi è ormai universalmente noto come il "pavesino," e che resta molto amato dai novaresi e non solo, visto che a Eataly di New York è il prodotto più venduto grazie al Biscottificio Camporelli, che ha rilanciato in tutto il mondo questo nostro leggerissimo e delizioso tesoro dolciario.

AAJ: A che edizione siamo con quella di quest'anno?

CB: Alla quindicesima, un traguardo importante che ci ripaga delle fatiche di realizzare la manifestazione, che si unisce a quella di farla con risorse ridotte e con un'organizzazione che è prevalentemente composta di volontari: una squadra di una ventina di ragazzi giovani, età media ventisette anni, ricca di entusiasmo e di una crescente professionalità.

AAJ: Come sono i rapporti con le istituzioni locali e come sono cambiati nel corso degli anni, al crescere di importanza della manifestazione?

CB: Oggi tutte le istituzioni che ci finanziano lo fanno attraverso bandi pubblici. Si tratta di bandi sempre più complessi che a mio parere premiano la qualità delle iniziative in modo più oggettivo di quanto non avvenisse in passato. Penso al Ministero, che negli ultimi anni —grazie allo spesso contestato "algoritmo Franceschini" —ci ha permesso di entrare nel FUS, e penso alla Regione Piemonte, che lo scorso anno ha introdotto la stessa logica, per esempio premiando chi fa progetti di cooperazione internazionale o sul territorio, cosa che ci ha avvantaggiato. Qualcosa di simile avviene per le Fondazioni Bancarie che ci sostengono: a parte quella della Banca Popolare di Novara, che lo fa "di default" perché conosce la nostra storia e che non finiremo mai di ringraziare, fanno bandi sempre più complessi, ottemperare i quali è un lavoro ogni anno più difficile. Per questo ci siamo dovuti organizzare e abbiamo anche avuto la necessità di coalizzarci con altre associazioni, di "fare rete."

AAJ: Che risposta e che attenzione ha il festival, anche in considerazione del fatto che la programmazione punta sull'originalità più che sui grandi nomi?

CB: Precisiamo che, a fianco di un programma nel quale se non si è degli esperti non si conosce quasi nessuno, cerchiamo anche di dedicare alcuni momenti a musiche un po' più abbordabili. Ovvero facciamo almeno due concerti sul nostro palco principale, il cortile del Broletto (anch'esso patrimonio storico-artistico, era l'antico Palazzo del Governo), che possano essere apprezzati da un pubblico un po' più vasto: o per la loro grande potenza sonora, come qualche anno fa la Fire! Orchestra e quest'anno gli Horse Lords (che è quasi un gruppo di punk-rock); o perché di "nuovi suoni," tipo funk e afro-beat, per i quali quest'anno abbiamo Nubiyan Twist e in passato abbiamo avuto per esempio Hypnotic Brass Ensemble (in anteprima europea, cosa di cui vado molto orgoglioso); o, ancora, perché di estrazione maggiormente popolare, come i progetti con la banda che facciamo da due anni, la scorsa edizione diretta dal talento polacco Marcin Masecki, quest'anno da Gianluigi Trovesi. Quest'ultimo progetto l'abbiamo pensato perché la banda ha centosettantacinque anni ma crediamo abbia bisogno di nuovi stimoli che riteniamo sia compito di un festival procurargli. Un'altra cosa che facciamo per attrarre il pubblico —a parte l'integrale gratuità del festival e la promozione del territorio —è portare la musica "per strada," chiamando a suonarla ragazzi da quattordici conservatori italiani. Loro vengono, suonano in acustico per il centro storico della città, e —ci tengo a sottolinearlo —vengono pagati, anche se con un cachet minimo che, spesso, è il primo che abbiano mai ricevuto. Ci è perfino capitato che alcuni di loro dopo qualche tempo si siano lamentati perché non erano stati pagati, ma era solo perché non avevano mandato la fattura, non avendone mai fatta una prima!

AAJ: Sottolinearlo mi sembra importante, visto che ormai la tendenza è chiedere di lavorare gratis anche ai professionisti...

