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Gabor Szabo

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Gabor Szabo, chitarrista dotato di grande intelligenza e non minore sensibilità, poté godere, soprattutto negli Stati Uniti degli anni Sessanta, di una vasta popolarità, dei cui scampoli beneficiò fino alla sua morte nel 1982.

Un successo che, in definitiva, s'è rivelato un'arma a doppio taglio: del visionario strumentista, rivelatosi nei più creativi gruppi guidati da Chico Hamilton, è rimasta eminentemente un'immagine generazionale, icona ingenua degli aspetti più kitsch dell'epoca hippy e del primo rock, come è d'altronde accaduto a uno fra i suoi più cari amici e colleghi, il sottovalutato arrangiatore Gary McFarland.

Ungherese di nascita, di educazione e di cultura, Szabo - una volta trasferitosi negli Stati Uniti - non seppe, probabilmente, gestire il proprio talento, abbagliato da una società apparentemente generosa ma poco disposta a concedere senza nulla ricevere in cambio. Impreparato ad affrontare la durissima quotidianità del jazzista, incapace di rinunciare all'iniziale successo, Szabo finì per un lungo periodo preda dell'eroina proprio nel momento in cui la sua estetica musicale stava raggiungendo la maturazione, elaborando e distillando una molteplicità di fonti ed influenze.

A riascoltare ai nostri giorni le creazioni musicali di Szabo (e del già citato McFarland), si profila evidente un'estetica che, influenzata dalla cultura giovanile degli anni Sessanta, ha molto creduto in un rinnovato rapporto fra l'improvvisazione jazzistica e i materiali compositivi provenienti dal pop. Per un lungo tratto della sua carriera, Szabo -con notevole lungimiranza- ha ipotizzato di creare dal rapporto con la musica cosiddetta "commerciale," soprattutto col nascente rock, un nuovo corpus di standard, più sensibili alla contemporaneità, meno logorati dal'"uso" fattone dal jazz e, dunque, in grado di sostituirsi, pur con il medesimo ruolo, alle popolarissime opere realizzate dalle generazioni di compositori passate per Tin Pan Alley e Broadway.

Al contrario di McFarland, a lungo ancorato a una delicata forma di acquarellismo che tendeva ad esaurirsi in brevi vignette talvolta affatto prive di aforistica efficacia, Szabo possedeva un talento drammatico che forse non si è mai espresso compiutamente: nelle sue opere più mature egli si rivela un duende, capace di trasfigurare anche i materiali musicali più banali con un'intensità emotiva estatica, espressa attraverso un linguaggio estremamente personale, frutto della sovrapposizione di più tradizioni culturali e di un approccio tecnico poco ortodosso.

Szabo era, infatti, largamente un autodidatta: il suo interesse per la chitarra e per il jazz era stato stimolato dall'ascolto, in Ungheria (dov'era nato l'8 marzo 1936), delle trasmissioni musicali di Willis Conover per The Voice of America. I suoi primi modelli sono Tal Farlow e Johnny Smith, di cui cerca di imitare il fraseggio nelle sue prime esperienze professionali prima di abbandonare l'Ungheria pochi giorni prima dell'insurrezione del 1956.

Giunto negli Stati Uniti, a San Bernardino, in California, il chitarrista, privo di ogni mezzo di sostentamento, cerca di sopravvivere esibendosi nei club di jazz, ma senza successo. E' perciò costretto a lavorare come custode, in attesa di potersi iscrivere alla Berklee School of Music di Boston, dove viene finalmente accettato nel 1958. Nonostante il suo talento venga apprezzato e la Berklee gli permetta incontri e collaborazioni con artisti allora emergenti come Bob James, Gary McFarland (con cui il chitarrista allaccerà un vero sodalizio artistico che durerà per anni), Charlie Mariano, Mike Gibbs, Toshiko Akyoshi, anche a Boston Szabo è costretto a fare i conti con la quotidianità di un giovane artista straniero, per di più sposatosi da poco.

Nel 1959 Szabo decide di far ritorno in California, non prima di avere partecipato, tramite la stessa Berklee, ad alcune incisioni che devono fare da vetrina ad una serie di talenti internazionali: Jazz in the Classroom vol. II e vol. IV, Newport 1958: The International Youth Band, fra i presenti in tali registrazioni troviamo, oltre a Szabo, "esordienti" come Joe Zawinul, Roger Guerin, Dusko Goykovich, Erich Kleinschuster, Ronnie Ross, George Gruntz, Albert Mangelsdorff, Jan Wroblewski, Gary McFarland, Mike Gibbs, Charlie Mariano, Nick Brignola, Gene Cherico, Arif Mardin, Bob James, Gil Cuppini.

