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Genova Jazz ‘50

Genova Jazz '50

Nel 2009 la Devega ha pubblicato un Cd tanto importante quanto probabilmente passato inosservato a livello nazionale: il Cd documenta il jazz suonato a Genova negli anni Cinquanta e contiene fra l'altro quattro brani inediti in cui il giovane e sconosciuto Luigi Tenco compare in veste di contraltista. Dal libretto di quel Cd, ricco di foto d'epoca e di contributi, abbiamo tratto l'illuminante testo di Guido Festinese, che ringraziamo per la disponibilità.

Rivisti tutti assieme, con quella benevola e un po' canaglia trappola che è la nostalgia, verrebbe da dire, ancora una volta, "formidabili, quegli anni". Il fatto vero è però, che, a Genova, gli anni che fecero seguito alle terribili convulsioni della guerra furono davvero formidabili, per quella strana, letteralmente "inaudita" musica che era il jazz in Italia. Bandito dalla porta principale nelle meschinerie "culturali" del regime, e rientrato dalla finestra sotto mille travestimenti. Genova porta di mare e di commercianti, Genova che aveva già dato al jazz, con bel mascheramento, la voce swingante di Natalino Otto sulle rotte transoceaniche è una splendida "tana" per il jazz, a partire dall'immediato secondo dopoguerra.

Questo Cd ne fotografa, passo dopo passo, la debordante, a volte ingenua vitalità, documenta la voglia di fare, di suonare, di ragionare, di riprendersi l'allegria negata dai bombardamenti. Ma non nasconde, anzi precisa e scandisce, nella sequenza che s'è deciso di scegliere per brani e formazioni, che "jazz" era una parola che nascondeva molti significati, e molto diversi, fra loro, a Genova. Perché il jazz, quello captato alla radio più o meno clandestinamente prima, o sotto paludati mimetismi (le "tristezze di San Luigi," ricordate?), poi era esploso tutto assieme: lanciava segnali ammiccanti dai settantotto giri che raccoglieva Aldo Raffetto (oggi custoditi dal Museo del Jazz di Genova) e poi finivano nelle mani degli entusiasti del primo Hot Club genovese, in perenne trasloco di sede, lanciava ritmo e melodie inconsuete dai fascinosi V- Disc, i dischi per la Vittoria riservati ai soldati americani che i marines avevano lasciato a pacchi, in giro per la città, arrivava anche, con un giro da carboneria, in qualche negozio.

Ma arrivava tutto assieme: e quindi ecco nascere, in epitome sonora, l'ennesimo caso di Guelfi e Ghibellini della musica: i tradizionalisti da un lato, assertori del "vero" hot jazz, quello (supposto) tutto istinto e carica "nera," i modernisti dall'altro. Una New Orleans più immaginaria che reale, nel cuore degli uni, una New York inaudita e fremente di novità, per gli altri. E giù discussioni e accuse incrociate di tradire il "vero" jazz.

E' ben curioso, allora, che a tenere a battesimo e lanciare i "tradizionalisti" Gate Avenue Strawhatters (ovvero: i Portatori di paglietta di via Porta d'Archi, dove si tenevano le prove!) siano stati, in certo modo, i "modernisti" Gorni Kramer, Nunzio Rotondo, Gil Cuppini: una sera il trio di affermati jazzisti ascolta i Gate Avenue nel teatrino di San Pietro alla Foce (è il 1950) e propone un concerto al Teatro Nuovo di Milano. Come presentarsi, in quel "tempio" del jazz? Con le pagliette e quel nome, suggerisce Kramer, rivendicando il ruolo da "menestrelli dell'allegria" che vivacizzava le serate genovesi. I ricordi diretti degli stessi protagonisti ci raccontano di incontri con Polillo e Testoni, i "guru" della critica d'allora, di battute fulminanti e frizzi con Lelio Luttazzi e Walter Chiari, dopo il concerto.

"Quelli della Paglietta" avevano una loro primordiale, abbozzata estetica del suono: mai copiare i settantotto giri nota per nota, come facevano i già affermati gruppi milanesi e romani, arrivando all'assurdo di copiare pure le stecche, e poi molto istinto, pochi arrangiamenti. Certo, Garassini e Corso cercavano di mettere ordine, di strutturare i collettivi. Ma guai a perdere la "genuinità," la carica del jazz davvero "hot," con il suo strutturato disordine eterofonico che era già stato oggetto di un "revival," quello del Dixieland. Le otto tracce che qui ascoltate ne sono buona testimonianza, anche se è dato avvertire una certa ritrosia, un velo d'ingessatura che, per un gruppo come i Gate Avenue, era pedaggio inevitabile, di fronte ai microfoni, a fronte di concerti spesso tumultuosi, conclusi con l'inevitavile "bluesaglia," come dicevano loro, il giro di blues buono per tutte le evenienze e gli ospiti.