CB: Infine, sempre per cercare di creare un nuovo pubblico attraverso incroci virtuosi, facciamo anche due serate camp —un talent party e un party dell'università —programmate nel nostro palcoscenico principale e in serate in cui abbiamo gruppi che possano essere interessanti per un pubblico più giovane, così da creare una sovrapposizione che, pian piano, possa favorire la creazione di un nuovo pubblico. Cosa comunque molto difficile, che richiede un lavoro continuo e che in parte cerchiamo fare: per esempio lavoriamo molto con le scuole, che ci offrono volontari attraverso il programma di alternanza scuola-lavoro: gli studenti dell'alberghiero li impieghiamo per servire i risotti o le altre degustazioni, quelli del liceo musicale per montare e gestire gli impianti, quelli del linguistico e del classico per accompagnare gli artisti e far loro da ciceroni della città. Questo ci permette di portare i giovani a respirare l'aria del festival, imparando a lavorare ma anche avvicinandosi alla musica con qualche possibilità di appassionarsi. Parallelamente da due anni abbiamo anche dato vita a un programma di musica per bambini: altra cosa difficile da portare avanti in modo serio e che stiamo cercando di costruire pian piano, grazie a una nostra collaboratrice esperta in questo genere di cose. Perché ai bambini non puoi propinare della musica qualunque, devi far loro ascoltare delle cose apposite, in cui spesso sono specializzati artisti nordeuropei, dove si è più abituati a fare questi progetti di musica (o anche di rumori, perché i bambini sono particolarmente sensibili a tutti i suoni prodotti dagli oggetti) e che stiamo studiando per individuare gli artisti più adatti per il prosieguo dell'iniziativa. Credo che questo, in prospettiva, sia un modo per far sì che i giovanissimi, che saranno poi il pubblico di domani, abbiano la possibilità di avvicinarsi più facilmente a una musica più articolata e meno passiva qual è il jazz.

AAJ: Nel corso degli anni ti è mai capitato di ricevere richieste o pressioni da parte di sponsor e amministrazioni locali riguardo al programma e agli artisti da invitare?

CB: No, abbiamo avuto la fortuna di avere a che fare con sindaci che ci hanno sempre detto "gli esperti siete voi," per cui da un punto di vista artistico ci siamo sempre mossi in piena libertà. A loro abbiamo tuttavia sempre risposto "voi aiutateci però a utilizzare al meglio i luoghi più belli della città." Questo ha creato una comunanza strategica che ci ha sempre fatto lavorare bene assieme. Per quanto riguarda gli sponsor, invece, sono per noi dei partner particolari: nessuno sostiene il festival in quanto tale, ma ciascuno sostiene dei suoi momenti specifici. Per esempio, la Novamont —azienda novarese di bioplastica e produttrice di MaterBi —ci fornisce tutti i piatti e i supporti per i prodotti gastronomici che offriamo: questo è un modo per valorizzare un festival che vuol essere sostenibile e che per larga parte si svolge in mezzo alla natura. Allo stesso modo il Consorzio del Gorgonzola ci sostiene perché lo mettiamo nei risotti e lo facciamo assaggiare nelle degustazioni, e analoga cosa avviene per i produttori di vino. C'è poi un caso particolare: la birreria artigiana Croce di Malto, che aveva già vinto dei premi mondiali con altri prodotti, ha realizzato appositamente per il festival una "Birra Jazz," che vendiamo ai nostri concerti e che è arrivata seconda al campionato italiano. In generale, diciamo che gli sponsor ci sostengono non tanto per il programma, ma per la cornice in cui questo viene presentato.

AAJ: Nella progettazione del festival vi ispirate a qualche rassegna italiana o straniera?

CB: La direzione artistica è composta da me e da Riccardo Cigolotti: lui è più appassionato di musica nera americana e di nuova scena inglese, mentre io sono più attento alla scena radicale europea e nordeuropea —ovviamente con tutte le semplificazioni che comporta l'uso di simili etichette, giusto per intendersi... Alla luce di questo potrei dire che io sono molto attento a quel che accade per esempio a Saalfelden, mentre Riccardo è più attento a quel che succede a Sant'Anna Arresi o al Vision. Certamente fare un festival nel quale ci sono o nuove produzione, o gruppi in anteprima italiana fa sì che la nostra ispirazione venga più da festival internazionali che non da quelli italiani. Ma sia chiaro che non lo dico per sminuire le rassegne nazionali, perché anzi l'Italia è un paese con molti festival di grande qualità. Anche se, a mio parere, oggi una grande sfida sarebbe creare un premio o un concorso per direttori artistici sotto i trentacinque anni, per dar loro la possibilità di creare parti di programma dei festival o anche solo di curare delle singole produzioni da portare nelle rassegne nazionali. Questo perché credo ci sia la necessità anche in questo campo di dare spazio ai giovani talenti, che a mio parere ci sono ma non hanno molte possibilità per farsi valere.