Al festival di Newport il chitarrista fa conoscenza con il batterista Chico Hamilton, che reincontra pochi mesi dopo a Los Angeles, dove ha fatto nel frattempo ritorno. Hamilton cerca un sostituto per il suo chitarrista, John Pisano, che gli propone Szabo: questi si aggrega al gruppo, dove sviluppa un ottimo rapporto con il giovanissimo tenorista (in realtà, fino ad allora, per Hamilton e in incisioni come Irma La Douce - Bye Bye Birdie e Chico Hamilton Special, si era esibito come contraltista) e flautista Charles Lloyd, che poco dopo lascerà il complesso di Hamilton per collaborare con Les McCann. Poco entusiasta del nuovo arrivato, il batterista licenzia Szabo, che potrà rientrare solo per esplicita richiesta di Lloyd, tornato a collaborare con Hamilton come suo direttore musicale.

Nel dicembre 1961 il nuovo gruppo esordisce, con Hamilton alla batteria, Albert Stinson al contrabbasso, Gabor Szabo alla chitarra, George Bohannon al trombone Charles Lloyd al sassofono tenore e al flauto: dopo l'incisione della colonna sonora per un cortometraggio, Litho, il complesso si presenta in molti club della California, ottenendo un vasto successo. Pochi mesi dopo, il 19 febbraio 1962, il New Dynamic Chico Hamilton Quintet (con Garnett Brown al posto di George Bohannon) incide Drumfusion per la Columbia: si tratta di una tappa significativa per Hamilton, che proveniva da recenti e importanti formazioni da lui guidate con Buddy Collette, Fred Katz, Eric Dolphy, alla luce di un camerismo la cui innegabile sofisticazione si era via via venata di una maggiore incisività espressiva. La nuova opera discografica sembra volersi allineare all'hard bop avanzato che musicisti come Jackie McLean, Grachan Moncur, Joe Henderson vanno diffondendo: Charles Lloyd, autore di tutte le composizioni, già fa bella mostra della sua istintiva e trascinante melodicità di matrice coltraniana, Chico Hamilton sviluppa un drumming originalissimo e travolgente, con un orecchio particolarmente attento ai giochi timbrici e con una fenomenale e raffinata varietà di accenti. In questo contesto Szabo, nonostante la sua scarsa esperienza, mostra di trovarsi particolarmente a suo agio: per quanto sia evidente l'influenza esercitata su di lui da Django Reinhardt, Tal Farlow e Jimmy Smith, sembra sviluppare un lirismo cui non è sconosciuto il contributo di Jim Hall proprio ai gruppi di Hamilton, sebbene egli vi sappia sovrapporre un'enfasi ritmica sconosciuta all'artista americano. Altresì, in una pagina come "A Rose for Booker" Szabo lascia intravedere alcuni tratti futuri del suo solismo, soprattutto la capacità di "deambulare" attraverso l'improvvisazione, come un invasato equilibrista su di una corda ad occhi chiusi, interamente, appassionatamente preso da una sorta di soliloquio esaltato ed esaltante, talvolta caratterizzato da un estremo velo di ritegno dolente e malinconico.