Le registrazioni sono del settembre 1952, a Milano. Anche qui, cronache esilaranti: il contrabbasso sul tetto del taxi, Armando Corso che arriva a registrare dal Trentino a Milano indossando i calzoni di velluto alla zuava, da bravo montanaro (è tutt'ora il direttore del Coro Monte Cauriol). Due brani, Boogie Woogie e Margie sono in pratica "vetrina" per il pianoforte di Corso con accompagnamento ritmico, Strawhatters Blues la sigla gloriosa delle "pagliette" che apriva le esibizioni, gli altri, secondo i ricordi dei protagonisti, praticamente scelti sul momento, stravolgendo la scaletta prevista: per non correre il rischio di "duplicare" coeve registrazioni dei gruppi milanesi. Ad aprire il tutto una corposa versione di Basin Street Blues. Anche qui si infila di diritto un aneddoto: quando Louis Armstrong arrivò a Genova per la seconda volta, nel '52, ascoltò compiaciuto le fresche registrazioni dei Gate Avenue, all' Hotel Bristol. E poi si lanciò con loro, che erano andati a festeggiarlo, proprio in una versione fulminante di Basin Street Blues.

Inutile negare che la "chicca" di questo cd sono le preziose registrazioni rimaste (1957) di Luigi Tenco sassofonista jazz. Qui si "fotografa" un altro momento storico del jazz a Genova, quello delle formazioni moderniste nate sotto l'egida di Francesco "Dani" Lamberti, sassofonista ed arrangiatore innamorato delle punte più avanzate del suono afroamericano: in quel momento sia il "cool jazz" che spirava dalla California, figura guida Gerry Mulligan, jazz fatto di chiaroscuri e rilassata complessità, sia la possente spinta dell' hard bop, tutt'altra faccenda. Non stupirà, qui, di ritrovare anche musicisti legati al suono di New Orleans: a cominciare da Gianni Sorgia, passato dal banjo dei Gate Avenue al trombone a valvole, alla Bob Brookmeyer, e il trombettista Giacomo La Foresta. Non tutti erano ferrei custodi della tradizione. Le orecchie erano curiose.

Tenco fu una meteora nel jazz genovese, ma pur sempre astro luminoso. Arrivava tardi alle prove, amava assumere atteggiamenti ombrosi in quel "nuovo" ambiente (ora sappiamo che erano, anche, le pose di un ragazzo invece allegro e vitale), ma suonava divinamente, con stupefacente naturalezza d'approccio. La musica gli veniva facile, ogni strumento gli era amico: eppure finì per usare la voce. I quattro brani rimasti (registrati agli studi Rai di Genova) arrangiati splendidamente "alla Gerry Mulligan" da Lamberti, sono una vetrina ideale per il contralto di Tenco. Che si muove con un incedere sinuoso e nitido, perfetto nei controcanti, notevole negli spazi in "solo" in cui una splendida sonorità (modello evidente: Paul Desmond, ma anche ricordi di Lee Konitz) compensa la scarsa tecnica. Tenco contraltista era così: istinto e logica finalmente pacificati, quando imbracciava il suo "vero" strumento. Un approccio che non mancherà di lasciare segni evidenti, nell'uso della voce da "cantautore".

E' sempre Dani Lamberti la "mente musicale" che struttura i due brani finali del cd, del 1960, dedicati alla fortunata (ma breve) stagione dell'Hard Jazz Quintet, con Alberto Tagliazucchi, Leonardo Vasco, Luciano Ciucci, Maurizio Frosoni. Il gruppo ha già nel nome un evidente riferimento all'hard bop di Blakey e Horace Silver: se la musica conserva la raffinata eleganza d'impasti timbrici del "cool," è salita la temperatura emotiva, la spinta swingante più "nera". Sappiamo dalle cronache che proprio questa fu l'impressione che ne ricavarono critici e pubblico in occasioni importanti, come l'esibizione al primo Festival del Jazz di Saint Vincent, 25 settembre del 1960. A partire dalla forza tornita della versione di A Night In Tunisia. Molte altre,complesse vicende avrebbero interessato il jazz genovese, negli anni a venire, e a partire dalla fondazione del Louisiana Jazz Club, nel '64: ma questa è tutta un'altra storia.

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