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Frank Kimbrough ricorda Andrew Hill

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Articolo di Frank Kimbrough

Andrew Hill è stata una presenza iconica nel mondo del jazz, con una carriera che ha coperto la seconda metà dello scorso secolo e i primi anni di questo decennio. È stato un compositore prolifico, la cui gamma compositiva spaziava dai lavori per big-band ai quartetti d'archi passando per il repertorio per solo piano. Alfred Lion, il patron della Blue Note Records, lo considerava la sua ultima grande scoperta, dopo Thelonious Monk e Herbie Nichols, consentendogli di dar vita ad un corpus musicale di valore assoluto.

Uomo gentile e di buon cuore, Andrew poteva anche essere misterioso ed enigmatico. Nei ventisette anni che l'ho conosciuto, è stato per me un eroe, un maestro ed una continua fonte d'ispirazione. Ma, soprattutto, un amico.

Ci siamo conosciuti a Washington, nel 1980, quando venne a suonare in un piccolo locale che si chiamava D.C. Space, il locale per antonomasia per il jazz moderno negli anni '70 e '80 a Washington. Ci suonai diverse volte, ma soprattutto ci andavo spesso per sentire, tra gli altri, Jimmy Lyons, Jeanne Lee, Andrew Cyrille, e Sun Ra.

Quel concerto fu la prima occasione in cui lo sentii suonare in solo, anche se avevo ascoltato Black Fire e altri suoi dischi registrati con piccole formazioni a partire dagli anni '60. L'ascolto di Black Fire aveva letteralmente cambiato la mia vita e quindi ero ansioso di vedere Andrew dal vivo per la prima volta. In quel periodo conduceva una vita tranquilla in California. Ogni tanto registrava per qualche etichetta europea o giapponese, il che significava che - con i titoli per la Blue Note fuori catalogo - la sua presenza sulla scena jazzistica statunitense era praticamente inesistente.

Ci incontrammo di nuovo tre anni più tardi, allo Sweet Basil, nel Greenwhich Village, in occasione di un suo concerto con Jimmy Vass, Rufus Reid, e Ronnie Burrage. Una formazione messa insieme per l'occasione, anche se Vass aveva suonato su un paio di dischi della metà degli anni '70 pubblicati dalla SteepleChase e East Wind. Fu quella sera che forse abbiamo chiacchierato per la prima volta, e ci siamo scambiati numeri di telefono e indirizzi per rimanere in contatto.

E, difatti, rimanemmo in contatto, per lo più per telefono ma a volte anche per lettera. Il suo profilo era ancora piuttosto basso quando lo rividi suonare a New York, al West End Gate, un locale vicino alla Columbia University. Il concerto era stato scarsamente pubblicizzato e, dopo il primo set, la maggior parte del pubblico se ne andò. Qualunque altro musicista avrebbe finito la serata così, ma lui continuò a suonare per un suo vecchio amico, me e mia moglie. Alla fine di ogni brano ci chiedeva che brano avremmo voluto sentire e si rimetteva a suonare come se il locale fosse stato pieno.

Dopo la morte di sua moglie Laverne, Andrew si trasferì dalla California a Portland, in Oregon, dove iniziò ad insegnare jazz all'Università Portland State. Si creò una nuova vita e dopo poco si risposò. Questo matrimonio, con Joanne Robinson, avrebbe finito per riportarlo a New York, e dopo poco la sua carriera sarebbe rifiorita. Compose molto materiale e iniziò a lavorare su numerosi progetti, solo, duetti, trii, quartetti, ottetti, big band e, con ogni probabilità il gruppo che lo riportò in auge definitivamente, il Point of Departure Sextet.

Per anni eravamo stati in contatto per lo più telefonicamente, e avevo imparato a interpretare le sue frasi spesso ellittiche, e il suo modo di esprimersi un po' misterioso. Ora finalmente ci potevamo vedere di persona, e chiacchieravamo a lungo. Un'amicizia profonda si sviluppò col passare degli anni. In genere parlavamo delle nostre vite; solo raramente di musica. A volte chiedeva il mio parere sui nuovi nomi della scena newyorchese, e finivo per fargli da talent scout, mettendolo in contatto con jazzisti che pensavo potessero essere compatibili con la sua musica.