Il 18 settembre 1962 il gruppo, con George Bohannon al posto di Garnett Brown, torna a incidere, questa volta per la Impulse!, Passin' Thru, al di là delle già note qualità di Hamilton come leader e strumentista, evidenzia un'impressionante maturazione di Szabo, che contribuisce alla registrazione con una bella composizione, "Lady Gabor". Le improvvisazioni talvolta a volute ascendenti, quasi estaticamente orientali di Lloyd sembrano essergli particolarmente congeniali in una pagina del sassofonista come "Lonesome Child," così come l'andamento latineggiante in "El Toro". Sono già riscontrabili il suono caratteristicamente metallico, il senso ritmico fuori del comune, il gusto melodico, l'abbandono ad un fraseggio agile e talvolta pressoché ipnotico, la straordinaria creatività nell'accompagnamento, un penchant per sonorità orientali (le corde vuote in risonanza a imitazione di un sitar, richiamo alle radici indiane della cultura musicale zingara; altresì, Szabo mostra di non dimenticare il rapporto che la tradizione musicale zingara ha intrattenuto con il cante jondo andaluso). Queste doti si ritrovano ulteriormente messe a fuoco in successive incisioni con il gruppo di Chico Hamilton quali Transfusion (pagine incise dal vivo nel 1962 per la trasmissione radiofonica "Navy Swings," pubblicate solo nel 1990), A Different Journey (Reprise, 1963), A Man from Two Worlds (Impulse!, 1963; si ascoltino pagine come "Man from Two Worlds" e "Forest Flower," quest'ultima contraddistinta anche da un superbo assolo di Hamilton), Chic Chic Chico (Impulse!, 1965; l'affascinante e inusuale solismo di Szabo è in evidenza in composizioni come "Corrida de Toros," "Fire Works," "Tarantula" e "Swampy," peraltro tutte dovute alla sua penna), El Chico (Impulse, 1965; il contributo poetico di Szabo è nitido in lavori come "El Chico," "Marcheta," "People"), The Further Adventures of El Chico (Impulse!, 1966, in cui vi è un primo avvicinamento al repertorio popolare -come "Monday, Monday," lanciata da The Mamas & The Papas- che per Szabo rappresenterà più che una convenienza, una scelta estetica).

In realtà, quando il chitarrista partecipa, come attrazione principale, all'incisione di El Chico e The Further Adventures of El Chico, non è più componente stabile del gruppo di Hamilton dal 1965, avendo scelto di partecipare al nuovo quartetto di Charles Lloyd (che, a sua volta, aveva abbandonato Hamilton ai primi del 1964, per collaborare con Cannonball Adderley): nel frattempo, Szabo ha avuto modo anche di essere nominato nel referendum del Down Beat del 1964, ex-æquo con il compatriota Attila Zoller, come Talent Deserving Wider Recognition.

Il quartetto di Lloyd (con Szabo, Ron Carter e Tony Williams o Pete LaRoca) è, all'epoca, una sorta di laboratorio, in cui ci si prepara ad elaborare, con più intelligenza e sofisticazione di quanto non lasci intravedere il successo con cui fu in seguito accolta tale operazione, una "volgarizzazione" delle innovazioni linguistiche coltraniane, rivolta al pubblico che gravitava attorno ai sommovimenti sociali del 1968. Con Lloyd il chitarrista condivide l'ecumenismo culturale, l'interesse verso le tradizioni musicali orientali e la curiosità attenta nei confronti della cultura musicale giovanile, il cui repertorio sembra poter contribuire a una nuova letteratura improvvisativa, affiancando gli storici ma forse non più attuali standard.

L'8 maggio 1964 Szabo partecipa all'incisione di Of Course, Of Course (Columbia), a nome di Lloyd; questi non ha ancora dato vita al complesso che lo avrebbe reso celebre, con Keith Jarrett, Cecil McBee e Jack DeJohnette, la sua musica vive dunque una fase di transizione e riflette, con pochi degli edonismi che avrebbero caratterizzato la sua produzione più popolare, l'energia dell'improvvisazione post-coltraniana. Per quanto le affinità fra il chitarrista e il sassofonista siano evidenti e vieppiù confermate da un'incisione posteriore come Waves (1972), la ricerca di Szabo conduce verso un linguaggio più estetizzante e persino intimista, affine all'onirico sentire che caratterizzerà il futuro movimento della cosiddetta "psichedelia". La curiosità del chitarrista per una rilettura strumentale del repertorio popolare lo distingue ulteriormente da Lloyd, maggiormente incline a rielaborare il proprio linguaggio attraverso sue composizioni.

Vi è perciò un'ineluttabile logica nel rinnovato incontro fra Szabo e Gary McFarland, musicisti legati da interessi comuni e da una visione estetica sottile, sofisticata, talvolta malinconicamente infantile e non di rado più a proprio agio nel bozzetto che nell'affresco. McFarland, vibrafonista e arrangiatore di grande e sottovalutato talento, quando ritrova Szabo, conosciuto e frequentato presso la Berklee School of Music, può vantare una notevole serie di esperienze, concretizzatesi anche in incisioni di rilievo: A Concert In Jazz: Gerry Mulligan and his Concert Jazz Band (Verve, 1961), All The Sad Young Men (Verve 1961, a nome di Anita O'Day), The Jazz Version of How To Succeed In Business Without Really Trying (Verve, 1961), Trombone Jazz Samba (Verve 1962, a nome di Bob Brookmeyer), Big Band Bossa Nova (Verve 1962, a nome di Stan Getz), The Gary McFarland Orchestra, Special Guest: Bill Evans (Verve, 1962), Gerry Mulligan '63 (Verve, 1962), Point of Departure (Impulse!, 1963), Soft Samba (Verve, 1964), Latin Shadows (Impulse! 1965, a nome di Shirley Scott).

