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I Have a Drum: intervista a Lorenzo Tucci
ByPrima ero molto più batterista, ora sono più musicista.
All About Jazz: Stasera c'è la semifinale del Campionato Europeo di Calcio Italia-Gemania: sei un esperto di calcio?
Lorenzo Tucci: Esperto, nel senso di conoscere i dettagli e le formazioni di tutte le squadre, direi di no, però quando ci sono i grandi eventi, come queste partite, mi ci appassiono. Questo mi capita anche per altri sport, quando qualche sportivo affronta situazioni importanti mi piace vedere il talento che viene premiato. Mi immedesimo in questo tipo di storie. Vedere persone con del talento che fanno delle cose stupende mi affascina molto.
AAJ: Una jazz-band può essere associata come idea di organizzazione a una squadra di calcio. Il batterista ne è il portiere?
L.T.: Il ruolo del portiere lo ricopre il bassista. Perché molto spesso è la persona più calma del gruppo, quella con il sangue freddo, più riflessiva, e quindi come carattere è un punto di riferimento per la band. È lui il portiere, anche perché dal punto di vista musicale deve avere un senso del tempo di ferro e deve sistemare diverse questioni, sia armonicamente che ritmicamente.
AAJ: Sei spesso in squadra con Fabrizio Bosso.
L.T.: Spessissimo direi. Collaboriamo da molti anni, non so più quanti. Abbiamo iniziato insieme il percorso nella musica. Abbiamo condiviso molte situazioni, anche in gruppi di successo - almeno così dicono - come gli High Five, nelle esperienze con Mario Biondi ed altre. Sono in quasi tutte le sue formazioni, quindi abbiamo molto da condividere. Lui ha suonato in diversi miei dischi, come DruMonk, un lavoro che ha riscontrato molto interesse. Poi siamo molto amici, e questo chiaramente non guasta.
AAJ: Di recente avete registrato insieme il disco tributo a Nino Rota Enchantment, realizzato con la London Symphony Orchestra. Come sono stati i giorni ad Abbey Road?
L.T.: Sono stati giorni stupendi. Abbiamo fatto un disco con le bellissime musiche di Nino Rota, e abbiamo avuto l'opportunità di collaborare con questa grande orchestra, nella quale sono tutti musicisti di talento. Basti pensare che i secondi o i terzi violini sono sempre dei primi violini che si prestano a fare il violino di fila. Un'orchestra assolutamente di primo ordine, ed è stata una bellissima esperienza suonare con loro.
AAJ: Non di rado sei impegnato nei lavori di Mario Biondi, alcuni dei quali dal buon riscontro commerciale. Quanto e in che modo ti sta formando questa esperienza con lui?
L.T.: La prima esperienza fu bellissima, perché c'erano coinvolti gli High Five al completo. Quello è stato un compromesso eccezionale. Perché era un disco acustico con la sua voce - che definirei soul jazz -, quindi fu un ottimo risultato sia musicale che commerciale. Per quanto mi riguarda la collaborazione continua. Mario è un grandissimo cantante, conosce molte cose e può permettersi di cantare quello che vuole. Ognuno di noi impara dall'altro e nel jazz questa è una delle cose fondamentali.
AAJ: L'etichetta giapponese Alborè Records ha recentemente rimasterizzato il tuo primo album Sweet Revelation del 2000. Da quei giorni, ti ritrovi molto cambiato?
L.T.: Volevo ringraziare il produttore di Alborè Satoshi Toyoda che ha deciso di rimasterizzare questo lavoro. Lo registrai nel dicembre 1999 e in effetti sono passati molti anni da quel giorno. Sono cambiato molto, per fortuna. È chiaro che l'impronta di ognuno di noi rimane sempre. Questa è una buona cosa, perché anche se gli anni passano vuol dire che ho una personalità. Ho fatto tante cose, sono maturato dal punto di vista musicale, soprattutto dal vivo, e spero che il pubblico se ne sia accorto. Prima ero molto più batterista, ora sono più musicista. Nei miei dischi da leader mi sono sempre ritagliato piccoli spazi, dando precedenza alla musica.
AAJ: Nella tua discografia ci sono omaggi a grandi personaggi della storia del jazz come Monk (con l'album DruMonk) e Coltrane (con il recente Tranety). Quali sono i motivi che ti spingono verso questo tipo di operazioni?
L.T.: Come tutti avranno notato su DruMonk, che è un tributo a un pianista, non c'è il pianoforte, e su Tranety, che un tributo a un saxofonista, non c'è il sax. Sono quindi tributi, però non allo strumento, ma alla musica di questi personaggi. Ho omaggiato la loro musica, quindi è questa la cosa che mi interessa e che mi spinge verso un artista.
AAJ: Hai in mente di fare anche un tributo a un batterista?
L.T.: Forse è una cosa che farò, ma in quel caso non utilizzerò la batteria [ride, N.d.R.]. Per ora no però; ogni volta che vado a suonare dal vivo è come se facessi un tributo a un grande batterista del passato. Perché ognuno di noi viene da qualcosa. Ascoltando i grandi come Elvin Jones abbiamo appreso tanto, quindi ogni volta che suoniamo viene fuori quella storia.
AAJ: Parte della critica mette un accento negativo sui musicisti della tua generazione affermando che con lavori simili state rinunciando alla ricerca di un linguaggio personale. Parola alla difesa.