Dopo la sua partenza da New York alla fine degli anni '60, una nuova generazione di musicisti si era sviluppata ed affermata. Greg Osby, Ron Horton, Marty Erlich, Greg Tardy, Scott Colley, Nasheet Waits, Eric McPherson e tanti altri erano cresciuti ascoltando la sua musica, e comprendendola. Furono loro che portarono nuova linfa al suo lavoro e contribuirono a far scoccare la scintilla di questa seconda giovinezza musicale, consacrata con nuovi dischi registrati per la Palmetto Records, e poi col il suo terzo ritorno alla Blue Note.

Negli ultimi anni Hill ha finalmente ricevuto i dovuti riconoscimenti, con il premio Jazzpar, la scelta del disco dell'anno per Down Beat, un dottorato honoris causa alla Berklee School of Music, un Jazz Master Award da parte del National Endowment for the Arts, numerosi lavori commissionati, etc.

Strada facendo, ho imparato molto osservandolo durante concerti e prove. La chiave stava sempre nella spontaneità. Ci sarebbe molto da raccontare circa il suo metodo di lavoro, e la quasi tacita aspettativa che ogni suo musicista che divideva il palco con lui doveva dare sempre il massimo. Lui mirava sempre molto alto e voleva lo stesso da chi suonava nei suoi gruppi. Tuttavia non ordinava mai come uno doveva suonare, ed era sempre rispettoso delle loro idee e modo di suonare. Andrew voleva che ogni suo collaboratore fosse sempre se stesso. Non consentiva mai che ci fosse spazio per gli assoli durante le prove, perchè non voleva che i suoi collaboratori sviluppassero degli schemi o clichè che avrebbero poi usato dal vivo. Era disposto a fallire pur di ottenere ogni volta la performance più fresca, se non la più pulita, o perfetta. Andrew Hill era convinto che dietro ogni perla c'è l'irritazione causata da un granello di sabbia.

La sua musica era sempre molto diversa da come sembrava su carta. Ogni volta che ascoltavo i suoi dischi con le sue partiture davanti a me, rimanevo stupito da come le forme mutavano, le misure diventavano più lunghe o più corte, i tempi sparivano (o forse si nascondevano?).

Una volta, durante le prove di un quartetto, mi sono messo dietro al contrabbassista John Hebert per guardare le partiture che leggeva, ma lui aveva girato la pagina dal lato bianco. Notando il mio sconcerto, mi sussurò che non voleva leggere lo spartito perchè non voleva esserne distratto. Quando Andrew mi chiese di suggerirgli un contrabbassista per il suo gruppo, gli dissi che Hebert era capace di "'sentire' anche da dietro un muro". Andrew finì per inserirlo nel suo gruppo quasi immediatamente. John dimostrava di saper suonare senza paura, e Andrew cercava proprio questo tipo di musicista.

Andrew, forse più di qualunque musicista che io abbia mai conosciuto, era capace di creare magia ogni volta che suonava. Amava il rischio sia nel modo in cui suonava il piano, che in quello in cui conduceva i suoi gruppi o componeva. Non si basava mai sulla tecnica. L'unica cosa che lo interessava era il feeling, e non la complessità del materiale.

Nonostante sia conosciuto per aver suonato soprattutto brani originali, amava gli standard, che si trovano sparsi qua e là nella sua discografia. Il suo stile al pianoforte è sempre stato caratterizzato da continue partenze e interruzioni, è percussivo, nodoso, e a volte approssimativo nella maniera più amabile che ci sia. Quello che non manca è l'espressività, sia che suonasse delicatamente o che arrembasse nel profondo delle possibilità del suo strumento. Al centro di tutto ciò, c'è un tempo ed un'armonia che non tutti distinguono immediatamente, ma che è presente, ed è solidissima. Nonostante il suo pianismo fosse ancorato nella storia della musica, risultava immediatamente riconoscibile.