Soprattutto Soft Samba, per quanto alieni a McFarland i favori della critica ortodossa, gli procura una notevole popolarità: l'album cosparge di morbidi accenti di bossa nova (fra i musicisti utilizzati vi è pure Antonio Carlos Jobim) e di soffuso vocalese una serie di composizioni dei Beatles e di altri autori più o meno coevi, da Sacha Distel a Johnny Mandel e Ritz Ortolani. Kitsch? Easy listening? Solo in parte: McFarland è un artista smaliziato e con una sensibilità acutissima per minimali giochi timbrici. Egli esplora un repertorio popolare di cui evidenzia le sottaciute virtù e ne estrae dei acquarelli quasi astratti, fuori dal tempo, cui le pur poche battute affidate a improvvisatori di rango (Jimmy Cleveland, Seldon Powell, Richard Davis, Kenny Burrell, Willie Bobo e altri) conferiscono una nuova densità.

Il successo dell'operazione permette a McFarland di creare un proprio gruppo concertistico, in cui si esibisce anche Gabor Szabo, a fianco del flautista e sassofonista Sadao Watanabe, al contrabbassista Eddie Gomez e al batterista Joe Cocuzzo. Con tale complesso l'arrangiatore, in una serie di esibizioni, prepara il materiale per un'altra incisione, The In Sound che, prodotta da Creed Taylor per la Verve, viene realizzata nell'agosto 1965 con la partecipazione, fra gli altri, di Bob Brookmeyer, Grady Tate, Candido, Willie Rodriguez, Kenny Burrell, Sadao Watanabe, Richard Davis. Rispetto a Soft Samba, per quanto la formula permanga immutata, una maggiore attenzione è data ai solisti, soprattutto a Szabo che, pur in spazi estremamente ristretti, riesce a infondere una vitalità drammatica a pagine diverse fra di loro come "I Concentrate on You" di Cole Porter, "Blop Bleep" di Frank Loesser, "(I Can't Get No) Satisfaction," "The Sting of the Bee" (di Bruno Nicolai e Nino Oliviero, tratta dalla colonna sonora del film "Il pelo nel mondo" o "Mondo inferno," per la regia di Antonio Margheriti e Marco Vicario), "The Moment of Truth" (di Piero Piccioni, dalla colonna sonora del film "Il Momento della Verità," per la regia di Francesco Rosi), "Here I Am" di Burt Bacharach.

Pochi mesi dopo, nel novembre 1965, un gruppo analogo a quello di Soft Samba e In Sound (Sadao Watanabe al flauto, Gabor Szabo, Sam Brown, Barry Galbraith alle chitarre, Richard Davis o Albert Stinson al contrabbasso, Gary McFarland alla marimba, Francisco Pozo o Willie Rodriguez alle percussioni) partecipa alla prima incisione di Szabo come leader, Gypsy '66 (Impulse!). Ma se Szabo si era già rilevato un partner eccellente, forse indispensabile per McFarland, di questi, invece, non può dirsi altrettanto: per quanto il chitarrista sia profondamente interessato alla sensibilità pop, la sua non è un'adesione spirituale, non è figlio della West Coast sebbene ne possa condividere l'invincibile attrazione verso l'Oriente (ma l'Asia di Szabo è meno iconografica e illusoria, è radicata nel suo essere ungherese. Come affermava, infatti, Metternich: L'Asia comincia in Landstrasse, alludendo alla via che da Vienna portava a Budapest), il suo è un talento marcatamente drammatico che riesce a infondere un pathos curiosamente sensuale anche a pagine musicali apparentemente innocue. La languidezza di McFarland in pagine come "Yesterday," "Walk on By," "The Flea Market" non mostra di avere il peso sufficiente per misurarsi con l'estro immaginifico di Szabo; questi, comunque, riesce, pur a fatica, a ignorare la vaporosa ma inefficace cornice ideata dall'arrangiatore e in una pagina come "Gypsy '66" (nuovo titolo attribuito a "Lady Gabor") s'innalza sul contesto con un'oratoria improvvisativa impetuosamente corrusca.