AAJ: In quindici anni di programmazione, ci sono musicisti che sei particolarmente fiero di aver messo in cartellone?

CB: Innanzitutto devo dire che sono contento di tutti gli artisti che sono venuti. Ma se tra i tanti devo citarne uno di cui siamo orgogliosi di avere avuto a Novara, non può che essere Lawrence "Butch" Morris, venuto anni fa per un workshop e per una conduction.

AAJ: E musicisti che invece vorresti portare o rimpiangi di non essere riuscito ad avere a Novara?

CB: Sono moltissimi quelli che avrei voluto portare, ma che comunque proverò ad avere nelle prossime edizioni. Preferisco però non fare nomi, o meglio farne uno solo: Franco D'Andrea, uno dei grandi del jazz che sento debba far assolutamente parte della storia di NovaraJazz. E poi, certo, ci sono alcuni musicisti che dovevano venire ma non hanno potuto, per l'età o perché sono scomparsi.

AAJ: Hai dato alcuni cenni del programma di quest'anno: vuoi aggiungere qualcos'altro?

CB: In primo luogo vorrei sottolineare la residenza prevista per la prima settimana, curata anche quest'anno da Enrico Bettinello, che coinvolge Silvia Bolognesi, Linda Fredrikson, Emanuele Parrini e Håkon Berre, formidabile percussionista che ha sostituito all'ultimo momento Florian Satche, che aspetta un bambino e ha dovuto rinunciare. Senza nulla togliere agli altri, vorrei però dire due parole per Silvia Bolognesi, che è una delle musiciste più interessanti che l'Italia ha espresso negli ultimi anni e che merita una consacrazione internazionale. Questo progetto con Linda Fredrikson, giovanissima e valentissima sassofonista finlandese, piccola ma più potente di Mats Gustafsson, lo produciamo con questa residenza perché riteniamo sia una cosa di livello internazionale che possa poi girare per i festival d'Europa, anche grazie al prezioso lavoro di tessitura svolto da Enrico Bettinello, in rappresentanza di NovaraJazz, nel board di Europe Jazz Network. Avendo già citato Hank Roberts e Gianluigi Trovesi, direi che mi restano da menzionare due gruppi assai diversi tra loro: The Young Mothers, formazione americana che fa parte di un'area d'improvvisazione che c'interessa molto e che include il contrabbassista norvegese Ingebrigt Håker Flaten, a cui faremo fare anche il solo di contrabbasso alla Galleria Giannoni; e la Subtropic Arkestra di Goran Kajfes, gruppo svedese che prosegue quella linea di grandi ensemble del nord che ha già portato a Novara Fire Orchestra e Angles Nine. Inoltre, ci sarà il piano trio belga De Beren Gierem, una formazione molto innovativa. Infine voglio segnalare un gruppo italiano a mio parere molto interessante, Clock's Pointer Dance di Filippo Sala, autore di un disco bellissimo: dopo dopo solo dieci minuti che lo ascoltavo avevo già deciso che lo avrei messo in programma. Sarà in scena nella Sala del Compasso, volutamente in un giorno in cui avremo tra il pubblico alcuni giornalisti stranieri che vengono a trovarci.

AAJ: La scherzosa domanda finale di prammatica: ma dopo averci lavorato un anno, aver costruito la squadra, cercato i finanziamenti, i luoghi migliori, i musicisti adatti e tutto quel che serve per far funzionare la macchina, alla fine riesci anche a goderti i concerti?

CB: Sì, io i concerti me li godo di brutto! Anzi, tutte le volte che io e Riccardo guardiamo il programma pensiamo che sia una figata galattica, perché ci piace tantissimo quello che facciamo e riusciamo a mettere in scena. Poi ovviamente me li godo a modo mio, perché magari non sono mai così tranquillo da seguirmi il concerto seduto tutto il tempo... ma per me NovaraJazz è sempre una grande gioia!

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