Mi trattava sempre alla pari, incoraggiandomi, venendo ai miei concerti e sempre offrendo i suoi consigli in modo molto generoso. Ogni volta che stavo per firmare un contratto discografico quasi mi convinceva a non farlo, insistendo che avrei dovuto chiedere più soldi e maggiori prerogative. Dignità e coraggio erano anche in questo i suoi tratti distintivi.

Lo incontrai poco prima della sua morte. Era molto debole. Siedeva in una stanza dietro le quinte prima di salire sul palco della Trinity Church a Manhattan. Gli altri membri del suo trio John Hebert ed Eric McPherson stavano preparando gli strumenti per il concerto. Nonostante la malattia, aveva composto una nuova suite apposta per il concerto. Il gruppo aveva avuto poco tempo per prendere familiarità con il nuovo materiale. Andrew non poteva quasi più parlare. Prendevamo conforto dalla compagnia reciproca. Si passò le mani nei capelli, poi si girò lentamente verso di me e - con una scintilla nell'occhio - sussurrò "ho dimenticato di portare le partiture". Ci guardammo in faccia e sorridemmo. Sapevamo entrambi che tutto sarebbe andato bene. John ed Eric avrebbero continuato "'sentire' anche da dietro un muro" e la musica sarebbe stata perfetta. Riusciva a camminare solo a piccoli passi e alcuni temevano che non avrebbe avuto la forza per suonare. Ma quando si mise alla tastiera iniziò la nuova suite e la sua energia continuò a crescere per l'intero concerto. Fu un atto di coraggio che non dimenticherò mai [N.d.A: il concerto è disponibile in streaming su internet su www.trinitywallstreet.org/calendar/index.php?event_id=3998]. Alla fine rimase un po' di tempo, firmando autografi e salutando gli amici; esausto ma gentile fino alla fine.

Avrebbe dovuto incidere in trio per la Blue Note un paio di settimane dopo. Tornai apposta in città dalla mia casa in campagna per essere allo studio di registrazione. Una volta arrivato mi dissero che la seduta era stata cancellata. Un bellissimo piano Fazioli era stato consegnato e troneggiava in mezzo alla stanza, ancora completamente coperto. Il personale dello studio era molto triste, e produttore e ingegnere del suono erano già andati via.

Più tardi venni a sapere che Andrew si era seduto sul divano, col cappotto e il cappello, pronto per andare in studio, ma completamente incapace di uscire dalla porta di casa. Invece di andare in studio, gli altri musicisti andarono a casa sua e passarono il resto della giornata con lui. Tornarono pure il giorno dopo per accertarsi che stava bene. Sarebbe morto la notte seguente, pacificamente, mentre dormiva. I funerali si tennero la settimana seguente, esattamente nello stesso posto dove l'avevo visto suonare per l'ultima volta tre settimane prima.

Per capodanno, Andrew e sua moglie Joanne avevano l'abitudine di invitare amici a casa loro. Ho avuto la fortuna di partecipare diverse volte. Erano sempre occasioni di grande gioia. Andrew e Joanne cucinavano tutto; in genere piatti tipici di capodanno e non mancava mai un salmone gigantesco. Era in queste situazioni che ci divertivamo al massimo - circondati da compagne, amici, altri musicisti, artisti, scrittori. Le conversazioni, la musica, le risate, le nuove conoscenze, cibo e bevande sembravano non finire mai ed erano sempre fonte di grande ispirazione. Era la maniera perfetta per iniziare il nuovo anno. Al prossimo capodanno mi mancherà da morire, ma la sua presenza rimarrà sempre con me. Se qualcuno dovesse analizzare il mio DNA, sono certo che troverebbe qualche traccia di Andrew.

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La foto di Frank Kimbrough è di Claudio Casanova

Traduzione di Luigi Santosuosso

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