Con McFarland la collaborazione di Szabo continua nel 1966 con Profiles, più impegnativo e consistente lavoro dell'arrangiatore inciso per la Impulse!, e, ancora nello stesso anno, con Simpatico (Impulse!), continuazione ancora più esplicita della formula creata con Soft Samba e The In Sound: minimo è il materiale improvvisato, il repertorio consiste in alcune composizioni di McFarland e di Szabo (ambedue anche nella veste incongrua, soprattutto per il chitarrista, di cantanti) e nella rilettura, lieve al punto da risultare flaccidamente banale, di pagine dei Beatles ("Norwegian Wood," "The Word") e di uno standard come "Nature Boy".

Nel 1968 McFarland, Szabo e il vibrafonista Cal Tjader fondano una casa discografica, la Skye Records, che durerà meno di due anni dopo avere pubblicato produzioni con lo stesso chitarrista (Bacchanal, 1968; Dreams, 1968; 1969, 1969; Lena Horne & Gábor Szabó, 1969).

Nel frattempo, Szabo realizza quella che molti, ancora ad oggi, considerano la sua migliore e più rappresentativa incisione: Spellbinder (Impulse!, 1966) si avvale di Ron Carter, Chico Hamilton, Victor Pantoja e Willie Bobo ed è certamente la prima, fondamentale tappa della maturazione di Szabo come interprete originale. In Spellbinder si svela finalmente la personalità complessa di un poeta, fra introversa malinconia [si ascolti la sorprendente versione vocale di "Bang Bang (My Baby Shot Me Down)" da parte dello stesso Szabo, che la trasforma nella breve, quasi crudele istantanea di un indifeso momento di sconforto] ed estroverso virtuosismo, fra improvvisazione jazzistica e un multiculturalismo che, attraverso la memoria della cultura zingara e ungherese, comprende la tradizione europea e quella orientale e un sempre più accentuato interesse per il modalismo. Una composizione come "Gypsy Queen" (prediletta anche da Carlos Santana, che la inserì nell'album Abraxas.

E' stato lo stesso Santana a rimarcare: "We used to fool around with 'Gypsy Queen" because I loved Gabor Szabo so much. I used to see Gabor play a lot in the Bay area. He'd seem to lock himself into a certain position and just put everyone in a spell. He was the guitar player who took me out of B.B. King - otherwise I'd still be with those Chicago and Texas blues cats. 'Gypsy Queen' was our way of doing his music" - il che evidenzia le potenzialità di un improvvisatore dotato di un talento drammatico del tutto fuori del comune, funambolico nell'assumersi i rischi di una sorta di trance in cui le emozioni sanno farsi carne viva, rifiutando ogni compostezza e concedendosi anche alla possibilità del kitsch o del sentimentalismo.

Nell'agosto 1966 Szabo - sempre più interessato alla musica indiana e all'influenza da essa esercitata sul proto-rock di artisti come George Harrison (si pensi all'utilizzo del raga e del microtonalismo in "Norwegian Wood," "Love You To," "Blue Jay Way," "The Inner Light," "Within You Without You") e sulla musica di John Coltrane, dei Byrds, dei Kinks, di Mickey Hart - incide Jazz Raga (Impulse!, 1966).

