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Evan Parker: Saxophone Solos / Whitstable Solo
ByPSI Records
Evan Parker
5 stelle
Io sono l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, l'Inizio e la Fine
Apocalisse 22,13
Sono poco più di trentatre gli anni che dividono la data di registrazione del primissimo concerto in solo sax soprano tenuto da Evan Parker, il 17 giugno del 1975 sul palco del mitico Unity Theatre di Londra, dal giorno della sua ultima esibizione solitaria finita su disco, il primo luglio del 2008 nella chiesa di St. Peter a Whitstable, una dozzina di chilometri a Nord di Canterbury. Nel mezzo c'è una delle più significative e straordinarie vicende musicali legate all'improvvisazione di matrice europea.
Saxophone Solos (Psi Records) raccoglie il primissimo concerto citato qualche riga sopra (i tre "Aerobatics" iniziali, registrati da Martin Davidson) e una session del 9 settembre, sempre del '75, fissata su nastro negli FMP studios di Berlino (da Jost Gebers). Siamo alle prese con un Parker "acerbo," intento a esplorare e sondare i limiti del sax soprano e i propri. Certo, gli elementi che avrebbero poi caratterizzato le sue improvvisazioni solitarie, come sottolinea nelle note di copertina Francesco Martinelli, il massimo "evanparkerologo" in circolazione, sono già tutti presenti (a parte l'uso della voce, abbandonato di lì a poco): armonici, slap tongues, due o tre note suonate per volta (multiphonics), l'uso intensivo della respirazione circolare, il senso delle strutture e il senso dello spazio, il rapporto sempre problematico con il silenzio, la vorticosa articolazione del fraseggio. Manca, tuttavia, la visione d'insieme e la compiuta lucidità degli anni a venire, manca quella singolare musicalità rintracciabile in esibizioni e dischi più recenti.
Ciò non significa che il documento sia trascurabile, tutt'altro. Seguire Parker nel suo vagabondare è un'esperienza profondamente emozionante. È la genesi di un universo poetico, alla quale raramente si ha la fortuna di assistere. Le idee si susseguono tra lampi e illuminazioni. Parker le osserva, le scruta, le soppesa. Indugia, indugia ancora, insiste, poi passa oltre e altrove, si ferma. La sensazione è quella di assistere a una sorta di mappatura. Interessante, a tal proposito, notare lo scarto fra i primi tre "Aerobatics" e il resto del disco. Sono soltanto tre i mesi che dividono Londra da Berlino, eppure lo stacco è notevole. Soprattutto nella concezione del ritmo e delle strutture, nella quale è avvertibile una prefigurazione piuttosto "grezza" degli esiti futuri.
Esiti futuri che Whitstable Solo (Psi Records), l'ultima testimonianza discografica in ordine cronologico appartenente al filone, si premura di illustrare come meglio non si potrebbe. II confronto diretto tra i due dischi è illuminante. La lucidità, la purezza, l'intensità del materiale registrato nella chiesa di St. Peter non hanno nulla a che vedere con i primi passi immortalati tra Londra e Berlino. L'articolazione del fraseggio è implacabile. Il pensiero fluisce senza indugi in un vortice ubriacante di note e suoni. Il controllo della pronuncia è totale. Lo sviluppo architettonico di ciascun brano, nove in tutto, è perfettamente compiuto.
Di tutt'altro genere anche la qualità della registrazione. I dischi di Parker al soprano hanno rappresentato un banco di prova non indifferente per gli ingegneri che si sono cimentati con l'impresa di restituirne al meglio le molteplici sfumature. Egregio, in questo caso, il lavoro svolto da Adam Skeaping, capace di catturare ogni più piccolo dettaglio, ogni soffio, ogni sbuffo, ogni registro, anche il più acuto. Ci hanno poi pensato le mura della chiesa di Whitstable a donare un caldo riverbero all'esito finale. Non a caso Parker ha deciso di tornare a far visita alla St. Peter per altre sedute.
Un'ultima riflessione che trascende il valore - immenso - dei due dischi e le considerazioni di ordine strettamente musicale. La dedizione assoluta con la quale Parker si è dedicato e si dedica a questa sorta di ontologia del sax soprano, ha un che di commovente, eroico persino. È uno sforzo titanico (fisicamente e intellettualmente parlando) quello che il musicista compie per avvicinarsi a una sorta di perfezione che, ovviamente, non esiste. Ma mai come in questo caso quel che conta non è la meta: quel che conta è il viaggio.
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