L.T.: Ho fatto questo tipo di dischi con il cuore, perché la musica bellissima non muore mai. Il jazzista ha una sorta di responsabilità: prendere delle cose, farle diventare jazz e portarle al grande pubblico. Spesso, paradossalmente, dico che il jazz non esiste. I grandi del passato prendevano dei brani, che assolutamente non erano scritti da jazzisti, e li portavano alla ribalta. Come Rollins e Coltrane, che hanno creato gli standard prendendo delle canzoncine, chiamiamole così, molto semplici. Hanno avuto la grandezza di portare questi temi al grande pubblico. Chiaramente il jazzista deve anche scrivere, come di recente ho fatto insieme a Luca Mannutza per il disco Lunar. Ho sempre cercato di fare un po' di tutto, musica originale e rifacimenti, provando a fare le cose naturalmente.
AAJ: Che rapporto e che idea hai dei critici musicali?
L.T.: Penso che la critica musicale sia importante, è giusto che i critici ci siano, in quanto c'è bisogno di loro per la divulgazione, che sia carta stampata, blog o social network. Ma ho molto rispetto anche per il pubblico, nel senso che se in platea ci sono cento persone, senza nemmeno un critico, non mi pongo il problema. È il pubblico che riempe il club e sono molto contento quando qualcuno dice "è la prima volta che vengo a un concerto di jazz, pensavo fosse un'altra cosa, invece se è così ci torno". È una grande soddisfazione, come del resto un apprezzamento di un critico, che ha un altro tipo di approccio alla materia musicale.
AAJ: Prima accennavi al disco Lunar nel quale c'è anche una buona parte di improvvisazione.
L.T.: Sì, ci sono delle cose improvvisate. Il disco è stato fatto in duo con dei momenti totalmente improvvisati, anche se riascoltandoli sembra quasi che siano stati composti. Con Luca c'è così tanta conoscenza reciproca che alcune cose sono venute fuori in maniera molto spontanea. Poi nel disco ci sono anche delle parti scritte dedicate agli interventi del Fender e dell'Hammond.
AAJ: Sul tuo profilo Facebook, si legge la frase "I Have a Drum," che ha un significato specifico e che richiama la celebre "I Have a Dream" di Martin Luther King. Da qui due domande, la prima: su che batteria stai suonando in questo periodo?
L.T.: [Ride, N.d.R.]. In effetti è una frase che vuol dire entrambe le cose. Quando dico "Ho una batteria" lo dico con orgoglio ed è allo stesso tempo un sogno. Sono sempre alla ricerca, il mio suono un po' l'ho trovato, un po' uno ce l'ha di natura. Significa che non bisogna mai associare un suono allo strumento che usi, alla marca. Io suono ogni sera con una batteria diversa, e molto spesso chi mi ascolta mi dice di riconoscere il mio suono. Di questo sono contento. I piatti sono sempre i miei Zildjian, dei quali vado fiero, sia perché sono endorser di questa marca e poi perché sui piatti non si scherza. Il suono, insieme al linguaggio, è sempre in evoluzione, nel mio set ho aggiunto un timpano da 16" al set classico, perché in questo periodo mi sento più tribale.
AAJ: La seconda domanda: qual è il sogno da realizzare come musicista?
L.T.: Suonare molto bene il pianoforte, con il quale mi sono sempre cimentato, ma non so se mai ce la farò. Non ho il grande sogno nel cassetto. Andare avanti e desiderare ciò che si può avere e anche accontentarsi un po,' inutile aspirare a cose impossibili. Suonare con la gente che mi piace, senza grandi compromessi, è già molto. Scelgo i musicisti non in base a logiche commerciali, ma per la stima e per le loro qualità.
AAJ: Credi che la versatilità sia una tua caratteristica principale?
L.T.: Penso di sì, ho sempre cercato di appassionarmi a qualsiasi genere, come la musica brasiliana che ascolto molto, o il latin jazz: sono molto amico con Horacio Hernandez con il quale siamo stati - venti anni fa, quando sono arrivato a Roma - nottate intere a parlare di musica, suonare e bere birra. Mi piace apprendere tutto da tutti e continuo a farlo. Mi piace ascoltare la radio, capire cosa succede e a volte mi innamoro di una musica che ascolto casualmente. Ho sempre sostenuto di non avere preclusioni e l'ho detto anche in altre interviste. Se mi piace un brano può essere di Malika Ayane, Mia Martini o Gino Paoli, non mi pongo il problema. Attualmente la versatilità è la cosa più importante per un musicista. La parola "jazz" prevede la versatilità, bisogna saper suonare di tutto con il suono che ha il jazz.
AAJ: Risiedi da diverso tempo a Roma, come tanti musicisti della tua età. Pensi che sia il caso di parlare di una scena romana e di jazz italiano in genere?
L.T.: Credo di sì. È il caso di parlare di jazz italiano. Per quanto riguarda Roma, ad un ragazzo che vuole intraprendere un percorso di un certo tipo consiglerei di venire qui, soprattutto se abita in una profonda provincia deve non po' muoversi. Una provincia però è un posto del Mondo come un altro, dove può benissimo nascere un grande talento. Qui ricollego il discorso all'Italia dove ci sono - in qualsiasi parte, da nord a sud - dei talenti pazzeschi. Ci sono diversi giovani importanti, ne potrei citare moltissimi.
AAJ: Italia-Germania è "la partita" per eccellenza, il disco jazz per antonomasia è:
L.T.: Crescent di John Coltrane.
Foto di Paolo Mura (la penultima) e Riccardo Crimi (l'ultima).
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