Nell'opera - in cui si distingue una pagina come "Mizrab" - Szabo raddoppia la chitarra con un sitar, aggiunta pleonastica, viste le sonorità da lui già ottenute con il suo strumento. Oltretutto, il sitar da lui utilizzato è inadeguato e, chiaramente, non intonato, il che compromette un'incisione altrimenti ragguardevole e, soprattutto, lungimirante ("the instrument I used recently was inferior, with very bad keys, which made it extremely difficult to keep in tune"). Come già menzionato in precedenza, l'interesse di Szabo per l'Oriente non ha la stessa matrice di quello americano, che contraddistingue buona parte della cultura West Coast del Novecento. Sebbene si mostri sensibile all'analogo interesse provato dal rock, dal pop e dall'improvvisazione coltraniana (peraltro, già dagli anni Cinquanta il grande violinista Yehudi Menuhin aveva iniziato a collaborare con Ravi Shankar), egli, in realtà, per quanto il pubblico americano erroneamente identificasse tutto ciò con la cosiddetta, lussureggiante "Exotica" praticata da Les Baxter, Arthur Lyman o Martin Denny, si ricollega al flusso ideale della cultura zingara, che dal Rajasthan raggiunge i Balcani e si estende fino alla Spagna del flamenco. Certa temperie, dunque, gli è abituale, la sua capacità di improvvisare in un flusso continuo, per accumulo, come in trance, gli permette di elaborare un ampio numero di idee anche all'interno di stampi formali ristretti. Da questo momento Szabo lavora alla classicità del suo linguaggio improvvisativo, con un eccellente complesso che lo vede affiancato da un altro chitarrista (si noti che Szabo predilige la formula a più chitarre, comune alla cultura zingara anche in Francia e in Spagna), l'eccellente Jimmy Stewart, dal bassista Louis Kabok, e di volta in volta da batteristi di rilievo come Dick Berk, Bill Goodwin, Marty Morell, Jim Keltner, John Guerin, da percussionisti come Victor Feldman, Hal Gordon, Mayuto Correa, Emil Richards.

Nascono così incisioni estremamente popolari come The Sorcerer (Impulse!, 1967) e More Sorcery (Impulse!, 1967): il repertorio evidenzia il suo interesse per il rock e i song del pop ("The Beat Goes On," "Lucy in the Sky with Diamonds"); un interesse genuino che necessità di sopravvivenza e un'ansiosa ricerca della popolarità spesso spingono verso la faciloneria della captatio benevolentiae in lavori discografici come Light My Fire (Impulse!, 1967, incisione in cui il chitarrista si misura con una big band, la New Happy Times Orchestra guidata dal produttore Bob Thiele con arrangiamenti di Sid Feller), o Wind, Sky & Diamonds (Impulse!, 1967)

Dei sommovimenti che presto daranno vita al '68, come il Flower Power, Szabo anticipa la psichedelia, che in quel periodo può cogliere in gruppi musicali come Tikis, Mojo Men, The Knight Riders, Beau Brummels, The Great Society, Holy Modal Rounders, 13th Floor Elevator, Grateful Dead, The Doors. Non è un caso che in Wind, Sky & Diamonds egli incida "White Rabbit" di Grace Slick dei Jefferson Airplane o "San Franciscan Nights" degli Animals e che, in una sorta di breve prologo recitato, esalti la città di San Francisco: "The following song is dedicated to the city and the people of San Francisco; who may not know it, but they are beautiful. And so is their city. This a very personal song. So if you cannot understand it, particularly my friends in Budapest, save up all your bread and fly Translove Airways to San Francisco, USA. Then maybe you'll understand this song. It will be worth it; if not for the sake of this song, but for the sake of your own piece of mind. So I'll meet you in San Francisco. Or for those of you in Budapest, San Francisco ban találkozunk!"

Avvezzo da qualche tempo all'uso dell'eroina, Szabo celebra comunque la presunta libertà, il mondo californiano, l'infrazione delle regole come simbolo estremo di innocenza, la rivolta sociale che il rock esalta e che potrebbe persino arricchire, a suo modo di vedere, quel jazz che egli, indubbiamente, avverte ormai come parziale elemento di conservazione. All'incrocio fra la libertà desiderata come fuggiasco dall'Ungheria e la volontà di una maggior libertà dei costumi, sempre più al di fuori delle retrive consuetudini sociali, Szabo punta a utilizzare la libertà del jazz e ad integrarla con la libertà e la purezza sentimentale dell'acid rock californiano e del nuovo pop degli ingenui menestrelli dei "figli dei fiori" (non a caso, nell'interessante e psichedelico album Bacchanal, del 1968, presenta due composizioni di Donovan come "Three King Fishers" e "Sunshine Superman" trasformate in piccoli affreschi pop di carattere indiano, oltre a "Some Velvet Morning" di un gruppo come i Vanilla Fudge e a una rilettura drammatica di un pop song come "Love Is Blue").

L'artista adulto che è in lui si sente attratto dalla ricerca dell'innocenza perduta che caratterizza tanta parte della cultura americana: zingaro urbano e hippy, egli lavora sull'affinamento del proprio linguaggio e con un uso pionieristico del feedback sempre di più avvicina la chitarra ad un sensuale e alieno strumento orientale, fondendo compiutamente la forma ristretta della canzone pop con l'improvvisazione jazzistica in un contesto multiculturale esaltato dal contesto della psichedelia. Nulla di -come dire?- "antropologico" o di etnomusicologico, come potrebbe invece dirsi dell'Indo-Jazz Fusion che proprio in quegli anni il sassofonista Joe Harriott e il violinista John Mayer hanno messo a fuoco in Inghilterra: Szabo, più probabilmente, conosce o ha sentito parlare della commistione fra improvvisazione e forme folkloristiche europee e indiane sperimentate dal chitarrista folk inglese Davey Graham (la cui influenza è avvertibile nel lavoro di Donovan o di Bert Jansch o, ancora, di Jimmy Page dei Led Zeppelin) o dal chitarrista americano Fred Neil (il cui lavoro era stato illustrato a varî musicisti rock della California da David Crosby). Proprio in quegli anni, per l'esattezza nel febbraio 1965, un gruppo come gli Yardbirds presenta "Heart Full of Soul," brano ideato per il suono del sitar, mimato dalla chitarra di Jeff Beck. Come scrive allora la giornalista Penny Valentine: "If the Indian gentleman sitting cross-legged on the floor of the control room had been a little more tuned to pop music and a little less tuned to classical music then he might well have ended up on the Yardbird's new single. The boys originally wanted the sound that a sitar - an ancient Indian string instrument - produced on "Heart Full Of Soul". And the only way they could get one was by hiring an Indian musician to play it on the session. Apparently the man, a highly proficient classical musician who had never worked with a pop group before, spent the entire session saying, according to Keith Relf, "Oh dear me, I'll get it in a minute." He didn't. So they turned to ace guitarist Jeff Beck who managed to do an expert imitation on an ordinary guitar.

Poco tempo dopo, nell'aprile 1965, i Kinks incidono "See My Friends," altra pagina in cui la chitarra imita i suoni del sitar. Ricorda Ray Davies: "I got that idea from being in India. I always like the chanting. Someone once said to me "England is gray and India is like a chant." I don't think England is that gray but India is like a long drone. When I wrote the song, I had the sea near Bombay in mind. We stayed at a hotel by the sea, and the fishermen come up at five in the morning and they were all chanting. And we went on the beach and we got chased by a mad dog - big as a donkey". Dopo i Beatles, sono i Rolling Stones, i Monkees, i Box Tops, i Lemon Pipers a fare uso dei suoni della musica indiana. Fra il 1967 e il 1969 la Danelectro Company inizia a fabbricare chitarre in grado di simulare i suoni del sitar, come la Coral Sitar o la Danelectro Sitar. Nel 1969 il liutista e chitarrista John Berberian, con il suo Rock East Ensemble, firma un pregevole album, Middle Eastern Rock, fra i primi, riusciti tentativi di portare il rock a coniugarsi con altre culture lontane. In quegli stessi anni John Fahey mette a punto una versione incendiaria, visionaria e immaginifica del chitarrismo folk americano anche attraverso un'estesa appropriazione dei modi del raga.

In questo contesto Szabo mostra di avere intuizioni poetiche folgoranti, probabilmente troppo ingombranti per la forma e i materiali effimeri sui quali ha deciso di intervenire: la sua opera in quegli anni può, dunque, apparirci datata o troppo segnata da elementi generazionali. In realtà, sono le tappe del complesso percorso creativo di un artista dolorosamente displaced, lontano dalle proprie radici, immerso in un ambito in cui i contorni dell'American Dream sono confusi e indefiniti, preso nel vortice di cambiamenti epocali nel costume e nella società. Szabo, che si sente frustrato e non adeguatamente riconosciuto come artista, aderisce ai valori di una controcultura che negli Stati Uniti fa molta fatica a farsi accettare e che in California assume una fisionomia ondivaga e forse velleitaria: egli diventa un outsider malgré soi.

Nel 1968 Szabo incide Dreams, con gli arrangiamenti di Gary McFarland: la malinconica psichedelia pop di cui si ammanta la sua fervida improvvisazione jazzistica assume una veste cameristica minimale e raffinata. Per McFarland, nativo della California, quella ricerca linguistica che per il chitarrista è un fatto strutturalmente etico e filosofico, è invece un dato culturalmente naturale e forse anche più superficiale e scontato. Il chitarrista sta elaborando un linguaggio sempre più drammatico e percussivo, dai colori brillantemente scuri, le forme brevi dei pop song stanno per essere abbandonate, il Sogno Americano si va trasformando in un incubo ("I expected to find a Gerry Mulligan or Miles Davis on every corner. There was more disappointment when we came to San Bernadino, California, where our sponsors lived. The radio had given me the idea that West Coast jazz was the big thing of the day; I almost expected a Shorty Rogers to deliver the milk, a Bud Shank to be the mailman. But by the time I got here, the West Cost was dying, and the important things were happening in New York"), soprattutto Szabo si sente sempre più lontano dal mondo del jazz così come viene concepito dall'establishment musicale: "Many jazz musicians affect a misunderstood-genius air when they play, which alienates the audience and breaks down the communications of the music. A musician's responsibility is to get as much of his art across as possible. Musicians used to be kept when only the rich could afford art, but now practically everyone can afford radios, stereo equipment, concert tickets, etc. A musician must learn to communicate to survive."

Nel 1970 il chitarrista forma un nuovo complesso, che include l'eccellente contrabbassista Wolfgang Melz, il tastierista Richard Thompson e il batterista Jim Keltner. Firma per l'etichetta Blue Thump e a luglio incide l'album Magical Connection: fra pagine di Stephen Stills e John Fogerty (l'effetto del festival di Woodstock si fa sentire), la pagina musicalmente impressionante è, non casualmente, una versione di "Sombrero Sam" di Charles Lloyd. Szabo cerca di portare nel jazz l'energia del rock, e molto del suo pubblico proviene da esperienze extra-jazzistiche, come il chitarrista Carlos Santana.

A partire dagli anni Settanta il linguaggio di Szabo raggiunge la sua fisionomia definitiva. Un viaggio in Ungheria nel 1974, per la prima volta dal 1956, lo ricollega alle sue radici: quando fa ritorno negli Stati Uniti egli è definitivamente in grado di operare una sintesi delle molteplici influenze assimilate. Lontano però sia dal conservatorismo dell'ortodossia jazzistica che dal business system in cui il rock sempre di più opera, egli resta un outsider, la cui principale forza, quella di sapersi connettere ai nuovi sviluppi musicali, diventa la sua primaria debolezza. Rimane un outsider non facilmente etichettabile: "you will never find me doing anything distasteful, but let's face it, it's 1979; you cannot ignore totally the sounds around you, the pulse of life that's going on today. The artist's duty is to reflect the times, to react to them, and to communicate it to the people. Through that communication, you can pass all the beauty of music."

Negli anni Settanta Szabo firma una serie di sontuose produzioni per la CTI di Creed Taylor (fra cui l'eccellente Mizrab), in cui ha modo di delineare la sua "volgarizzazione" dell'improvvisazione jazzistica. Nonostante anche alcune produzioni più commerciali, il successo non arriva. Eppure l'artista, per quanto sempre apparentemente lontano dalla realtà dei propri tempi, è sempre più maturo, come dimostrano eccellenti incisioni quali Belsta River (realizzata per la Four Leaf Clove a Stoccolma nel 1978, con Janne Schaffer e Pekka Pohjola) o Femme Fatale (Pepita Records, 1979), dove collabora anche Chick Corea, conosciuto da Szabo in alcuni incontri di Scientology, cui aderisce dal 1978 al 1980, quando cita la setta per danni.

Sempre più frustrato, indebolito dall'uso di droghe, nel 1982 Szabo torna in Ungheria, accolto entusiasticamente dalla locale comunità artistica. Troppo tardi. Il 26 febbraio Gabor Szabo muore di un blocco renale ed epatico. Oggi il suo nome è pressoché dimenticato, sebbene artisti di culto come Beck lo citino fra le loro fonti d'ispirazione. Come gli zingari da cui discendeva Szabo è stato un uomo senza terra, destinato a muoversi in territori in cui era e rimaneva un estraneo, ricolmo delle visioni accese di una patria introvabile, idealizzata, forse inesistente e destinata a rimanere il mito dolente di una sehnsucht intimamente languida e malinconica, improvvisamente accesa di irrisolvibili bagliori passionali e lontana come l'orizzonte nella puszta.

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